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LA SCIMIA, O SIA IL BUFFONE.

Uno Scimiotto assai sudicio e brutto,
Imitator dell' azioni umane,

Della bruttezza sua cogliendo il frutto,
Fece il buffon per guadagnarsi il pane,
E con burle e con scherzi anche insolenti,
Ben spesso divertir sapea le genti.
In quella casa dove egli vivea

Guadagnato di tutti avea l'affetto:
Non più lo sguardo al Pappagal volgea,
Il Can si stava in un canton negletto;
Ei fatto ardito si prendea piacere
Di schernir le persone più severe.
Talor, se in casa il Medico apparía (1)
Con passo grave, e con fronte rugosa,
Il traditore a un tratto gli rapía
L'autorevol parrucca maestosa,
E gli rapía con essa in conseguenza
Tutta la gravità, mezza la scienza.
Bello era poscia il rimirarlo ornato
Della parrucca stessa in aria mesta
Avvicinarsi al letto del malato,

Tastare il polso, e poi crollar la testa:
Parea che a farlo al buon Medico eguale,
Mancasse sol la Laurea Dottorale.

(Appatia per appariva.

La scuffia al capo, al tergo egli adattava
Il manto col cappuccio fluttuante,
E i ricercati vezzi egl' imitava

D' una leziosa (1) femmina galante :
Or fiso sullo specchio un riso apriva,
Or col ventaglio giocolando giva.
Ma sopra tutto contraffar sapea

Gli atti, le riverenze, il portamento
De' giovani galanti, e quando avea
Indosso d' un Zerbin l'abbigliamento,
Un occhio ci volea sagace e fino
A distinguer la Bestia, e lo Zerbino.
Così, svegliando il riso, egli assai spesso
Buscava qualche dolce e buon boccone:
È vero che talvolta anche represso
Era il suo troppo ardir con il bastone;
Ma se il baston gli Eroi soffron talora,
Soffrir non lo dovea la Scimia ancora ?
Un dì che sazio alquanto e nauseato
Era alfine il Padron di questo gioco,
Volle, mostrando il derisor burlato,
Alle spese di lui ridere un poco :
Lo specchio appende, svolge il molle cuojo,
E su vi striscia rapido il rasojo.

In tepid' onda (2) indi il sapon discioglie,
E colla man così l'agita e scote,
Che in alta e bianca spuma si raccoglie,

(1) Leziosa, molle, affettata. (2) Onda, acqua.

Ond' egli il mento intridesi, e le gote; Cauto move il rasojo, e il viso rade, > Stride frattanto il pel reciso, e cade. Compita l' opra della Scimia in faccia, Lascia gli arnesi, e celasi lontano : Corre la Scimia, e intridesi la faccia, Poi del tagliente ferro arma la mano; Ma le gote, e la gola si recide: Urla il Buffone, ed il Padrone ride, «Voi che de' Grandi fra le mense liete »>L' istesso impiego della Scimia avete »Pensate al suo destin, che o prima, o poi » Una simile sorte avrete voi. »

و

Il medesimo.

LA SCUSA.

No, perdonami, o Clori, io non intendo
Quest' ingiusta ira tua. Che dissi alfine ?
Qual' è la colpa mia? dissi ch' io t' amo;
Il mio ben ti chiamai. Questo ti sembra
Un delitto sì nero? ah, se l' amarti
Rende un cor delinquente,

Chi mai non ti mirò, solo è innocente.
Trova un sol, mia bella Clori,

Che ti parli, e non sospiri,

Che ti

vegga, e non t'adori, E poi sdegnati con me.

Ma perchè fra tanti rei,

Sol con me perchè t' adiri?
Ah, se amabile tu sei

Colpa mia, crudel, non è.

Placati, o pastorella,

Ritorna a farti bella. Ah non sai come

Ti sfigura quell' ira. A me nol credi ? Specchiati in questa fonte. È ver? t'inganno? Riconoscer ti puoi ? quel fosco ciglio

Quella rugosa fronte,

Quell' aria di fierezza

Non scema per metà la tua bellezza ?

Vi son per vendicarti,

Vi son pure altre vie; se il dirti, io tamo,
Se il chiamarti mio bene, oltraggi sono,

Oltraggiami tu ancora ; io ti perdono.

Sopporterò con pace

'Anch' io da te.... Ma tu sorridi? Oh riso

Che m'invola a me stesso !

Specchiati, Clori mia, specchiati adesso.

Guarda, quanta bellezza

Quel riso accresce al tuo sembiante (1); or pensa
Che faría (2) la pietà! Confesso anch' io
Che d'un volto ridente è grande il vanto,
Ma un bel volto pietoso è un altro incanto.

(1) Sembiante, volto.

(2) Faría peri farebbe.

Torna in quell' onda chiara
Solo una volta ancora,
Torna a mirarti, o cara,
Ma in atto di petà.
Mille nel volto allora

Nuove bellezze avrai ;

Più que' vezzosi rai (1)
Sdegno non turberà.

METASTASIO.

SEPARAZIONE D'ETTORE

E D'ANDROMA CA;

Iliade d' Omero. Libro VI.

Ah dove corri, o troppo

Nobile spirto (2)? vittima vuoi farti
D'una crudel virtù? diletto Ettorre
Pensa che padre sei, che tu sei sposo,
Mira tuo figlio e me, di te siam parte,
In te viviamo, ah che te solo i Greci
Cercheran nella mischia, in te fien (3) volti
Tutti i lor dardi; chè in Ettorre è Troja,
E cade al suo cader: lassa! se manchi,

(1) Rai, occhi.

(3) Fien per saranno.

(2) Spirto per spirito.

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