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Taci, ed ama la rustica
Incognita dimora,

Chè il tempo di tua gloria
Non è venuto ancora.
Nè sai quanti pericoli

In mezzo all'aria aperta
Circondin la tua tenera
Etade, ed inesperta.
Tace ; ma freme tacita,

Fra se si lima (1), e rode,
E invoca il tuono, e il turbine
Sul suo crudel custode.

Ma intanto ecco il sollecito
Villan col ferro in mano,

Che monda dagl' inutili
Germogli il verde piano;
E già la falce rigida

Stende con man crudele
Della vermiglia Vergine
Sul guardian fedele.
In vece allor di piangere,
Gioisce il fiore ingrato,
E può mirar con giubbilo
Del suo custode il fato,

(3) Silima, si consuma

Già cade in tronchi lacero

Lo Spino in sul terreno,
Già il pieno giorno penetra:
Nel verde ombroso seno.
Dai duri impacci libera
Allor su' fiori, e l' erba,
Erge (1) la Rosa incauta
La fronte alta, e superba.
A lei d'intorno scherzano
L'aurette mattutine,
Gli augelli la salutano,
L'Alba le imperla il crine:
Ma oh Dio l'ore piacevoli
Quanto son lievi e corte!
Oh quanto incerta e instabile,
È del piacer la sorte!
Da lungi ecco che mirala
Il Bruco, ed insolente
Sul verde stel s'arrampica,

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Arsa dal sol scolorasi

Pria d'esser ben fiorita,
Invano allor la misera

Chiede allo Spino aita.
Già secca esangue e pallida
Perde il natío vigore,
L'aride foglie cadono,
E avanti tempo muore.
O Donzellette semplici,
» Voi che sicure e liete
» Di saggia madre provida,
» Sotto del fren vivete,
» Se il giogo necessario

» Mai vi sembrasse grave,
» Nella rosa specchiatevi,

» E vi parrà soave. »

LORENZO PIGNOTTI

LA ROSA, IL GELSOMINO,

E LA

QUERCE.

D' un rio sul verde margine,

In florido giardino

Su siepe amena stavano
La Rosa, e il Gelsomino:

Che, con placer specchiandosi
Entro dell' onde chiare,
Insiem de' proprj meriti
Presero a ragionare.

I Fior diletti a Zefiro
Noi siam, dicea la Rosa,
Noi sceglie sol per tessere
Ghirlande alla sua Sposa.
Alcun non v' è che uguaglici,
Alcun non ci somiglia

Fra tutta la più nobile
De' Fior vaga famiglia.
Leggiadri ed odoriferi

Noi siamo; è a noi permesso

Di lusingare e molcere (1)
Due sensi a un tempo istesso.
Punta da dolce invidia

Ben mille volte e mille
11 mio color desidera

Fin la vezzosa Fille,
Quando davanti al lucido.
Fido cristal si pone,

E alla sua guancia accostami
Per fare il paragone.
Noi l'auree chiome a cingere
Siamo su gli altri eletti,
O i palpitanti a premere
Turgidi eburnei (2) petti.

() Molcere, dilettare. (2) Eburneo, bianco come l'avorio,

In somma o tra l'ombrifere

Piante, o tra l' erbe e i fiori,
Non v'è chi al nostro merito

Non ceda i primi onori.
I detti lusinghevoli

Con gioja altera intese

Il Fior stellato e candido,
E poi così riprese.
Vedi là quell' altissima

Deforme Querce annosa ?
Guarda, che foglie ruvide,
Che scorza atra e callosa!
Chi mai qui presso posela ?
La semplice sua vista,
Se in parte non deturpami,
Almeno mi rattrista.

Ella, come sel (1) merita,
Dalla callosa mano

Trattata è sol del rustico

Durissimo villano.

Fra l'opre sue mirabili

Certo sbagliò Natura
A produr così zotica
Pianta, si rozza e dura.

(1) Sel per se lo. Se tiene qui luogo di riempitivo.

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