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A questi preghi, a questi miei sospiri, Affretta, affretta i passi

Gradita, e pur m' ascolta come pria, Quando il leggier tuo carro i destri augelli Portar' del ciel per la cerulea strada; Dalla regia superna rilucente

Del tuo Padre possente

Volar' gli augelli pargoletti e bruni;
E te recar' non tardi

Innanzi a'miei sì abbarbagliati sguardi .
Ogni grazia miraí del tuo bel viso,
E l'amorevol riso,

E da tue vaghe labbra

In suon più consolante

Queste intesi soavi parolette :

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Che mai da me, dal mio poter sovrano Oggi richiede Saffo? ah, le tue fiamme Qual garzon si ritroso

Sprezza, e crudele il tuo amoroso ardore Spegner non vuol, nè ti risponde al core? Ma quel tuo don sì caro,

Que' tuoi si dolci affetti,

Con vacillanti lumi

Tosto ti chiederà turbato in vista

Il giovane, pentito e sconsolato;
E tornandoti a lato,

El cor stringendo al core,
Risponderà nell' estasi d'amore.,,

Calma ancor gli affetti miei
Con que' si pietosi lai,
Ed in mezzo a tanti guai
Non lasciarmi, o Dea, così.

Tu mia Diva e scorta sei;
Splendan più sereni i giorni!
E Faone a me ritorni
Vago più che non parti!

Saffo entra nel tempio co'suoi seguaci.

SCENA II.

Tempio di Venere

AGENORE,

DORI,

Dori. Padre m' ascolta.

Agenore. No; non voglio: a questo
Disdegnoso di Lesbo giovinetto
Le mie ricchezze e tua beltade, o figlia,
No, mai non cederò : lo speri invano.
Dori. Il so pur troppo.

Ag Dunque al tuo recinto

Perché viene Faone?

Dort. Ubbidïente

Di questo tempio all'amorosa Diva.
Sua bella e seduttrice forma ammiro;

Chè mai, come Faone,

Non fu sì vago o sì leggiadro Adone. Ag. E per quel rilucente

Color del volto suo, sì ritrosetta,

Scacci Licida il buono ?

Dori. I suoi merti el valore
Assai stima il mio core.

Ag. Del tuo amor, di tua fede
Licida è degno; e fu da te gradito.
Odi le mie parole, odile, e trema:
Io, figlia, ti condussi

A questo tempio, e al sacro altare io giuro,
Se con Faon t'unisci, al giorno stesso
Più non vivrò.

Dori. Amato Genitore,

Deh! non parlar così.

Ag. Di novo il giuro.

Dori. T'arresta un sol momento.
Ag. Ingrata, fuggi; e, ad onta del tuo padre
E del dover, ritrosa,

Sia dell'aspro Faon Dori la sposa

Diran le Furie acces
Al cor tremante oppresso,
Ch' a quel momento istesso
Il padre tuo morì.

Parte Agenore.

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SCENA III.

DORI.

Che minacciar! tremendo sì, ma giusto. Come sia, ben lo so, possente e sacro Il dover d'una figlia;

Quanto caro è il tributo

All Amor mio dovuto,

Anch'io lo so; e so ch' all'uno, o all'altro
Mai non posso sottrarmi. Morte sola
M' ajuterà; che questi errori amati
Non san trovar pietà, se non dai Fati,

Degli Elisi o vergin' ombre
Deh! venite in lieta schiera
A me, vittima si fiera
Degli affanni e dell' amor:

E rispondano i mieť pianti
A' soavi vostri canti
Sulle sponde, ove d'obblio
Volge il rio

Tra le valli il sacro umor.

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LICIDA e poi sAFFO.

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Lic. Ninfa, ascolta-O non m'ode o pur mi fugge;

Forse a seguir Faone.-Asta mia fida, Che del lupo fellon spesso sapesti Gli oltraggi vendicar, or ti conviene Un predator ferir vie più spietato. Saffo. (Santi Numi! che vedo? un giovinetto (da se.)

Ver me turbato viene :

Ma benchè di furore
Scintillino i suoi lumi,

Il viso ha vago, e l'alma par pietosa.
Giovane sventurato!

Forse, che sia la ninfa sua crudele,
Or ei piange, e s'adira. (A lui per poco
Forse parlar convien.) Pastor cortese,
T'arresta, e bench'i' sia straniera e
ignota

Soffri che teco or parli,

Lic. Donna sei;

E le donne ho lasciato in abbandono.
Saf. (É giusto il mio timore;

Opra è questa d'amore. ) (da se.)
Odi, bench' i' sia donna, io non t'offesi:
Ma dimmi, per pietà, dove soggiorna

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