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Della Tessitura de' versi Italiani.

Dal numero delle sillabe nascono le varie sorti di versi Italiani. Le sillabe che compongono il verso, debbonsi misurare in maniera che si conti una sillaba da ogni vocale :

Udite, come l'amoroso strale, etc.

U di te co | me | l'a | mo | ro | so | stra | le.

Osservisi, che quando si trovano più vocali unite insieme ; come mio, tuo, suo, miei, tuoi, suoi, etc. queste vocali formano una sola sillaba, quando sono dentro il verso, e due sil· labe, quando sono nel fine. Eccone un esempio:

Mi sento mosso da Febeo furore.

Mi sento | mos | so | da | Fe | beo | fu | ro | re. Mi sento | mos | so | da | fu | ror | Fe | be | o. Vi sono però alcuni dittonghi, che formano sempre una sola sillaba, in qualunque parte del verso siano collocati; tali sono i dittonghi, che si trovano nelle parole chieggio, gloria, grazie, etc.

Quando una parola terminata con una vocale, è seguita da un' altra parola, che comincia con una vocale, queste due vo cali non fanno che una sola sillaba :

Fior, frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi. Fior frondi, er be, ombre, an]tri, onde, au|re|so|a|vi. È da osservarsi, che l'elisione può cader non solamente sopra una vocale; ma anche sopra un dittongo, come nel verso seguente:

E del suo error, quando non val, si pente.

E del suo er | ror, | quan | do | non | val, | si | pen | te.

I versi d'undici sillabe, come i sopraccitati, sono i più vaghi, i più nobili, e i più maestosi, ch'abbia la lingua Italiana. Chiamansi Endecasillabi; ma più comunemente versi Eroici, per distinguerli da un' altra specie di versi, che sono in particolar modo detti Endecasillabi per la somiglianza, che hanno cogli Endecasillabi de' Latini. La sola differenza con

siște, che in questi versi la quinta, e sesta sillaba debbono esser brevi. Eccone un' esempio tratto dalle poesie del Rolli:

Cui dono il lépido novo libretto

Pur or di porpora coperto, e d'oro ?

Solo a te donisi, Bathurst, che suoli

In qualche prégio tener miei scherzi.

Vi sono parimente de' versi di dodici sillabe, chiamati sdruccioli, perchè hanno le due ultime sillabe brevi. Da ciò ne segue, che l'ultima voce del verso sdrucciolo non può aver meno di tre sillabe, e queste debbono per lo più esser divise, e tramezzate da qualche consonante; come pallido, lucido, strepito etc. In questi versi sono più che negli altri permesse alcune voci interamente latine, come irascere, ancipice, impubere, etc. Fra gli autori, che si sono segnalati ne' versi sdruccioli, si annovera l'Ariosto nelle sue commedie, e il Sannazaro nella sua opera intitolata l'Arcadia, Eccone un esempio tratto da quest'ultimo.

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Solca nell' onde, e nell' arene semina,

E tenta i vaghi venti in rete accogliere',
Chi fonda sue speranze in cor di femmina.

Össervisi, che quantunque il verso sdrucciolo sia composto di dodici sillabe, debbesi nonostante metter nel numero degli Endecasillabi; poichè l'accento che nello sdrucciolo è posto nell' antepenultima, rende la pronunzia delle tre ultime sillabe altrettanto breve, quanto quella delle due ultime sillabe dell' Endecasillabo, che ha l'accento nella penultima.

Vi sono altresì de' versi di dieci sillabe, che chiamansi tronchi. Questi hanno l'accento sull'ultima sillaba, ed appartengono anch'essi agli Endecasillabi; poichè la pronunzia dell' ultima sillaba ura altrettanto, quanto quella delle tre ultime sillabe dello sdrucciolo, e delle due ultime sillabe dell' Endecasillabo. Di questi versi se ne trovano pochissimi esempj nel Dante, e nel Petrarca; e sogliono adoperarsi solamente pe

esprimere un' armonia imitativa, come fece il Pignotti ne' së guenti versi contenuti nella favola del Cavallo, e del Bue :

Un dì giunse il Beccajo, ed al macello
Fra stretti nodi a forza lo tirò :

Cadde il pesante maglio sul cervello ;

Ed il misero a terra stramazzò.

Alcuni poeti si sono serviti di questa sorte di versi in soggetti familiari, e burleschi. Eccone un esempio.

Se il libro di Bertoldo il ver narrò,
Così disse a Bertoldo un giorno il Re:
Fa che diman ritorni avanti a me,
E che insieme ti veda, e insieme no.
Bertoldo il dì d'appresso al Re tornò,
Portando un gran crivello avanti a se,
Così vedere, e non veder si fe', (1)
E colla pelle altrui la sua salvò.

GIROLAMO GIGLI.

Vi sono inoltre de' versi di quattordici sillabe, che si chiamano Martelliani, da Jacopo Martelli, che ne fu l'inventore ; e questi non sono che due versi di sette sillabe, uniti insieme. Hanno qualche rassomiglianza a' versi Alessandrini, eroici de' Francesi :

Uomini, quanti siete, udite, io vi confondo,

A torto vi lagnate, che mal diviso è il mondo.

1 limiti ha distinto un' avida paura,

Tutto lo fe' per tutti la provida Natura ;

Comun l'aria agli uccelli, a' pesci l'Oceano ;

La boscaglia alle fiere, all' erbe il monte, e il piano. L'uomo per se vuol tutto; dall' uom solo s'udío, (2) Della natura a scorno, parlar del tuo, del mio.

(4) Fe' per fece.

PIETRO CHIARI.

(2) Udio per udi

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Osservate che ne' versi Martelliani la settima sillaba non è mai soggetta all' elisione; poichè un verso Martelliano si dee considerare, come se fosse composto di due versi di sette sillabe, siccome ho accennato di sopra.

Vi sono ancora de' versi di nove, otto, sette, ed anche d'un minor numero di sillabe, come vedrassi in appresso.

Dell Accento, e della Cesura del verso.

Il numero delle sillabe non basta da se solo a formare il verso; ma si richiede inoltre l'accento, e la cesura. In fatti, se il primo verso del primo Sonetto del Petrarca :

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono,

fosse cambiato in questa maniera :

Voi ch' in rime sparse ascoltate il suono,

vi sarebbe bensì il numero delle sillabe tanto nell' uno che nell' altro; ma nel secondo mancherebbe il suono e l'armonia del verso; perchè mancherebbero gli accenti, e la cesura. Si osservi dunque, che il verso Endecasillabo ha generalmente l'accento nella quarta, nella sesta, nell' ottava, nella decima sillaba, come nel citato verso:

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Voi ch'ascoltáte in ríme spárse il suono.

e

Quantunque vi siano alcuni, che non si conformano a questa regola, ella è però quasi sempre osservata da' migliori poeti (1).

posa, detta

Oltre gli accenti, si ha da considerar nel verso dagli antichi Cesura, cioè divisione, perchè con essa si divide, per dir così, il verso in due parti. La cesura si fa comunemente nella quinta, o nella settima sillaba del verso. Per far la cesura nella quinta sillaba, bisogna che l'accento si trovi sulla sillaba

(1) In ogni parola Italiana vi è una sillaba lunga; cioè una sillaba sulla quale si posa maggiormente che sull' altre. Questa sillaba dicesi aver l'accento benchè non vi sia segnato.

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precedente, cioè sulla quarta ; onde nel mentovato verso: Voi ch'ascoltate, etc. la cesura è nella quinta sillaba; poichè il lettore, dopo aver fatto sentir l'accento che si trova sulla quarta, si riposa alquanto dopo la quinta, dividendo il verso in questa maniera :

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quantunque per ragion del sentimento non si richieda alcuna posa dopo ascoltate.

Quando la cesura non ha luogo nella quinta sillaba, si usa nella settima 2 come nel seguente esempio:

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In questo verso il lettore si riposa alquanto dopo virtute, la di cui ultima sillaba forma la settima del verso, stando. l'accento sulla sesta.

I versi detti propriamente Endecasillabi, come quelli del Rolli, citati nell' articolo precedente, hanno la cesura alla sesta sillaba, che termina la parola sdrucciola; vale a dire, la parola che ha le due ultime sillabe brevi.

Ne' versi Martelliani la cesura è nella settima; eccettuato, quando la parola è sdrucciola, o accentata nel fine. Nel primo caso la cesura è nell'ottava sillaba, nel secondo la cesura è nella sesta.

Non fo menzione de' versi corti ; perchè questi non richiedono cesura.

Della Rima.

La Rima è una consonanza, o armonia proveniente dalla medesima desinenza, o terminazione di parole.

Se il verso è tronco, cioè terminato da una voce d'una sillaba sola, come sta, fa, me, te, mal, stral, ciel, etc. o da una voce, che abbia l'accento sull' ultima sillaba, come fuggì, spari, andò, fatál, crudél, etc. la corrispondenza della rima consiste nella vocale, che termina l'ultima voce

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