Forse vuoi Dio tal di virtute amica Perchè lontan m' hai fatto da' miei danni? SONETTO CXCVII - 217. La sera desïar, odiar l'aurora Chè spesso in un momento apron allora SONETTO CXCVIII - 218. Far potess' io vendetta di colei Cosi gli afflitti e stanchi spirti miei A poco a poco consumando sugge; L'alma, cui Morte del suo albergo caccia, Da me si parte; e di tal nodo sciolta, Vassene pur a lei che la minaccia. Maravigliomi ben s'alcuna volta, Mentre le parla e piange, e poi l'abbraccia, Non rompe 'l sonno suo, s'ella l'ascolta. SONETTO CXCIX - 219. In quel bel viso ch'i' sospiro e bramo, Fermi eran gli occhi desiosi e 'ntensi, Quand'Amor porse (quasi a dir: che pensi ?) Quell'onorata man che secondo amo. Il cor preso ivi come pesce all' amo, SONETTO CC - 220. Vive faville uscian de' duo bei lumi Ver me si dolcemente folgorando, E parte d' un cor saggio sospirando, D'alta eloquenza si soavi fiumi; Che pur il rimembrar par mi consumi L'alma nudrita sempre in doglie e 'n pene SONETTO CCI - 221. Cercato ho sempre solitaria vita (Le rive il sanno e le campagne e i boschi) Per fuggir quest' ingegni sordi e loschi, Che la strada del ciel hanno smarrita : E se mia voglia in ciò fosse compita, Fuor del dolce aere de' paesi toschi Ancor m'avria tra' suoi be' colli foschi Sorga, ch'a pianger e cantar m'aita. Ma mia fortuna, a me sempre nemica, Mi risospinge al loco ov'io mi sdegno Veder nel fango il bel tesoro mio. Alla man ond' io scrivo, è fatta amica A questa volta; e non è forse indegno: Amor sel vide, e sal Madonna ed io. SONETTO CCII - 222. In tale stella duo begli occhi vidi, Tutti pien d' onestate e di dolcezza, Che presso a quei d' Amor leggiadri nidl Il mio cor lasso ogni altra vista sprezza. Non si pareggi a lei qual più s'apprezza In qualch' etade, in qualche strani lidi; Non chi recò con sua vaga bellezza In Grecia affanui, in Troia ultimi stridi; Non la bella Romana che col ferro Apri il suo casto e disdegnoso petto; Non Polissena, Issifile ed Argia. Questa eccellenzia è gloria (s'io non erro) Graude a Natura, a me sommo diletto: Ma che? vien tardo e subito va via. SONETTO CCIII - 223. Qual donna attende a gloriosa fama Di senno, di valor, di cortesia, Miri fiso negli occhi a quella mia Nemica, che mia donna il mondo chiama. Come s'acquista onor, come Dio s'ama, Com'è giunta onestà con leggiadria, Ivi s'impara, e qual è dritta via Di gir al Ciel, che lei aspetta e brama. Ivi parlar che nullo stile agguaglia, El bel tacere, e quei santi costumi Ch' ingegno uman non può spiegar in carte. L'infinita bellezza, ch' altrui abbaglia, Non vi s'impara chè quei dolci lumi S'acquistan per ventura e non per arte. SONETTO CCIV - 224. Cara la vita, e dopo lel mi pare Vera onestà che 'n bella donna sia. L'ordine volgi: e' non fur, madre mia, Senz'onestà mai cose belle o care. E qual si lascia di suo onor privare, Nè donna è più, nè viva; e se, qual pria, Appare in vista, è tal vita aspra e ria Via più che morte e di più pene amare. Nė di Lucrezia mi maravigliai, Se non come a morir le bisognasse Ferro, e non le bastasse il dolor solo. Vengan quanti filosofi fur mai A dir ciò tutte lor vie fien basse; SONETTO CCV - 225. Arbor vittoriosa trionfale, Quanti m'hai fatto di dogliosi e lieti Vera donna, ed a cui di nulla cale Ne inganno altrui contra 'l tuo senno vale. L'alta beltà, ch' al mondo non ha pare, CANZONE XVII - 39. I'vo pensando, e nel pensier m'assale Ad altro lagrimar ch'i' non soleva: Carcer nostr' intelletto al ciel si leva; In ch'io mi fido, veggio aperte ancora; Per gli altrui esempi; e del mio stato tremo; Con quanto tuo disnore il tempo passa? Non può mai fare, e respirar nol lassa. Hai tu fren in balía de' pensier tuoi. Chè dubbioso è il tardar, come tu sai; Ch'a nascer fosse per più nostra pace. Non potea fiamma intrar per altrui face. Chè dove, del mal suo quaggiù si lieta, Un mover d'occhio, un ragionar, un canto; Dall'altra parte un pensier dolce ed agro, Preme 'l cor di desio, di speme il pasce; Es' io l'occido, più forte rinasce. E temo ch' un sepolcro ambeduo chiuda. Parlan di me dopo la morte, è un vento; Adunar sempre quel ch' un' ora sgombre, Che scrivendo d' altrui, di me non calme; Mi ritien con un freno Contra cui nullo ingegno o forza valme. Tu che dagli altri, che 'n diversi modi Omai dal volto mio questa vergogna? Aver la morte innanzi gli occhi parme; Quel ch'i' fo, veggio; e non m'inganna il Mal conosciuto, anzi mi sforza Amore, [vero Che la strada d'onore Mai nol lassa seguir, chi troppo il crede: E sento ad or ad or venirmi al core Un leggiadro disdegno, aspro e severo, Tira in mezzo la fronte, ov' altri 'l vede: 44 SONETTI E CANZONI IN VITA DI M. LAURA Chè mortal cosa amar con tanta fede, Tornare, il mal costume oltre la spigne, Quella che sol per farmi morir nacque, Che 'ncontra me medesmo seppi ordire; Veggio, e dentro cangiarsi ogni desire. Vergogna e duol, che 'ndietro mi rivolve; Un piacer per usanza in me si forte, Canzon, qui sono; ed ho 'l cor via più freddo Quanto quel ch'i' sostegno in tale stato; Cerco del viver mio novo consiglio, E veggio' meglio, ed al peggior m' appiglio. SONETTO CCVI – 226. Aspro core e selvaggio, e cruda voglia Chè quando nasce e mor fior, erba e foglia, Non è si duro cor che lagrimando, Pregando, amando talor non si smova, Nè si freddo voler che non si scalde. SONETTO CCVII – 227. Signor mio caro, ogni pensier mi tira Devoto a veder voi, cui sempre veggio; La mia fortuna (or che mi può far peggio?) Mi tene a freno e mi travolve e gira. Poi quel dolce desio ch'Amor mi spira Menami a morte ch'i' non me n'avveggio; E mentre i miei duo lumi indarno cheggio, Dovunque io son, di e notte si sospira. Carità di signore, amor di donna Son le catene ove con molti affanni Legato son, perch'io stesso mi strinsi. Un Lauro verde, una gentil Colonna, Quindici l'una, e l'altro diciott' anni Portato ho in seno, e giammai non mi seinsi. PARTE SECONDA SONETTI E CANZONI IN MORTE DI MADONNA LAURA SONETTO I 228. Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, Oimè il leggiadro portamento altero, Oimè l parlar ch'ogni aspro ingegno e fero Faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo; Ed oimè il dolce riso ond' uscio 'l dardo Di che morte, altro bene omai non spero; Alma real, dignissima d'impero, Se non fossi fra noi scesa si tardo; Per voi conven ch'io arda e 'n voi respire: Ch'i' pur fui vostro, e se di voi son privo, Via men d'ogni sventura altra mi dole. Di speranza m'empieste e di desire Quand' io parti' dal sommo piacer vivo; Ma 'l vento ne portava le parole. CANZONE I-40. Che debbo io far? che mi consigli, Amore? Tempo è ben di morire; Ed ho tardato più ch'i' non vorrei. Interromper conven quest' anni rei: Di qua non spero; e l'aspettar m'è noia: Per lo suo dipartire, in pianto è volta, Amor, tu '1 senti, ond' io teco mi doglio, Ed in un punto n'è scurato il sole. Poria agguagliar il mio doglioso stato? Gran cagion hai di dever pianger meco; Visse quaggiù, d'aver sua conoscenza, Deveal ciel adornar di sua presenza. Lei, nè vita mortal nè me stess' amo, Questo m' avanza di cotanta spene, E del ben di lassù fede fra noi. Che qui fece ombra al fior degli anni suoi, Un'altra volta, e mai più non spogliarsi; Tanto più la vedrem, quanto più vale Più che mai bella e più leggiadra donna Tornami innanzi, come Là dove più gradir sua vista sente. Che pur morta è la mia speranza, viva Sa ben Amor qual io divento, e (spero) Con quel celeste portamento in terra, A tanta pace, e me ha lasciato in guerra: Lungo tempo il cammin da seguitarla, Sol mi ritien ch'io non recida il nodo; Pon freno al gran dolor che ti trasporta; Chè per soverchie voglie Si perde 'I cielo, ove 'l tuo core aspira; Seco sorride, e sol di te sospira: E sua fama che spira In molte parti ancor per la tua lingua, Anzi la voce al suo nome rischiari, Non t'appressar ove sia riso o canto, Non fa per te di star fra gente allegra, SONETTO II - 229. Rotta è l'alta Colonna e 'l verde Lauro Che facean ombra al mio stanco pensero; Perdut' ho quel che ritrovar non spero Dal borea all'austro, o dal mar indo al mauro. Tolto m' hai, Morte, il mio doppio tesauro, Che mi fea viver lieto e gire altero; E ristorar nol può terra nè impero, Ne gemma oriental, nè forza d'auro. Ma se consentimento è di destino, Che poss'io più se no aver l'alma trista, Umidi gli occhi sempre, e 'l viso chino? O nostra vita, ch'è si bella in vista, Com' perde agevolmente in un mattino Quel che 'n molt'anni a gran pena s'acquista ! CANZONE II - 41. Amor, se vuo' ch'i' torni al giogo antico, Come par che tu mostri, un'altra prova Maravigliosa e nova, Per domar me, convienti vincer pria: Che m'è nascosto, ond'io son si mendico: Ove suol albergar la vita mia: E s'egli è ver che tua potenza sia Credo che 'l senta ogni gentil persona); Essendo spenta; or che fea dunque ardendo? Ond' ho già molto amaro, e più n' attendo, Che mi fa vaneggiar sol del pensero Cosa seguir che mai giugner non spero. Cantando, d'acquetar gli sdegni e l'ire, E sgombrar d'ogni nebbia oscura e vile; Sovra di sè dov' or non poria gire. E poi che l'alma è in sua ragion più forte, È lor oprar e 'l mio viver è morte. Fa ch'io riveggia il bel guardo ch'un sole Fu sopra' ghiaccio ond' io solea gir carco: Fa' ch'io ti trovi al varco Onde senza tornar passò 'l mio core; Nelle quali io 'mparai che cosa è amore; Che 'l mio voler altrove non s'invesca; Dal laccio d'or non fia mai che mi scioglia, Della sua vista dolcemente acerba, La qual di e notte, più che lauro o mirto, Di fronde il bosco e la campagna d'erba. Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare? E ragion temean poco, Chè contra 1 Ciel non val difesa umana: Avrian fatto gentil d'alma villana; Devesse il pregio di più laude darsi. |