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Forse vuoi Dio tal di virtute amica
Torre alla terra, e 'n ciel farne una stella,
Anzi un sole: e se questo è, la mia vita,
I miei corti riposi e i lunghi affanni
Son giunti al fine. O dura dipartita,

Perchè lontan m' hai fatto da' miei danni?
La mia favola breve è già compita,
E fornito il mio tempo a mezzo gli anni.

SONETTO CXCVII - 217.

La sera desïar, odiar l'aurora
Soglion questi tranquilli e lieti amanti:
A me doppia la sera e doglia e pianti;
La mattina è per me più felice ora.

Chè spesso in un momento apron allora
L'un sole e l'altro quasi duo levanti,
Di beltate e di lume si sembianti,
Ch'anco 1 ciel della terra s'innamora :
Come già fece allor ch'e' primi rami
Verdeggiar, che nel cor radice m'hanno;
Per cui sempre altrui più che me stess' ami.
Cosi di me due contrarie ore fanno:
E chi m'acqueta è ben ragion ch' i' brami,
E tema ed odii chi m' adduce affanno.

SONETTO CXCVIII - 218.

Far potess' io vendetta di colei
Che guardando e parlando mi distrugge,
E per più doglia poi s'asconde e fugge,
Celando gli occhi a me si dolci e rei.

Cosi gli afflitti e stanchi spirti miei

A poco a poco consumando sugge;
E 'n sul cor, quasi fero leon, rugge
La notte, allor quand' io posar devrei.

L'alma, cui Morte del suo albergo caccia, Da me si parte; e di tal nodo sciolta, Vassene pur a lei che la minaccia.

Maravigliomi ben s'alcuna volta, Mentre le parla e piange, e poi l'abbraccia, Non rompe 'l sonno suo, s'ella l'ascolta.

SONETTO CXCIX - 219.

In quel bel viso ch'i' sospiro e bramo, Fermi eran gli occhi desiosi e 'ntensi, Quand'Amor porse (quasi a dir: che pensi ?) Quell'onorata man che secondo amo.

Il cor preso ivi come pesce all' amo,
Onde a ben far per vivo esempio viensi,
Al ver non volse gli occupati sensi,
O come nuovo augello al visco in ramo;
Ma la vista privata del suo obbietto,
Quasi sognando, si facea far via
Senza la qual il suo benè imperfetto:
L'alma, tra l'una e l'altra gloria mia,
Qual celeste non so novo diletto
E qual strania dolcezza si sentia.

SONETTO CC - 220.

Vive faville uscian de' duo bei lumi Ver me si dolcemente folgorando, E parte d' un cor saggio sospirando, D'alta eloquenza si soavi fiumi;

Che pur il rimembrar par mi consumi
Qualor a quel di torno, ripensando
Come venieno i miei spirti mancando
Al variar de' suoi duri costumi.

L'alma nudrita sempre in doglie e 'n pene
(Quant'è 'l poter d'una prescritta usanza!)
Contra doppio piacer si inferma fue,
Ch' al gusto sol del disusato bene,
Tremando or di paura or di speranza,
D'abbandonarmi fu spesso intra due.

SONETTO CCI - 221.

Cercato ho sempre solitaria vita (Le rive il sanno e le campagne e i boschi) Per fuggir quest' ingegni sordi e loschi, Che la strada del ciel hanno smarrita :

E se mia voglia in ciò fosse compita, Fuor del dolce aere de' paesi toschi Ancor m'avria tra' suoi be' colli foschi Sorga, ch'a pianger e cantar m'aita.

Ma mia fortuna, a me sempre nemica, Mi risospinge al loco ov'io mi sdegno Veder nel fango il bel tesoro mio.

Alla man ond' io scrivo, è fatta amica A questa volta; e non è forse indegno: Amor sel vide, e sal Madonna ed io.

SONETTO CCII - 222.

In tale stella duo begli occhi vidi, Tutti pien d' onestate e di dolcezza, Che presso a quei d' Amor leggiadri nidl Il mio cor lasso ogni altra vista sprezza. Non si pareggi a lei qual più s'apprezza In qualch' etade, in qualche strani lidi; Non chi recò con sua vaga bellezza In Grecia affanui, in Troia ultimi stridi; Non la bella Romana che col ferro Apri il suo casto e disdegnoso petto; Non Polissena, Issifile ed Argia.

Questa eccellenzia è gloria (s'io non erro) Graude a Natura, a me sommo diletto: Ma che? vien tardo e subito va via.

SONETTO CCIII - 223.

Qual donna attende a gloriosa fama Di senno, di valor, di cortesia, Miri fiso negli occhi a quella mia Nemica, che mia donna il mondo chiama. Come s'acquista onor, come Dio s'ama, Com'è giunta onestà con leggiadria, Ivi s'impara, e qual è dritta via Di gir al Ciel, che lei aspetta e brama. Ivi parlar che nullo stile agguaglia, El bel tacere, e quei santi costumi Ch' ingegno uman non può spiegar in carte. L'infinita bellezza, ch' altrui abbaglia, Non vi s'impara chè quei dolci lumi S'acquistan per ventura e non per arte.

SONETTO CCIV - 224.

Cara la vita, e dopo lel mi pare Vera onestà che 'n bella donna sia.

L'ordine volgi: e' non fur, madre mia, Senz'onestà mai cose belle o care.

E qual si lascia di suo onor privare, Nè donna è più, nè viva; e se, qual pria, Appare in vista, è tal vita aspra e ria Via più che morte e di più pene amare. Nė di Lucrezia mi maravigliai, Se non come a morir le bisognasse Ferro, e non le bastasse il dolor solo.

Vengan quanti filosofi fur mai

A dir ciò tutte lor vie fien basse;
E quest' una vedremo alzarsi a volo.

SONETTO CCV - 225.

Arbor vittoriosa trionfale,
Onor d'imperadori e di poeti,

Quanti m'hai fatto di dogliosi e lieti
In questa breve mia vita mortale!

Vera donna, ed a cui di nulla cale
Se non d'onor, che sovr' ogni altra mieti:
Ne d' Amor visco temi o lacci o reti;

Ne inganno altrui contra 'l tuo senno vale.
Gentilezza di sangue, e l'altre care
Cose tra noi, perle, rubini ed oro,
Quasi vil soma, egualmente dispregi.

L'alta beltà, ch' al mondo non ha pare,
Noia t'è, se non quanto il bel tesoro
Di castità per ch'ella adorni e fregi.

CANZONE XVII - 39.

I'vo pensando, e nel pensier m'assale
Una pietà si forte di me stesso,
Che mi conduce spesso

Ad altro lagrimar ch'i' non soleva:
Chè vedendo ogni giorno il fin più presso,
Mille fiate ho chieste a Dio quell'ale
Con le quai del mortale

Carcer nostr' intelletto al ciel si leva;
Ma infin a qui niente mi rileva
Prego o sospiro o lagrimar ch'io faccia:
E così per ragion convien che sia;
Chè chi possendo star, cadde tra via,
Degno è che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia,

In ch'io mi fido, veggio aperte ancora;
Ma temenza m'accora

Per gli altrui esempi; e del mio stato tremo;
Ch'altri mi sprona, e son forse all'estremo.
L'un pensier parla con la mente, e dice:
Che pur agogni? onde soccorso attendi ?
Misera, non intendi

Con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
E del cor tuo divelli ogni radice
Del piacer che felice

Non può mai fare, e respirar nol lassa.
Se, già è gran tempo, fastidita e lassa
Se' di quel falso dolce fuggitivo
Che 'l mondo traditor può dare altrui,
A che ripon più la speranza in lui,
Che d'ogni pace e di fermezza è privo?
Mentre che corpo è vivo,

Hai tu fren in balía de' pensier tuoi.
Deh stringilo or che puoi:

Chè dubbioso è il tardar, come tu sai;
E' cominciar non fia per tempo omai.
Già sai tu ben quanta dolcezza porse
Agli occhi tuoi la vista di colei
La qual anco vorrei

Ch'a nascer fosse per più nostra pace.
Ben ti ricordi (e ricordar ten dèi)
Dell'immagine sua, quand' ella corse
Al cor, là dove forse

Non potea fiamma intrar per altrui face.
Ella l'accese: e se l'ardor fallace
Durò molt' anni in aspettando un giorno
Che per nostra salute unqua non vene,
Or ti solleva a più beata spene,
Mirando' ciel, che ti si volve intorno
Immortal ed adorno:

Chè dove, del mal suo quaggiù si lieta,
Vostra vaghezza acqueta

Un mover d'occhio, un ragionar, un canto;
Quanto fia quel piacer, se questo è tanto?

Dall'altra parte un pensier dolce ed agro,
Con faticosa e dilettevol salma
Sedendosi entro l'alma,

Preme 'l cor di desio, di speme il pasce;
Che sol per fama gloriosa ed alma
Non sente quand' io agghiaccio o quand' io
S'i' son pallido o magro;
[flagro,

Es' io l'occido, più forte rinasce.
Questo, d'allor ch'i' m' addormiva in fasce,
Venuto è di di in di crescendo meco;

E temo ch' un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l'alma delle membra ignuda,
Non può questo desio più venir seco.
Ma se'l Latino e 'l Greco

Parlan di me dopo la morte, è un vento;
Ond' io, perchè pavento

Adunar sempre quel ch' un' ora sgombre,
Vorre' il vero abbracciar, lassando l'ombre.
Ma quell'altro voler, di ch'i' son pieno,
Quanti press' a lui nascon par ch' adugge;
E parte il tempo fugge

Che scrivendo d' altrui, di me non calme;
E' lume de' begli occhi, che mi strugge
Soavemente al suo caldo sereno,

Mi ritien con un freno

Contra cui nullo ingegno o forza valme.
Che giova dunque perchè tutta spalme
La mia barchetta, poi che 'n fra gli scogli
È ritenuta ancor da ta' duo nodi?

Tu che dagli altri, che 'n diversi modi
Legano 'l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, che non togli

Omai dal volto mio questa vergogna?
Ch'a guisa d'uom che sogna,

Aver la morte innanzi gli occhi parme;
E vorrei far difesa, e non ho l'arme.

Quel ch'i' fo, veggio; e non m'inganna il Mal conosciuto, anzi mi sforza Amore, [vero Che la strada d'onore

Mai nol lassa seguir, chi troppo il crede:

E sento ad or ad or venirmi al core

Un leggiadro disdegno, aspro e severo,
Ch'ogni occulto pensero

Tira in mezzo la fronte, ov' altri 'l vede:

44

SONETTI E CANZONI IN VITA DI M. LAURA

Chè mortal cosa amar con tanta fede,
Quanta a Dio sol per debito conviensi,
Più si disdice a chi più pregio brama.
E questo ad alta voce anco richiama
La ragione sviata dietro ai sensi:
Ma perchè l'oda, e pensi

Tornare, il mal costume oltre la spigne,
Ed agli occhi dipigne

Quella che sol per farmi morir nacque,
Perch'a me troppo, ed a sè stessa piacque.
No so che spazio mi si desse il Cielo,
Quando novellamente io venni in terra
A soffrir l'aspra guerra

Che 'ncontra me medesmo seppi ordire;
Nè posso giorno che la vita serra
Antiveder per lo corporeo velo:
Ma variarsi il pelo

Veggio, e dentro cangiarsi ogni desire.
Or ch'i' mi credo al tempo del partire
Esser vicino o non molto da lunge,
Come chi perder face accorto e saggio,
Vo ripensando ov' io lassai 'l viaggio
Dalla man destra, ch' a buon porto aggiunge;
E dall' un lato punge

Vergogna e duol, che 'ndietro mi rivolve;
Dall' altro non m'assolve

Un piacer per usanza in me si forte,
Ch'a patteggiar n'ardisce con la morte.

Canzon, qui sono; ed ho 'l cor via più freddo
Della paura, che gelata neve,
Sentendomi perir senz' alcun dubbio;
Che pur deliberando, ho volto al subbio
Gran parte omai della mia tela breve:
Nè mai peso fu greve

Quanto quel ch'i' sostegno in tale stato;
Chè con la Morte a lato

Cerco del viver mio novo consiglio,

E veggio' meglio, ed al peggior m' appiglio.

SONETTO CCVI – 226.

Aspro core e selvaggio, e cruda voglia
In dolce, umile, angelica figura,
Se l'impreso rigor gran tempo dura,
Avran di me poco onorata spoglia:

Chè quando nasce e mor fior, erba e foglia,
Quando è 'l dì chiaro e quando è notte oscura,
Piango ad ognor. Ben ho di mia ventura,
Di Madonna e d'Amore onde mi doglia.
Vivo sol di speranza, rimembrando
Che poco umor già per continua prova
Consumar vidi marmi e pietre salde.

Non è si duro cor che lagrimando, Pregando, amando talor non si smova, Nè si freddo voler che non si scalde.

SONETTO CCVII – 227.

Signor mio caro, ogni pensier mi tira Devoto a veder voi, cui sempre veggio; La mia fortuna (or che mi può far peggio?) Mi tene a freno e mi travolve e gira.

Poi quel dolce desio ch'Amor mi spira Menami a morte ch'i' non me n'avveggio; E mentre i miei duo lumi indarno cheggio, Dovunque io son, di e notte si sospira. Carità di signore, amor di donna Son le catene ove con molti affanni Legato son, perch'io stesso mi strinsi.

Un Lauro verde, una gentil Colonna, Quindici l'una, e l'altro diciott' anni Portato ho in seno, e giammai non mi seinsi.

PARTE SECONDA

SONETTI E CANZONI

IN MORTE DI MADONNA LAURA

SONETTO I 228.

Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, Oimè il leggiadro portamento altero, Oimè l parlar ch'ogni aspro ingegno e fero Faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo;

Ed oimè il dolce riso ond' uscio 'l dardo Di che morte, altro bene omai non spero; Alma real, dignissima d'impero,

Se non fossi fra noi scesa si tardo;

Per voi conven ch'io arda e 'n voi respire: Ch'i' pur fui vostro, e se di voi son privo, Via men d'ogni sventura altra mi dole. Di speranza m'empieste e di desire Quand' io parti' dal sommo piacer vivo; Ma 'l vento ne portava le parole.

CANZONE I-40.

Che debbo io far? che mi consigli, Amore? Tempo è ben di morire;

Ed ho tardato più ch'i' non vorrei.
Madonna è morta ed ha seco 'l mio core;
E volendol seguire,

Interromper conven quest' anni rei:
Perchè mai veder lei

Di qua non spero; e l'aspettar m'è noia:
Poscia ch'ogni mia gioia,

Per lo suo dipartire, in pianto è volta,
Ogni dolcezza di mia vita è tolta.

Amor, tu '1 senti, ond' io teco mi doglio,
Quant'è 'l danno aspro e grave;
E so che del mio mal ti pesa e dole,
Anzi del nostro; perch' ad uno scoglio
Avem rotto la nave,

Ed in un punto n'è scurato il sole.
Qual ingegno a parole

Poria agguagliar il mio doglioso stato?
Ahi orbo mondo ingrato!

Gran cagion hai di dever pianger meco;
Chè quel ben ch'era in te, perdut' hai seco.
Caduta è la tua gloria, e tu nol vedi:
Nè degno eri, mentr' ella

Visse quaggiù, d'aver sua conoscenza,
Ne d'esser tocco da' suoi santi piedi;
Perchè cosa si bella

Deveal ciel adornar di sua presenza.
Ma io, lasso, che senza

Lei, nè vita mortal nè me stess' amo,
Piangendo la richiamo:

Questo m' avanza di cotanta spene,
E questo solo ancor qui mi mantene.
Oimè, terra è fatto il suo bel viso,
Che solea far del cielo

E del ben di lassù fede fra noi.
L'invisibil sua forma è in paradiso,
Disciolta di quel velo

Che qui fece ombra al fior degli anni suoi,
Per rivestirsen poi

Un'altra volta, e mai più non spogliarsi;
Quand' alma e bella farsi

Tanto più la vedrem, quanto più vale
Sempiterna bellezza che mortale.

Più che mai bella e più leggiadra donna Tornami innanzi, come

Là dove più gradir sua vista sente.
Quest'è del viver mio l' una colonna.
L'altra è 'l suo chiaro nome,
Che sona nel mio cor si dolcemente.
Ma tornandomi a mente

Che pur morta è la mia speranza, viva
Allor ch'ella fioriva,

Sa ben Amor qual io divento, e (spero)
Vedel colei ch'è or si presso al vero.
Donne, voi che miraste sua beltate
E l'angelica vita

Con quel celeste portamento in terra,
Di me vi doglia e vincavi pietate,
Non di lei, ch'è salita

A tanta pace, e me ha lasciato in guerra:
Tal, che s'altri mi serra

Lungo tempo il cammin da seguitarla,
Quel ch'Amor meco parla,

Sol mi ritien ch'io non recida il nodo;
Ma e' ragiona dentro in cotal modo:

Pon freno al gran dolor che ti trasporta; Chè per soverchie voglie

Si perde 'I cielo, ove 'l tuo core aspira;
Dov'è viva colei ch' altrui par morta;
E di sue belle spoglie

Seco sorride, e sol di te sospira:

E sua fama che spira

In molte parti ancor per la tua lingua,
Prega che non estingua;

Anzi la voce al suo nome rischiari,
Se gli occhi suoi ti fur dolci nè cari.
Fuggi' sereno e 'l verde,

Non t'appressar ove sia riso o canto,
Canzon mia, no, ma pianto:

Non fa per te di star fra gente allegra,
Vedova sconsolata in vesta negra.

SONETTO II - 229.

Rotta è l'alta Colonna e 'l verde Lauro Che facean ombra al mio stanco pensero; Perdut' ho quel che ritrovar non spero Dal borea all'austro, o dal mar indo al mauro. Tolto m' hai, Morte, il mio doppio tesauro, Che mi fea viver lieto e gire altero; E ristorar nol può terra nè impero, Ne gemma oriental, nè forza d'auro.

Ma se consentimento è di destino, Che poss'io più se no aver l'alma trista, Umidi gli occhi sempre, e 'l viso chino? O nostra vita, ch'è si bella in vista, Com' perde agevolmente in un mattino Quel che 'n molt'anni a gran pena s'acquista !

CANZONE II - 41.

Amor, se vuo' ch'i' torni al giogo antico, Come par che tu mostri, un'altra prova Maravigliosa e nova,

Per domar me, convienti vincer pria:
Il mio amato tesoro in terra trova,

Che m'è nascosto, ond'io son si mendico:
El cor saggio pudico,

Ove suol albergar la vita mia:

E s'egli è ver che tua potenza sia
Nel ciel si grande come si ragiona,
E nell'abisso (perchè qui fra noi
Quel che tu vali e puoi,

Credo che 'l senta ogni gentil persona);
Ritogli a Morte quel ch'ella n'ha tolto,
E ripon le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro 'l bel viso il vivo lume,
Ch' era mia scorta; e la soave fiamma,
Ch'ancor, lasso, m'infiamma,

Essendo spenta; or che fea dunque ardendo?
E' non si vide mai cervo nè damma
Con tal desio cercar fonte nè fiume,
Qual io il dolce costume,

Ond' ho già molto amaro, e più n' attendo,
Se ben me stesso e mia vaghezza intendo:

Che mi fa vaneggiar sol del pensero
E gir in parte ove la strada manca,
E con la mente stanca

Cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno,
Chè signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir di quell'aura gentile
Di fuor, siccome dentro ancor si sente;
La qual era possente,

Cantando, d'acquetar gli sdegni e l'ire,
Di serenar la tempestosa mente,

E sgombrar d'ogni nebbia oscura e vile;
Ed alzava 'l mio stile

Sovra di sè dov' or non poria gire.
Agguaglia la speranza col desire;

E poi che l'alma è in sua ragion più forte,
Rendi agli occhi, agli orecchi il proprio obbietto,
Senza 'l qual, imperfetto

È lor oprar e 'l mio viver è morte.
Indarno or sopra me tua forza adopre,
Mentre mio primo amor terra ricopre.

Fa ch'io riveggia il bel guardo ch'un sole Fu sopra' ghiaccio ond' io solea gir carco: Fa' ch'io ti trovi al varco

Onde senza tornar passò 'l mio core;
Prendi i dorati strali e prendi l'arco,
E facciamisi udir, siccome sole,
Col suon delle parole

Nelle quali io 'mparai che cosa è amore;
Movi la lingua ov' erano a tutt'ore
Disposti gli ami ov'io fui preso, e l'esca
Ch'i' bramo sempre; e i tuoi lacci nascondi
Fra i capei crespi e biondi,

Che 'l mio voler altrove non s'invesca;
Spargi con le tue man le chiome al vento,
Ivi mi lega, e puomi far contento.

Dal laccio d'or non fia mai che mi scioglia,
Negletto ad arte, e 'nnanellato ed irto;
Nè dall' ardente spirto

Della sua vista dolcemente acerba,

La qual di e notte, più che lauro o mirto,
Tenea in me verde l'amorosa voglia,
Quando si veste e spoglia

Di fronde il bosco e la campagna d'erba.
Ma poi che Morte è stata si superba
Che spezzòl nodo ond' io temea scampare,
Nè trovar puoi quantunque gira il mondo,
Di che ordischi il secondo;

Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare?
Passata è la stagion, perduto hai l'arme
Di ch'io tremava: omai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi onde l'accese
Saette uscivan d'invisibil foco,

E ragion temean poco,

Chè contra 1 Ciel non val difesa umana:
Il pensar e 'l tacer, il riso e 'l gioco,
L'abito onesto e 'l ragionar cortese.
Le parole che 'ntese

Avrian fatto gentil d'alma villana;
L'angelica sembianza, umile e piana,
Ch'or quinci or quindi udia tanto lodarsi:
El sedere e lo star, che spesso altrui
Poser in dubbio a cui

Devesse il pregio di più laude darsi.
Con quest' arme vincevi ogni cor duro:
Or se' tu disarmato, i' son secure.

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