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SONETTO CCXXXIII.

Dátemi pace, o duri miei pensieri :
Non basta ben ch' Amór, Fortuna, e Morte
Mi fanno guerra intorno e 'n su le porte,
Senza trovarmi dentro altri guerrieri?

E tu, mio cor, ancór se' pur qual eri
Disleál a me sol; che fere scorte
Vai ricettando, e sei fatto consorte
De' miei nemici sì pronti e leggieri :

In te i secreti suoi messaggi Amore,
In te spiega Fortuna ogni sua pompa,
E Morte la memoria di quel colpo

Che l'avanzo di me convién che rompa : In te i vaghi pensiér s'árman d' errore: Perchè d'ogni mio mal te solo incolpo.

SONETTO CCXXXIV.

Occhi miei, oscurato è 'l nostro Sole;
Anzi è salito al cielo, ed ivi splende :
Ivi 'l vedremo ancora ; ivi n'attende;
E di nostro tardár forse li dole.

Orecchie mie, l' angéliche parole
Suónano in parte ov'è chi meglio intende.
Piè miei, vostra ragión là non si stende
Ov' è coléi ch' esercitár vi sole.

Dunque perchè mi date questa guerra ? Già di perder a voi cagión non fui Vederla, udirla, e ritrovarla in terra. Morte biasmate; anzi laudate lui

Che lega e scioglie, e 'n un punto apre e serra E dopo 'l pianto sa far lieto altrúi.

SONETTO CCXXXV.

Poi che la vista angélica serena Per súbita partenza in gran dolore Lasciato ha l' alma, e 'n tenebroso orrore ; Cerco parlando d' allentár mia pena.

Giusto duol certo a lamentár mi mena: Sássel chi n'è cagión, e sallo Amore : Ch' altro rimedio non avéa 'l mio core Contra i fastidij onde la vita è piena.

Quest' un, Morte, m' ha tolto lá tua mano. E tu, che copri, e guardi, ed hai or teco, Felice terra, quel bel viso umano,

Me dove lasci sconsolato e cieco; Poscia che 'l dolce ed amoroso e piano Lume degli occhi miei non è più meco ? SONETTO CCXXXVI.

S' Amór novo consiglio non n'apporta ; Per forza converrà che 'l víver cange : Tanta paura e duol l'alma trista ange; Che 'l desír vive, e la speranza è morta : Onde si sbigottisce e si sconforta

Mia vita in tutto, e notte e giorno piange Stanca senza governo in mar che frange, E 'n dubbia via senza fidata scorta.

Immaginata guida la conduce;

Che la vera è sotterra; anzi è nel cielo ;
Onde più che mai chiara al cor traluce :
Agli occhi no; ch'un doloroso velo
Contende lor la desïata luce;

E me fa si per tempo cangiár pelo,

SONETTO CCXXXVII.

Nell' età sua più bella e più fiorita,
Quand' avér suol Amór in noi più forza,
Lasciando in terra la terrena scorza
È Laura mia vitál da me partita :

E viva, e bella, e nuda al ciel salita ;
Indi mi signoreggia, indi mi sforza.
Deh perchè me del mio mortál non scorza
L'último dì ch' è primo all' altra vita?

Che come i miei pensiér dietro a lei vanno; Così leve, espedita, e lieta l'alma La segua, ed io sia fuor di tanto affanno. Ciò che s'indugia, è proprio per mio danno, Per far me stesso a me più grave salma. O che bel morír era oggi è terz' anno!

SONETTO CCXXXVIII.

Se lamentár augelli, o verdi fronde
Móver söavemente all' aura estiva,
O roco mormorár di lúcid' onde
Sode d'una fiorita e fresca riva;

Là 'v' io seggia d'amór pensoso,
e scriva
Lei che 'l ciel ne mostrò, terra n'asconde,"
Veggio, ed odo, ed intendo : ch' ancór viva
Di si lontano a' sospír miei risponde.

Deh perchè innanzi tempo ti consume?
Mi dice con pietate: a che pur versi
Degli occhi tristi un doloroso fiume?

Di me non piánger tu: che miei dì fersi, Morendo, eterni : e nell' eterno lume, Quando mostrái di chiuder, gli occhi apersi. PARTE 2

SONETTO CCXXXIX.

Mai non fu' in parte ove sì chiar vedessi Quel che vedér vorréi, poi ch' io nol vidi; Nè dove in tanta libertà mi stessi; Nè 'mpiessi 'l ciel di sì amorosi stridi : Nè giammái vidi valle avér sì spessi Luoghi da sospirár riposti e fidi : Nè credo già ch' Amór in Cipro ayessi, O in altra riva sì söavi nidi.

L'acque párlan d'Amore, e l'ora, e i rami, E gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l'erba, Tutti insieme pregando ch' i' sempr' ami.

Ma tu ben nata, che dal ciel mi chiami; Per la memoria di tua morte acerba Preghi ch' i' sprezzi'l mondo e suoi dolci ami. SONETTO CCXL.

Quante fïate al mio dolce ricetto Fuggendo altrúi, e, s'ésser può, me stesso, Vo con gli occhi bagnando l' erba e'l petto ; Rompendo co' sospír l' áere da presso: Quante fiate sol pien di sospetto

Per luoghi ombrosi e foschi mi son messo
Cercando col pensiér l'alto diletto
Che morte ha tolto; ond' io la chiamo spesso:
Or in forma di Ninfa, o d'altra Diva,
Che del più chiaro fondo di Sorga esca >
E póngasi a sedér in su la riva;

Or l'ho veduta su per l'erba fresca
Calcare i fior com' una donna viva,
Mostrando in vista che di m le 'ncresca.

SONETTO CCXLI.

Alma felice, che sovente torni A consolár le mie notti dolenti

Con gli occhi tuoi, che morte non ha spenti,
Ma sovra 'l mortál modo fatti adorni ;
Quanto gradisco ch' i miei tristi giorni
A rallegrár di tua vista consenti:
Così incomincio a ritrovár presenti
Le tue bellezze a' suo' usati soggiorni.
Là 've cantando andái di te molt' anni,
Or, come vedi, vo di te piangendo ;
Di te piangendo no, ma de' miei danni.

Sol un riposo trovo in molti affanni;
Che quando torni ti conosco e 'ntendo
All' andár, alla voce, al volto, a' panni.
SONETTO CCXLII.

Discolorato hai, Morte, il più bel volto Che mai si vide; e i più begli occhi spenti Spirto più acceso di virtuti ardenti Del più leggiadro e più bel nodo hai sciolto.

In un momento ogni mio ben m' hai tolto: Posto hai silenzio a' più söavi accenti Che mai s'udiro; e me pien di lamenti : Quant' io veggio m'è noja, e quant'io ascolto. Ben torna a consolár tanto dolore Madonna, ove pietà la riconduce ; Nè trovo in questa vita altro soccorso: E se com' ella parla, e come luce Ridír potessi; accenderéi d'amore, Non dirò d'uom, un cor di tigre, o d'orso.

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