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SONETTO CCLXIX.

EFIRO torna, e 'l bel tempo rimena,

E i fiori, e l' crbe, fua dolce famiglia ;
E garrir Progne e pianger Filomena ;
E primavera candida e vermiglia.

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Ridono i prati, e 'l ciel fi tafferena; Giove s' allegra di mirar fua figlia:

L'aria, e l'acqua, e la terra è' d'amor piena: Ogni animal d' amar fi riconfiglia.

Ma per me, laffo, tornano i più gravi Sofpiri che del cor profondo tragge Quella ch' al ciel fe ne portò le chiavi : E cantar' augelletti, e fiorir piagge,

E 'n belle donne onefte atti foavi

Sono un deferto, e fere aspre, e selvagge.

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SONETTO CCLXX.

UEL rofigniuol che si foave piagne
Forfe fuoi figli, o fua cara conforte,
Di dolcezza empie il cielo, e le campagne
Con tante note si pietofe, e scorte :

E tutta notte par che m' accompagne',
E mi rammente la mia dura forte:
Ch' altri che me non ho di cui mi lagne;
Che 'n Dee non credev' io regnaffe Morte.
O che lieve è ingannar chi s'affecura !
Que' duo bei lumi assai più che 'l Sol chiari
Chi pensò mai veder far terra ofcura?

Or conofco io che mia fera ventura Vuol che vivendo, e lagrimando impari Come nulla quaggiù diletta, e dura,

SONETTO CCLXXI.

Nè per fereno ciel' ir vaghe stelle ;
Nè per tranquillo mar legni spalmati ;
Nè per campagne cavalieri armati ;
Nè per bei bofchi allegre fere, e snelle;
Nè d' afpettato ben frefche novelle ;
Nè dir d'amore in ftili alti, ed ornati;
Nè tra chiare fontane, e verdi prati
Dolce cantare onefte donne, e belle;

Nè altro farà mai ch' al cor m'aggiunga ;
Sì feco il seppe quella feppellire

Che fola a gli occhi miei fu lume, e fpeglio.
Noja m' è 'l viver sì gravofa, e lunga,
Ch'i' chiamo il fine per lo gran defire.
Di riveder cui non veder fu'l meglio.

SONETTO CCLXXII., PASSATO è 'l tempo omai, laffo, che tanto Con refrigerio in mezzo 'l foco viffi:

Faffato è quella di ch' io pianfi, e fcriffi;
Ma lasciato m' ha ben la pena, e 'l pianto.
Paffato è'l vifo sì leggiadro, e fanto:

Ma paffando, i dolci occhi al cor m'ha fiffi,

:

A cor, già mio;

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Lei ch' avvolto l' avea nel fuo bel manto:

Ella' fe ne portò fotterra, e'n Cielo ;

Ov' or trionfa ornata dell' Alloro

Che meritò la fua invitta oneftate.

Così difciolto dal mortal mio velo ,
Ch' a forza mi tien qui, fofs' io con loro
Fuor de' fofpir frá 1 anime beate.

M

SONET TO CCLXXII.

ENTE mia, che prefaga de' tuoi danni
Al tempo lieto già penfofa, e trifta
Sì intentamente nell' amata vista
Requie cercavi de' futuri affanni:

A gli atti, alle parole, al vifo, ai panni,
Alla nova pietà con dolor mista,
Potei ben dir; fe del tutto eri avvifta:
Quest' è l'ultimo dì de' miei dolci ani.
Qual dolcezza fu quella, o mifer' alma
Come ardevamo in quel punto che i vidi
Gli occhi i quai non devea rivederemai !

Quando a lor, come a duo amici più fidi, Partendo, in guardia la più nobil falma, I miei cari penfieri, e'l cor lasciai. 201

SONETTO CCLXXIV. ¿

TUTTA

UTTA la mia fiorita, e verde etade
Paffava; e 'ntepidir fentía già 'l focon
Ch' arfe'l mio cor'; ed era giunto al loco
Ove fcende la vita, ch' al fin cade:

Già incominciava a prender ficurtade
La mia cara nemica a poco a poco
De' fuoi fofpetti; e rivolgeva in gioco
Mie pene acerbe fua dolce oneftade ::

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Preffo era 'I tempo, dov' Amor si scontra Con Caftitate; ed a gli amanti è dato Sederfi infieme, e dir che lor' inqontra, Morte ebbe invidia al mio felice: ftator Anzi alla fpeme; e féglifi all' incontra A mezza via, come nemico armato. i

T

..SONET TO. CCLXXV.

EMPO era omai da trovar pace, o tregua Di tanta guerra; ed erane in via forfe; Se non ch' e lieti paffi indietro torfe Chi le disagguaglianze nostre adegua :

Che, come nebbia al vento fi dilegua,
Così fua vita fubito trafcorfe

Quella che già co' begli occhi mi scorse;
Ed or conven che col penfier la fegua.

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e 'l pelo

Poco aveva a 'ndugiar, che gli anni
Cangiavano i coftumi: onde fospetto
Non fora il ragionar del mio mal feco.
Conche onesti sospiri l'avrei detto
Le mie lunghe fatiche, ch' or dal Cielo
Vede, fon certo; e duolfene ancor meco!
CCLXXVI.

SONETTO

TRANQUILLO

RANQUILLO porto avea mostrato Amore

Alla mia lunga, e torbida tempefta

Fra gli anni dell' età matura onesta,

Che i vizj fpoglia, e vertù veste, e onore.
Già traluceva a' begli occhi 'l mio core,.
E l'alta fede non più lor molesta.

Ahi, Morte ria, come a schiantar fe prefta
Il frutto di molt anni in sì poche ore!

Pur vivendo veniafi ove depofto

In quelle cafte orecchie avrei parlando
De' miei dolci penfier l'antica foma;

Ed ella avrebbe a me forse risposto
Qualche fanta parola fofpirando,
Cangiati i volti, e l'una, e l'altra coma.

SONETTO CCLXXVII.

AL cader d'una pianta, che fi svelse,
Come quella che ferro, o vento fterpe,
Spargendo a terra le fue fpoglie eccelse,
Moftrando al Sol la fua fquallida fterpe;

Vidi un' altra, ch' Amor' obbietto scelfe,
Subbietto in me Calliope, ed Euterpe ;

Che'l cor m'avvinfe, e proprio albergo felfe,
Qual per tronco, o per muro edera ferpe.
Quel vivo Lauro ove folean far nido
Gli alti penfieri, e i miei fofpiri ardenti,
Che de' bei rami mai non moffen fronda ;
Al Ciel traflato, in quel fuo albergo fido
Lafciò radici, onde con gravi accenti
È ancor chi chiami, e non è chi risponda.

SONETTO CCLXXVIII.

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I Dì miei più leggier che nessun cervo,
Fuggir com' ombra; e non vider più bene
Ch' un batter d'occhio e poche ore ferene,
Ch' amare
e dolci nella mente fervo.
Mifero mondo, inftabile, e protervo,
Del tutto è cieco chi 'n te pon fua fpene :
Che 'n te mi fu 'l cor tolto; ed or fel tene
Tal ch'è già terra, e non giunge ofso a nervo.
Ma la forma miglior, che vive ancora,
E vivrà fempre fu nell' alto Cielo ;
Di fue bellezze ognor più m'innamora :

E vo fol' in penfar cangiando 'l pelo,
Qual' ella è oggi, e 'n qual parte dimora ;
Qual' a vedere il fuo leggiadro velo.

BY

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