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Ricordo alla Sposa.

Questa, o Sposa, è tua casa; e questa omai
Sia di tue cure in avvenir l'oggetto:
Nuova madre qui trovi, a cui dovrai,
Che ben n'è degna, e riverenza e affetto.
Non lunga o grave a te l' ora sia mai
Del tuo lavoro in solitario tetto;
Cauta, e di pochi l'amistà godrai,
Ma sieno i figli il tuo maggior diletto.
Sul commino del Secolo i tuoi piedi

Regga prudenza; ed a virtù sincera
La fama affida del tuo nome, e credi,
Che giusto il mondo in sua nequizia (1) apprezza
Le sagge Donne, che sedur non spera,
E le folli, che il seguono, disprezza.

Gli Augurj alla Casa.

Nel nuovo albergo, e riccamente adorno; Dove, o Sposa, a tuà sede Amor ti mena, Teco la pace stabile e serena

Entri, e la gioja, che ti ride intorno. Prodiga la fortuna in si bel giorno

L'urna in lui versi d' ogni ben ripiena,

Ed aperte al piacer, chiuse alla pena
Sieno le stanze, d'amistà soggiorno.

(1) Nequizia, malvagità.

Tacita il miri di lontan l' invidia,
E al sacro asil dalla virtù guardato
Via non trovi d'entrar nemica insidia.
E ponga Dio su le protette porte

L' Egizio segno, onde col brando alzato
Il vegga, e passi l' Angiolo di morte.

LA MORTE DI CATONE,
Poichè fu il capo al gran Pompeo reciso,
E che in Cesare sol concorse intero
Quel poter, che in due parti era diviso;
La forza egli spiegò del proprio impero
Su l' Africo superbo, e su '1 Britanno,
E su 'l Partico suolo, e su 'l Ibero.
E a Roma ancor piena di grave affanno
Fu forza alfin la disdegnosa fronte
Sotto il giogo piegar del suo tiranno.
Fin nell' estremo là del Tauro monte,
Che coll' alta cervice al ciel confina
Rese le genti al suo comando pronte.
Ma non poteo (1) perciò l' alma divina
Mai soggiogar di quel Romano invitto,
Con cui morì la libertà Latina:

Il qual, poichè restò vinto, e sconfitto
L'infame Tolomeo, che contendea
Alla bella Cleopatra il pingue Egitto,

(1) Poteo per potè.

I mesti giorni in Utica traea,

Ove, ripieno il cor di patrio affetto,

Di Pompeo l'aspro fato ancor piangea. Nè per timor, che gli nascesse in petto, Ivi n' andò, ma sol perchè fuggia (1) Della Romana servitù l'aspetto. E poichè udì che s' era già per via Cesare posto, e con armate genti Verso l'arene d' Utica venía (2): Volse, e rivolse i suoi pensieri ardenti; Indi, chiamato il suo diletto figlio, Questi spinse su 'l labbro arditi accenti: A te lice schivare il tuo periglio,

Onde, per ottener pace, e salvezza, Che a Cesare ne vada, io ti consiglio. Ma la mia mente a rigettarlo avvezza Oggi non dee lasciar suo genio antico; Che l'ingiusta potenza abborre, e sprezza. E ben degg' io, di libertate amico, Meno la morte odiar di quella vita, Che ricever dovrei dal mio nemico. Tu vanne, -o figlio, ové il destin t' invita, Chè ciò che all' opre tue sarà virtute, Sarebbe infamia per quest' alma ardita, La qual non dee, con dimandar salute, Di Cesare approvar l' ingiusta voglia, Ch' altrui morte minaccia, o servitute. (1) Fuggía per fuggiva. (2) Venía.per veniva.

Nè tanto apprezzo questa frale spoglia (1),
Ch' abbia a legar, per dimorare in lei,
Quel libero desio, che in me germoglia,
Nè del nome Roman degno sarei,

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Se, giunto al fin di dieci lustri ormai,

Non finissi costante i giorni miei.

Io, ch' ho del viver mio già scorso assai,

So ch' incontrar quaggiù l'uomo non puote (2), Ch' interrotte dolcezze, e lunghi guai (3). Mentre sciogliea la lingua in queste note (4) Piangeva il figlio, e con afflitto volto Tenea nel genitor le luci (5) immote. Ed egli intanto a un servo suo rivolto, Recami il ferro, disse; il figlio allora Scosse il pensiero, in cui stava sepolto; E forte grida ah non recate ancora Il ferro, o servi: e tu, padre pietoso, Interponi al morir qualche dimora. Catone il torvo ciglio, e generoso

:

Ver (6) lui rivolse, e dal turbato cuore Trasse questo parlar grave e sdegnoso : S'oggi non v'è per me scampo migliore, Che debbo attender più? Che giunga forse; E mi trovi sua preda il vincitore?

(1) Spoglia, corpo.

(2) Puote, può.
(3) Guai, pene.

J

(4) Note, parole.
(5) Luci, occhi.

(6) Ver per verso.

A tutti allor dagli occhi il pianto scorse:
Al figlio, a' servi, ed agli amici insieme,
Di cui già folta schiera ivi concorse :
I quai coll' esca di novella speme (1)
Tentavano ritrar l'animo atroce

Dal duro incontro delle doglie estreme.
Ma quel, cui nè dolor, nè tema (2) nuoce,
Sorger lasciò sovra le labbra un riso,
Che serenò l'aspetto suo feroce.
E, rimirando i mesti amici in viso
Disse: deh qual dolor v' occupa il seno;
E su 'l volto vi corre all' improvviso ?
Forse vi duol ch' io sciolga all' alma il freno
Perchè, scorrendo poi sicuramente,
Possa goder la libertade appieno ?
E volando nel ciel rapidamente,
Svelta d'ogni mortal tardo legame,
Ritorni al giro dell' eterna mente?
Dove spogliata delle folli brame
Miri per la serena, e pura luce
De' grandi eventi il variato stame ?
Ah che quell' alma cui ragione è duce
Non può giammai temer di quella morte,
Che al destinato fin la riconduce.
Anzi ella sempre l'aspre sue ritorte (3)

Romper si sforza, in cui si trova oppressa,
E sempre aspira alla celeste sorte.

(1) Speme, speranza. (2) Tema, timore.

(3) Ritorte,

legami.

Onda

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