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Che bel guadagno è quello d'una fimia!
Rade volte l'alchimia empie la tasca.
Così di palo in frafca pur qui fiamo.
Chi prende l'efca, e l'amo, mal dispensa.
O dolorofa menfa all' altrui pane!

Vil' animal'è il cane: ma l'uom più affai.
Gentil formica, omai

Al tuo effer m'appiglio.

Non più fognar: queft' è il miglior configlio.

SONETTO A SENNUCCIO.

Siccome il padre del folle Fetonte.

Quando prima fenti la punta d'oro
Per quella Dafne che divenne alloro,
Delle cui frondi poi fi ornò la fronte:
E come il fommo Giove del bel monte
Per Europa fi transformò in toro;
E com' per Tisbe tinse il bianco moro
Piramo del fuo fangue innanzi al fonte:
Così fon vago della bella Aurora,

Unica del Sol figlia in atto, e in forma,
S'ella feguiffe del fuo padre l'orma.
Ma tutti i miei piacer convien che dorma
Finchè la notte non fi difcolora:

Così perdendo il tempo afpetto l'ora.
E fe innanzi di me tu la vedefti,

Io ti prego, Sennuccio, che mi defti,

A MAESTRO

ANTONIO DA FERRARA.

Ingegno ufato alle queftion profonde,

Ceffar non fai dal tuo proprio lavoro:
Ma perchè non dei ftar anzi un di loro
Ove senza alcun forfe fi risponde?
Le rime mie fon desviate altronde,

Dietro a colei per cui mi difcoloro,
A' fuoi begli occhi, ed alle treccie d'oro,
Ed al dolce parlar, che mi confonde.
Or fappi, che 'n un punto, dentro al core
Nafce Amor', e Speranza: e mai l'un senza
L'altro non poffon nel principio stare.
Se 'l defviato ben per fua prefenza

Quetar può l' alma; ficcome mi pare;
Vive Amor folo, e la forella more,

0000000000000000000000000

Conte Ricciardo, quanto più ripenfo
Al voftro ragionar, più veggio sfatti
Gli amici di virtute, e noi sì fatti,
Che n' ho'l cor d'ira, e di

vergogna accenfo. E non fo qui trovare altro compenfo

Se non che 'l tempo è breve, e i dì fon ratti:
Verrà colei che fa romper i patti,

Per torne quinci, ed ha già il mio confenfo.

Mill' anni parmi, io non vo' dir che morto, Ma ch'io fia vivo; pur tardi, o per tempo Spero falir ov' or penfando volo.

Di voi fon certo; ond io di tempo in tempo Men pregio il mondo, e più mi riconforto, Dovendomi partir da tanto duolo.

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1 NDICE

DE' SONETTI

DEL PETRARCA.

A

A.

hi, bella libertà, come tu m'hai a Carte 108
Al cader d'una pianta che fi fvelse,
Alma felice, che fovente torni

Almo Sol, quella fronde ch' io fola amo,
Amor, che meco al buon tempo ti ftavi
Amor, che 'ncende 'l cor d'ardente zelo,
Amor, che nel penfier mio vive, e regna,
Amor; che vedi ogni penfiero aperto,
Amor con la man deftra il lato manco
Amor con fue promeffe lufingando
Amor', ed io sì pien di maraviglia,
Amor, Fortuna, e la mia mente fchiva
Amor fra l'erbe una leggiadra rete

Amor', io fallo; e veggio 'l mio fallire:
Amor m' ha pofto come fegno a ftrale,
Amor mi manda quel dolce penfiero
Amor mi sprona in un tempo, ed affrena,
Amor, Natura, e la bell' alma umíle
Amor piangeva, ed io con lui tal volta;
Anima bella, da quel nodo fciolta
Anima; che diverfe cofe tante
A piè de' colli ove la bella vesta
Apollo; s'ancor vive il bel defio

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Arbor vittoriofa, e trionfale,

Afpro core, e felvaggio, e cruda voglia
Aura, che quelle chiome bionde, e crespe
Avventurofo più d'altro terreno,

B.

Beato in fogno, e di languir contento,
Benedetto fia 'l giorno, e'l mefe, e l'anno,

Ben fapev' io che natural configlio,

C.

Cantai; or piango; e non men di dolcezza

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Cara la vita, e dopo lei mi pare

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Cercato ho fempre folitaria vita

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Cefare, poi che 'l traditor d'Egitto

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Che fai, alma? che penfi? avrem mai pace? 167

Che fai? che penfi? che pur dietro guardi

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Chi vuol veder quantunque può Natura,

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Come 'l candido piè per l'erba fresca

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Come talora al caldo tempo fole

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Come va❜l mondo! or mi diletta, e piace

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Conobbi; quanto il ciel gli occhi m' aperfe,
Così potess' io ben chiuder in verfi

D.

Da' più begli occhi, e dal più chiaro vifo
Datemi pace, o duri miei penfieri:
Deh porgi mano all' affannato ingegno,
Deh qual pietà, qual' Angel fu sì presto
Del cibo onde 'l fignor mio fempre abbonda,
Dell' empia Babilonia, ond' è fuggita
Del mar Tirreno alla finiftra riva,
Dicemi fpeffo il mio fidato fpeglio,
Dicefett' anni ha già rivolto il cielo
Di di in dì vo cangiando il vifo, e 'l pelo:

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