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In così angusta e solitaria villa

Era 'l grand'uom che d'Africa s'appella, Perchè prima col ferro al vivo aprilla. Qui dell'ostíle onor l'alta novella,

Non scemato con gli occhi, a tutti piacque; E la più casta era ivi la più bella. Nè 'l trionfo d'altrui seguire spiacque A lui che, se credenza non è vana, Sol per trionfi e per imperj nacque. Così giugnemmo alla città soprana Nel tempio pria che dedicò Sulpizia Per spegner della mente fiamma insana. Passammo al tempio poi di Pudicizia, Ch'accende in cor gentil oneste voglie, Non di gente plebea, ma di patrizia. Ivi spiegò le gloriose spoglie

La bella vincitrice; ivi depose Le sue vittorïose e sacre foglie: E'l giovine Toscan, che non ascose Le belle piaghe che 'l fêr non sospetto, Del comune nemico in guardia pose Con parecchi altri; e fummi 'l nome detto D'alcun di lor, come mia scorta seppe, Ch'avean fatto ad Amor chiaro disdetto; Fra' quali vidi Ippolito e Gioseppe.

VOL. I.

*13

/ TRIONFO DELLA MORTE

CAPITOLO PRIMO

Ó ciechi, il tanto affaticar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica;
El nome vostro appena si ritrova.

TRIONFO DELLA MORTE. Capit. I.

Questa leggiadra e glorïosa Donna,
Ch'è oggi nudo spirto e poca terra,
E fu già di valor alta colonna,
Tornava con onor dalla sua guerra,
Allegra, avendo vinto il gran nemico,
Che con suo' inganni tutto 'l mondo atterra
Non con altr'arme che col cor pudico,
E d'un bel viso e di pensieri schivi,
D'un parlar saggio e d'onestate amico.
Era miracol novo a veder quivi

Rotte l'arme d'Amor, arco e säette;
E quai morti da lui, quai presi vivi.
La bella Donna e le compagne elette,
Tornando dalla nobile vittoria,

In un bel drappelletto ivan ristrette.
Poche eran, perchè rara è vera gloria;
Ma ciascuna per sè parea ben degna
Di pöema chiarissimo e d'istoria.
Era la lor vittorïosa insegna,

In campo verde un candido armellino,
Ch'oro fino e topazj al collo tegna.
Non uman veramente, ma divino
Lor andar era; e lor sante parole:
Beato è ben chi nasce a tal destino!

Stelle chiare pareano, in mezzo un Sole
Che tutte ornava, e non togliea lor vista;
Di rose incoronate e di viole.

E come gentil cor onore acquista,
Così venía quella brigata allegra;
Quand' io vidi un'insegna oscura e trista.
Ed una donna involta in vesta negra,
Con un furor qual io non so se mai
Al tempo de' Giganti fosse a Flegra,
Si mosse, e disse: O tu, Donna, che vai
Di gioventute e di bellezze altera,
E di tua vita il termine non sai;
Io son colei che si importuna e fera
Chiamata son da voi, e sorda e cieca,
Gente a cui si fa notte innanzi sera.
I' ho condott' al fin la gente Greca
E la Trojana, all'ultimo i Romani,
Con la mia spada, la qual punge e seca;
E popoli altri barbareschi e strani:
E giungendo quand'altri non m'aspetta,
Ho interrotti mille pensier vani:

Or
Or a voi, quand' il viver più diletta,

Drizzo 'l mio corso, innanzi che Fortuna
Nel vostro dolce qualche amaro metta.
In costor non hai tu ragione alcuna,
Ed in me poca; solo in questa spoglia:
Rispose quella che fu nel mondo una.
Altri so che n'arà più di me doglia,
La cui salute dal mio viver pende:
A me fia grazia che di qui mi scioglia.
Qual è chi'n cosa nova gli occhi intende,
E vede ond'al principio non s'accorse,
Si ch'or si maraviglia, or si riprende;
Tal si fe quella fera: e poi che 'n forse
Fu stata un poco: Ben le riconosco,
Disse, e so quando 'l mio dente le morse.

Poi, col ciglio men torbido e men fosco,
Disse: Tu, che la bella schiera guidi,
Pur non sentisti mai mio duro tosco.
Se del consiglio mio punto ti fidi,
Che sforzar posso, egli è pur
il migliore
Fuggir vecchiezza e suoi molti fastidi.
I' son disposta farti un tal onore,
Qual altrui far non soglio, che tu passi
Senza päura e senz'alcun dolore.
Come piace al Signor che 'n cielo stassi,
Ed indi regge e tempra l'universo,
Farai di me quel che degli altri fassi:
Così rispose. Ed ecco da traverso
Piena di morti tutta la campagna,
Che comprender nol può prosa nè verso.
Da India, dal Catajo, Marrocco e Spagna
Il mezzo avea già pieno e le pendici
Per molti tempi quella turba magna.
Ivi eran quei che fur detti felici,
Pontefici, regnanti e 'mperatori:
Or sono ignudi, poveri e mendici.
U' son or le ricchezze? u' son gli onori
E le gemme e gli scettri e le corone
E le mitre con purpurei colori?
Miser chi speme in cosa mortal pone!
(Ma chi non ve la pone?) e s'ei si trova
Alla fine ingannato, è ben ragione.
O ciechi, il tanto affaticar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica;
El nome vostro appena si ritrova.
Pur delle mille un'utile fatica,

Che non sian tutte vanità palesi!
Chi 'ntende i vostri studj, sì mel dica.
Che vale a soggiogar tanti päesi,
E tributarie far le genti strane,

Con gli animi al suo danno sempre accesi?

Dopo l'imprese perigliose e vane,
E col sangue acquistar terra e tesoro,
Via più dolce si trova l'acqua e
'1 pane,
E'l vetro e 'l legno, che le gemme e l'oro.
Ma, per non seguir più sì lungo têma,
Temp'è ch'io torni al mio primo lavoro.
I'dico che giunt'era l'ora estrema
Di quella breve vita gloriosa,

E'l dubbio passo di che 'l mondo trema. Er' a vederla un'altra valorosa

Schiera di donne non dal corpo sciolta, Per saper s'esser può Morte pietosa. Quella bella compagna er' ivi accolta Pur a veder, e contemplar il fine Che far conviensi, e non più d'una volta. Tutte sue amiche, e tutte eran vicine. Allor di quella bionda testa svelse Morte con la sua mano un aureo crine. Così del mondo il più bel fiore scelse; Non già per odio, ma per dimostrarsi Più chiaramente nelle cose eccelse. Quanti lamenti lagrimosi sparsi

Fur ivi, essendo que' begli occhi asciutti, Per ch'io lunga stagion cantai ed arsi! E fra tanti sospiri e tanti lutti

Tacita e lieta sola si sedea,

Del suo bel viver già cogliendo i frutti. Vattene in pace, o vera mortal Dea, Diceano: e tal fu ben; ma non le valse Contra la Morte in sua ragion si rea. Che fia dell'altre, se quest'arse ed alse In poche notti, e si cangiò più volte? Oh umane speranze cieche e false! Se la terra bagnâr lagrime molte, Per la pietà di quell'alma gentile, Chi 'l vide il sa; tu 'l pensa, che l'ascolte

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