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Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi.

Morte m'ha fciolto, Amor, d'ogni tua legge ;.. Quella che fu mia Donna, al Cielo è gita, Lafciando trifta, e libera mia vita.

SONETTO CCXXX.

L'ARDENTE

R DENTE nodo ov' io fui d'ora în ora
Contando anni ventuno interi prefo;
Morte difciolfe: nè giammai tal pefo
Provai nè credo ch' uom di dolor mora.
Non volendomi Amor perder ancora
Ebbe un' altro lacciuol fra l'erba teso,
E di nov' efca un' altro foco accefo,
Tal, ch' a gran pena indi fcampato fora:
E fe non foffe efperienza molta

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De' primi affanni, i' farei prefo, ed arfo,
Tanto più, quanto fon men verde legno:
Morte m'ha liberato un' altra volta;

E rotto 'l nodo, e 'l foco ha fpento, e fparfo,
Contra la qual non val forza, nè 'ngegno.

A

SONETTO CCXXXI.

LA vita fugge, e non s'arresta un' ora 5.

E la morte vien dietro a gran giornate:
E le cofe prefenti, e le paffate

Mi danno guerra, e le future ancora ;

El rimembrar', e l'aspettar m' accora
Or quinci, or quindi sì, che 'n veritate
Se non ch'i' ho di me fteffo pietate,
I' farei già di quefti penfier fora.

Tornami avanti, s' alcun dolce mai
Ebbe 'l cor trifto; e poi dall' altra parte
Veggio al mio navigar turbati i venti.

.

Veggio fortuna in porto, e ftanco omai Il mio nocchier e rotte arbore e farte, E i lumi bei che mirar foglio, penti.

C

SONETTO CCXXXII.

HE fai che penfi? che pur dietro guardi
Nel tempo che tornar non pote omai,
Anima fconfolata? che pur vai
Giugnendo legne al foco ove tu ardi ?

Le foavi parole, e i dolci fguardi
Ch' ad un' ad un descritti, e dipint' hai,
Son levati da terra; ed è (ben fai)
Qui ricercargli intempeftivo, e tardi.

Deh non rinnovellar quel che n' ancide;
Non feguir più penfier vago fallace,
Ma faldo, e certo, ch' a buon fin ne guide.
Cerchiamo 'l Ciel, fe qui nulla ne piace;
Che mal per noi quella beltà fi vide ".
Se viva, e morta ne devea tor pace.

SONETTO CCXXXIII.

DATEMI pace, o duri miei penfieri :

Non basta ben, ch' Amor, Fortuna, e Morte
Mi fanno guerra intorno, e 'n fu le porte,
Senza trovarmi dentro altri guerrieri ?

E tu, mio cor', ancor fe pur qual' eri,
Difleal' a me fol; che fere fcorte
Vai ricettando, e fei fatto conforte
De' miei nemici sì pronti, e leggieri:

In te i fecreti fuoi messaggi Amore,
In te fpiega Fortuna ogni fua pompa,
E Morte la memoria di quel colpo

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Che l'avanzo di me conven che rompa:

In te i vaghi penfier s' arman d'errore:
Perchè d'ogni mio mal te folo incolpo.
SONETTO CCXXXIV.

OCCHI miei, ofcurato è 'l noftro Sole;
Anzi è falito al Cielo, ed ivi splende :
Ivi 'l vedremo ancor': ivi n' attende;
E di noftro tardar forfe li dole.
Orecchie mie, l'angeliche parole
Suonano in parte ov'è chi meglio intende.
Piè miei, voftra ragion là non fi ftende
Ov' è colei ch' efercitar vi fole.

Dunque perchè mi date quefta guerra
Già di perder a voi cagion non fui
Vederla, udirla, e ritrovarla in terra.
Morte biafmate; anzi laudate lui

Che lega, e fcioglie, e 'n un punto apre, e ferra 3E dopo 1 pianto fa far lieto altrui.

SONETTO CCXXXV.

Poi che la vifta angelica ferena

Per fubita partenza in gran dolore

Lafciato ha l'alma, e 'n tenebrofo orrore;
Cerco parlando d'allentar mia pena.

Giufto duol certo a lamentar mi mena :.
Saffel chi n'è cagion', e fallo Amore:
Ch' altro rimedio non avea 'l mio core
Contra i faftidj oude la vita è piena.

Queft' un, Morte, m' ha tolto la tua mano, E tu, che copri, e guardi, ed hai or teco, Felice terra, quel bel vifo umano.

Me dove lafci fconfolato, e cieco; Pofcia che 'l dolce, ed amorofo e piano Lume degli occhi miei non è più meco ?

SONETTO CCXXXVI.

S'AMOR novo configlio non n'apporta;
Per forza converrà che 'l viver cange ::
Tanta paura, e duol l'alma trista ange;
Che 'l defit vive, e la fperanza è morta :
Onde fi sbigottisce, e fi fconforta
Mia vita in tutto, e notte, e giorno piange
Stanca fenza governo in mar che frange,
E 'n dubbia via fenza fidata scorta.

Immaginata guida la conduce;

Che la vera è fotterra; anzi è nel Cielo ;;
Onde più che mai chiara al cor traluce;
A gli occhi nò ch' un dolorofo velo
Contende lor la defiata luce;
E me fa sì per tempo cangiar pelo.

SONETTO CCXXXVII.

NELL' età fua più bella, e più fiorita;
Quand' aver fuol' Amor' in noi più forza,
Lafciando in terra la terrena fcorza

È Laura mia vital da me partita :

E viva, e bella, e nuda al Ciel falita;
Indi mi fignoreggia, indi mi sforza.
Deh perchè me del mio mortal non fcorza.
L'ultimo dì, ch'è primo all' altra vita?

Che come i miei penfier dietro a lei vanno Così leve, efpedita, e lieta l'alma

La fegua, ed io fia fuor di tanto affanno.

Ciò che s' indugia, è proprio per mio danno ; Per far me fteffo a me più grave falma. O che bel morir' era oggi è terz' anno!

SONETTO CCXXXVIII.

SE lamentar augelli, o verdi fronde

Mover foavemente all' aura estiva
Q roco mormorar di lucid' onde
S'ode d'una fiorita, e fresca riva ;

Là 'v'io feggia d'amor penfoso, e scriva ; Lei che'l Ciel ne moftrò, terra n' afconde, Veggio, ed odo, ed intendo : ch' ancor viva. Di sì lontano a' fofpir miei rifponde.

Deh perchè innanzi tempo ti consume ? Mi dice con pietate a che pur verfi Degli occhi trifti un dolorofo fiume?

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Di me non pianger tu che miei dì ferfi, Morendo, eterni; e nell' eterno lume, Quando mostrai di chiuder gli occhi, aperfi.

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