Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi. Morte m'ha fciolto, Amor, d'ogni tua legge ;.. Quella che fu mia Donna, al Cielo è gita, Lafciando trifta, e libera mia vita. SONETTO CCXXX. L'ARDENTE R DENTE nodo ov' io fui d'ora în ora De' primi affanni, i' farei prefo, ed arfo, E rotto 'l nodo, e 'l foco ha fpento, e fparfo, A SONETTO CCXXXI. LA vita fugge, e non s'arresta un' ora 5. E la morte vien dietro a gran giornate: Mi danno guerra, e le future ancora ; El rimembrar', e l'aspettar m' accora Tornami avanti, s' alcun dolce mai . Veggio fortuna in porto, e ftanco omai Il mio nocchier e rotte arbore e farte, E i lumi bei che mirar foglio, penti. C SONETTO CCXXXII. HE fai che penfi? che pur dietro guardi Le foavi parole, e i dolci fguardi Deh non rinnovellar quel che n' ancide; SONETTO CCXXXIII. DATEMI pace, o duri miei penfieri : Non basta ben, ch' Amor, Fortuna, e Morte E tu, mio cor', ancor fe pur qual' eri, In te i fecreti fuoi messaggi Amore, Che l'avanzo di me conven che rompa: In te i vaghi penfier s' arman d'errore: OCCHI miei, ofcurato è 'l noftro Sole; Dunque perchè mi date quefta guerra Che lega, e fcioglie, e 'n un punto apre, e ferra 3E dopo 1 pianto fa far lieto altrui. SONETTO CCXXXV. Poi che la vifta angelica ferena Per fubita partenza in gran dolore Lafciato ha l'alma, e 'n tenebrofo orrore; Giufto duol certo a lamentar mi mena :. Queft' un, Morte, m' ha tolto la tua mano, E tu, che copri, e guardi, ed hai or teco, Felice terra, quel bel vifo umano. Me dove lafci fconfolato, e cieco; Pofcia che 'l dolce, ed amorofo e piano Lume degli occhi miei non è più meco ? SONETTO CCXXXVI. S'AMOR novo configlio non n'apporta; Immaginata guida la conduce; Che la vera è fotterra; anzi è nel Cielo ;; SONETTO CCXXXVII. NELL' età fua più bella, e più fiorita; È Laura mia vital da me partita : E viva, e bella, e nuda al Ciel falita; Che come i miei penfier dietro a lei vanno Così leve, efpedita, e lieta l'alma La fegua, ed io fia fuor di tanto affanno. Ciò che s' indugia, è proprio per mio danno ; Per far me fteffo a me più grave falma. O che bel morir' era oggi è terz' anno! SONETTO CCXXXVIII. SE lamentar augelli, o verdi fronde Mover foavemente all' aura estiva Là 'v'io feggia d'amor penfoso, e scriva ; Lei che'l Ciel ne moftrò, terra n' afconde, Veggio, ed odo, ed intendo : ch' ancor viva. Di sì lontano a' fofpir miei rifponde. Deh perchè innanzi tempo ti consume ? Mi dice con pietate a che pur verfi Degli occhi trifti un dolorofo fiume? Di me non pianger tu che miei dì ferfi, Morendo, eterni; e nell' eterno lume, Quando mostrai di chiuder gli occhi, aperfi. |