Che speri, instabil Dea, di sassi, e spine Ingombrando a' miei passi ogni sentiero ? Ch' io tremi forse (1) a un guardo tuo severo? Ch'io sudi forse a imprigionarti il crine? Serba queste minacce alle meschine
Alme soggette al tuo fallace impero:
Ch' io saprei, se cadesse il mondo intero, Intrepido aspettar le sue ruine. Non son nuove per me queste contese; Pugnammo, il sai, gran tempo, e più valente Con agitarmi il tuo furor mi rese; Chè dalla ruota, e dal martel cadente, Mentre soffre l'acciar colpi, ed offese E più fino diventa, e più lucente.
(1) Forse, questa voce serve ad aggiunger forza all' interrogazione.
Il feroce destrier, che qual baleno Scorrea senza timor fra genti armate, Se può ne' prati errar sciolto dal freno, Perde l'ardor, e le sue forze usate : L'amabil rivo, nel cui chiaro seno Ogni Ninfa specchiò l'alma (1) beltate, Di fango, e canne, e di vil erba è pieno Se mai ristagna tra paludi ingrate : Rodono i tarli le riposte antenne
Di Nave, che sprezzò del mar l'orrore, E mille venti intrepida sostenne. Volgi, o fanciul, a questi esempj il core, E sappi, che così tarpa le penne (2) L'ozio malvagio al bel desio d' onore.
GIAMBATTISTA VOLPI.
(1) Almo vale egregio, ec- (2) Tarpar le penne vale
GALATEA AL FONTE.
Sul compir de' quattro lustri La vezzosa Galatea
Ai più candidi ligustri Nel candore non cedea;
Colla gota rubiconda Superava anche la rosa, Risplendea la chioma bionda Più dell' oro luminosa ; Ogni grazia in quel bel volto La natura avea raccolto, E la vaga pastorella Conosceva d'esser bella. Spesso a un chiaro ruscelletto Ricorreva per consiglio, Per dispor sul crin, sul petto La viola, il croco, il giglio, E sì bella si vedea
In quell' onde Galatea
Che a quell' onde ad ogni istante
Curiosa ritornava,
Di quel rio (1) diceasi amante,
Di quel rio tanto parlava,
Che temè qualche pastore
Di veder su quella riva Galatea, cangiata in fiore, Avverar la fola Argiva (1)
Di colui, che al fonte appresso Invaghissi (2) di se stesso. Presto accese il biondo Imene
Per costei l'amica face;
Cento ambian (3) le sue catene, E fra cento uno a lei piace, Un pastor d'estranio lito Che, compiuto il sacro rito, Volge ratto (4) alla sua sede Con sì raro acquisto il piede. Galatea de' nuovi affetti Tra la piena tutt' assorta, Nel lasciare i patrii tetti Non partì dolente o smorta; Non si mosse a' mesti pianti Degli antichi esclusi amanti ; E nel volgere le spalle
A quel bosco, a quella valle A quel prato, a quegli armenti A lei tanto un dì graditi, Con parole indifferenti Salutò la greggia, e i liti:
Ma poi quando giunse accanto
(1) Fola Argiva, favola Greca. (2) Invaghissi, s' invaghi,
(3) Ambían per ambivano. (4) Ratto, subitamente.
A quell' acque a lei sì care, Ritornovvisi (1) a specchiare, Nè potè frenare il pianto; E fra tanta indifferenza Che mostrò nella partenza, Diede un sol tenero addio, E fu quel che diede al rio; Che mai più non si credea Rivederlo Galatea.
Ma da un fosco velo è ascosa La catena degli eventi : Galatea felice sposa
In quell' ore di contenti,
Non può mai pensar che un giorno A quel prato, a quell' ovile
Dovrà far mesto ritorno In ammanto vedovile. Pure il Ciel così prescrisse! Col consorte a cui s'unì Quattro lustri appena visse, Poi ria (2) morte lo rapì. Di singulti e di querele Un tributo doloroso- Pagò vedova fedele
Alla tomba dello sposo: Ma alle antiche sue dimore
(1) Ritornovvisi per vi si ritornò.
(2) Ria, malvagia, crudele.
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