網頁圖片
PDF
ePub 版

E certo son che voi diceste allora: Misero amante, a che vaghezza il mena! Ecco lo strale ond' Amor vol ch'e' mora. Ora, veggendo come 'l duol m'affrena, Quel che mi fanno i miei nemici ancora, Non è per morte, ma per più mia pena.

SONETTO LIX - 67.

Poi che mia speme è lunga a venir troppo, E della vita il trapassar si corto, Vorreimi a miglior tempo essere accorto, Per fuggir dietro più che di galoppo:

E fuggo ancor cosi debile e zoppo Dall' un de' lati, ove 'I disio m'ha storto: Securo omai; ma pur nel viso porto Segni ch' io presi all' amoroso intoppo.

Ond' io consiglio voi che siete in via: Volgete i passi; e voi ch' Amore avvampa, Non v'indugiate su l'estremo ardore. Chè, perch'io viva, di mille un non scampa. Era ben forte la nemica mia;

E lei vid' io ferita in mezzo 'l core.

[blocks in formation]

Fuggendo la prigione ov' Amor m'ebbe Molt' anni a far di me quel ch'a lui parve, Donne mie, lungo fôra a ricontarve Quanto la nova libertà m'increbbe.

Diceami 'l cor, che per sè non saprebbe
Viver un giorno; e poi tra via m' apparve
Quel traditor in si mentite larve,
Che più saggio di me ingannato avrebbe.
Onde più volte sospirando indietro,
Dissi: Oimé, il giogo e le catene e i ceppi
Eran più dolci che l'andare sciolto!

Misero me! che tardo il mio mal seppi:
E con quanta fatica oggi mi spetro
Dell' error ov'lo stesso m' era involto!

SONETTO LXI - 69.

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;
E' vago lume oltra misura ardea

Di quei begli occhi, ch' or ne son si scarsi;
El viso di pietosi color farsi,

Non so se vero o falso mi parea:
I', che l' esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia se di subit' arsi?

Non era l' andar suo cosa mortale,
Ma d'angelica forma; e le parole
Sonavan altro che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo sole

Fu quel ch'i' vidi; e se non fosse or tale, Piaga per allentar d'arco non sana.

SONETTO LXII - 72.

Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi, Scrivi quel che vedesti in lettre d'oro; Si come i miei seguaci discoloro, E 'n un momento gli fo morti e vivi.

PETRARCA, Le Rime

Un tempo fu che 'n te stesso 'I sentivi, Volgare esempio all'amoroso coro: Poi di man mi ti tolse altro lavoro; Ma già ti raggiuns' io mentre fuggivi. E s'e' begli occhi ond' io mi ti mostrai, E là dov'era il mio dolce ridutto Quando ti ruppi al cor tanta durezza,

Mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza; Forse non avrai sempre il viso asciutto: Ch'i' mi pasco di lagrime; e tu 'l sai.

SONETTO LXIII - 73.

Quando giugne per gli occhi al cor profondo L'immagin donna, ogni altra indi si parte; Ele vertù che l'anima comparte, Lascian le membra quasi immobil pondo. E del primo miracolo il secondo Nasce talor; che la scacciata parte, Da sè stessa fuggendo, arriva in parte Che fa vendetta, e 'l suo esilio giocondo. Quinci in duo volti un color morto appare: Perchè vigor che vivi gli mostrava, Da nessun lato è più là dove stava. E di questo in quel di mi ricordava, Ch'i' vidi duo amanti trasformare E far qual io mi soglio in vista fare.

SONETTO LXIV 74.

Cosi potess'io ben chiudere in versi I miei pensier, come nel cor li chiudo; Ch'animo al mondo non fu mai si crudo, Ch'i' non facessi per pletà dolersi.

Ma voi, occhi beati, ond'io soffersi Quel colpo ove non valse elmo nè scudo, Di for e dentro mi vedete ignudo, Benchè 'n lamenti il duol non si riversi. Poi che vostro vedere in me risplende, Come raggio di Sol traluce in vetro, Basti dunque il desio, senza ch'io dica. Lasso, non a Maria, non nocque a Pietro La fede ch'a me sol tanto è nemica :

E so ch'altri che voi nessun m'intende.

SONETTO LXV - 75.

Io son dell'aspettar omai si vinto E della lunga guerra de' sospiri, Ch'i'aggio in odio la speme e i desiri, Ed ogni laccio onde 'l mio cor è avvinto. Ma' bel viso leggiadro, che dipinto Porto nel petto, e veggio ove ch'io miri, Mi sforza; onde ne'primi empi martiri Pur son contra mia voglia risospinto. Allor errai quando l'antica strada Di libertà mi fu precisa e tolta: Chè mal si segue ciò ch'agli occhi aggrada. Allor corse al suo mal libera e sciolta; Or a posta d'altrui conven che vada L'anima, che peccò sol una volta.

SONETTO LXVI - 76.

Ahi, bella libertà, come tu m'hai, Partendoti da me, mostrato quale

2

Era 'l mio stato quando 'l primo strale
Fece la piaga ond'io non guarrò mai!
Gli occhi invaghiro allor si de' lor guai,
Che fren della ragion ivi non vale;
Perc' hanno a schifo ogni opera mortale :
Lasso, cosi da prima gli avvezzai.

Ne mi lece ascoltar chi non ragiona
Della mia morte; chè sol del suo nome
Vo empiendo l'aere che si dolce suona.
Amor in altra parte non mi sprona,
Në i piè sanno altra via, nè la man come
Lodar si possa in carte altra persona.

SONETTO LXVII - 78.

Poi che voi ed io più volte abbiam provato
Come 'l nostro sperar torna fallace,
Dietr' a quel sommo ben che mai non spiace
Levate I core a più felice stato.

Questa vita terrena è quasi un prato
Che' serpente tra'fiori e l'erba giace;
E s'alcuna sua vista agli occhi piace,
È per lassar più l'animo invescato.

Voi dunque, se cercate aver la mente
Anzi l'estremo di queta giammai,
Seguite i pochi, e non la volgar gente.
Ben si può dire a me: Frate, tu vai
Mostrando altrui la via, dove sovente
Fosti smarrito, ed or se' più che mai.

SONETTO LXVIII - 79.

Quella fenestra ove l'un Sol si vede
Quando a lui piace, e l'altro in su la nona;
E quella dove l'aere freddo suona
Ne'brevi giorni, quando borea 'l fede;

El sasso ove a' gran di pensosa siede
Madonna, e sola seco si ragiona;
Con quanti luoghi sua belia persona
Copri mai d'ombra o disegno col piede;

E' fiero passo ove m'aggiunse Amore;
E la nova stagion che d'anno in anno
Mi rinfresca in quel di l'antiche piaghe;
El volto e le parole che mi stanno
Altamente confitte in mezzo 'l core;
Fanno le luci mie di pianger vaghe.

SONETTO LXIX 80.

Lasso, ben so che dolorose prede

Di noi fa quella ch'a null' uom perdona ;
E che rapidamente n'abbandona
Il mondo, e picciol tempo ne tien fede.
Veggio a molto languir poca mercede;
E già l'ultimo di nel cor mi tuona:
Per tutto questo, Amor non mi sprigiona,
Che l'usato tributo agli occhi chiede.

So come i di, come i momenti e l'ore
Ne portan gli anni; e non ricevo inganno,
Ma forza assai maggior che d'arti maghe.

La voglia e la ragion combattut' hanno Sette e sett' anni; e vincerà il migliore, S'anime son quaggiù del ben presaghe.

SONETTO LXX - SI.

Cesare, poi che 'l traditor d'Egitto Li fece il don dell' onorata testa, Celando l'allegrezza manifesta, Pianse per gli occhi fuor, siccome è scritto; Ed Annibal, quand' all'imperio affitto Vide farsi fortuna si molesta, Rise fra gente lagrimosa e mesta, Per isfogare il suo acerbo despitto: E così avven che l'animo ciascuna Sua passion sotto 'I contrario manto Ricopre con la vista or chiara or bruna. Però, s'alcuna volta i' rido o canto, Facciol perch'i' non ho se non quest'una Via da celare il mio angoscioso pianto.

CANZONE IX - 22.

Mai non vo' più cantar com'io soleva:
Ch'altri non m'intendeva; ond'ebbi scorno:
E puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla rileva.
Già su per l'alpi neva d'ogn' intorno;
Ed è già presso al giorno; ond' io son desto.
Un atto dolce onesto è gentil cosa:
Ed in donna amorosa ancor m'aggrada
Che 'n vista vada altera e disdegnosa,
Non superba e ritrosa.

Amor regge suo imperio senza spada.
Chi smarrit' ha la strada, torni indietro;
Chi non ha albergo, posisi in sul verde;
Chi non ha l'auro o 'l perde,

Spenga la sete sua con un bel vetro.

I' die' in guardia a san Pietro; or non più, no:
Intendami chi può, ch'i' m'intend'io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto posso mi spetro, e sol mi sto.
Fetonte odo che 'n Po cadde, e morio;
E già di là dal rio passato è 'l merlo:
Deh venite a vederlo; or io non voglio.
Non è gioco uno scoglio in mezzo l'onde,
E 'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio
Quando un soverchio orgoglio

Molte virtuti in bella donna asconde.
Alcun è che risponde a chi nol chiama;
Altri, chi prega, si dilegua e fugge;
Altri al ghiaccio si strugge:

Altri di e notte la sua morte brama.

Proverbio, ama chi t'ama, è fatto antico.
I' so ben quel ch'io dico. Or lassa andare;
Chè conven ch'altri impare alle sue spese.
Un'umil donna grama un dolce amico.
Mal si conosce il fico. A me pur pare
Senno a non cominciar tropp'alte imprese:
E per ogni paese è buona stanza.
L'infinita speranza occide altrui:
Ed anch'io fui alcuna volta in danza.
Quel poco che m'avanza,

Fia chi nol schifi, s'i' 'l vo' dare a lui.
I' mi fido in colui che 'l mondo regge
E ch'e' seguaci suoi nel bosco alberga,
Che con pietosa verga

Mi meni a pasco omai tra le sue gregge.
Forse ch'ogni uom che legge non s' intende;
E la rete tal tende che non piglia;

E chi troppo assottiglia si scavezza.
Non sla zoppa la legge ov' altri attende.
Per bene star si scende molte miglia.

Tal par gran maraviglia, e poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è più soave.
Benedetta la chiave che s'avvolse

Al cor, e sciolse l'alma, e scosse l'ave
Di catena si grave,

E 'nfiniti sospir del mio sen tolse.
La dove più mi dolse, altri si dole;
E dolendo, addolcisce il mio dolore;

Ond' io ringrazio Amore

Che più nol sento; ed è non men che suole.
In silenzio parole accorte e sagge
E' suon che mi sottragge ogni altra cura,

E la prigion oscura ov'è 'l bel lume;

Le notturne viole per le plaggie,

E le fere selvagge entr' alle mura

E la dolce paura e 'l bel costume,
F di duo fonti un fiume in pace volto,
Dov'io bramo, e raccolto ove che sia:
Amor e gelosia m'hanno 'I cor tolto:
Ei segni del bel volto,

Che mi conducon per più piana via
Alla speranza mia, al fin degli affanui.
O riposto mio bene; e quel che segue:
Or pace, or guerre, or tregue,

Mai non m' abbandonate in questi pauni.
De' passati miei danni piango e rido;
Perchè molto mi fido in quel ch'i'odo.
Del presente mi godo, e meglio aspetto;
E vo cantando gli anni, e taccio e grido;
E 'n bel ramo m' annido, ed in tal modo,
Ch'i' ne ringrazio e lodo il gran disdetto,
Che l'indurato affetto al fine ha vinto,
E nell'alma dipinto: i'sare' udito

E mostratone a dito; ed hanne estinto.
Tanto innanzi son pinto,

Ch'i'' pur dirò: non fostu tanto ardito.
Chi m'ha fianco ferito, e chi ' risalda,
Per cui nel cor via più che 'n carte scrivo;
Chi mi fa morto e vivo;

Chi in un punto m'agghiaccia e mi riscalda.

MADRIGALE III - CANZ. 23.

Nova angeletta sovra l'ale accorta Scese dal cielo in sulla fresca riva La ond'io passava sol per mio destino. Poi che senza compagna e senza scorta Mi vide, un laccio che di seta ordiva, Tese fra l'erba ond'è verde il cammino. Allor fui preso; e non mi spiacque poi, Si dolce lume uscia degli occhi suoi.

SONETTO LXXI 84.

Non veggio ove scampar mi possa omai: Si lunga guerra i begli occhi mi fanno, Ch'io temo, lasso, no 'l soverchio affanno Distrugga 'l cor, che triegua non ha mai. Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai, Che di e notte nella mente stanno, Risplendon si, che al quintodecim' anno M'abbaglian più che 'l primo giorno assai.

E l'immagini lor son si comparte, Che volver non mi posso ov'io non veggia O quella o simil, indi accesa, luce. Solo d'un lauro tal selva verdeggia, Che 'l mio avversario con mirabil arte Vago fra i rami, ovunque vuol, m'adduce.

SONETTO LXXII - 85.

Avventuroso più d'altro terreno, Ov'Amor vidi già fermar le piante, Vér me volgendo quelle luci sante, Che fanno intorno a sè l'aere sereno;

Prima poria per tempo venir meno Un'immagine salda di diamante, Che l'atto dolce non mi stia davante, Del qual ho la memoria e 'l cor si pieno. Nè tante volte ti vedrò giammai, Ch'i' non m'inchini a ricercar dell' orme Che' bel piè fece in quel cortese giro.

Ma se 'n cor valoroso Amor non dorme, Prega, Sennuccio mio, quando 'i vedrai Di qualche lagrimetta o d'un sospiro.

[blocks in formation]

Perseguendomi Amor al luogo usato, Ristretto in guisa d'uom ch' aspetta guerra, Che si provvede e i passi intorno serra, De' miei antichi pensier mi stava armato. Volsimi, e vidi un'ombra che da lato Stampava il sole, e riconobbi in terra Quella che, 'l giudicio mio non erra, Era più degna d' immortale stato,

I' dicea fra mio cor: Perchè paventi? Ma non fu prima dentro il pensier giunto, Che i raggi ov' io mi struggo eran presenti. Come col balenar tuona in un punto, Cosi fu'io da' begli occhi lucenti E d'un dolce saluto insieme aggiunto.

SONETTO LXXV - 88.

La Donna che 'l mio cor nel viso porta, Là dove sol fra bei pensier d'amore Sedea, m'apparve; ed io per farle onore Mossi con fronte reverente e smorta.

[blocks in formation]

Sennuccio, i'vo' che sappi in qual maniera Trattato sono, e qual vita è la mia. Ardomi e struggo ancor com'io solia; Laura mi volve; e son pur quel ch'i'm'era. Qui tutta umile e qui la vidi altera; Or aspra, or piana; or dispietata, or pia; Or vestirsi onestate, or leggiadria; Or mansueta, or disdegnosa e fera.

Qui cantò dolcemente, e qui s'assise; Qui si rivolse, e qui rattenne il passo; Qui co' begli occhi mi trafisse il core;

Qui disse una parola, e qui sorrise; Qui cangiò 'l viso. In questi pensier, lasso, Notte e di tiemmi il signor nostro, Amore.

SONETTO LXXVII - 90.

Qui, dove mezzo son, Sennuccio mio,
(Cosi ci foss'io intero, e voi contento)
Venni fuggendo la tempesta e 'l vento
C'hanno subito fatto il tempo rio.

Qui son securo: e vovvi dir perch' io
Non, come soglio, il folgorar pavento,
E perchè mitigato, non che spento,
Ne mica trovo il mio ardente desio.

Tosto che, giunto all'amorosa reggia,
Vidi onde nacque Laura dolce e pura
Ch'acqueta l'aere e mette i tuoni in bando;
Amor nell'alma, ov'ella signoreggia,
Raccese il foco e spense la paura:
Che farei dunque gli occhi suoi guardando?

SONETTO LXXVIII - 91.

Dell'empia Babilonia, ond'è fuggita
Ogni vergogna, ond'ogni bene è fori,
Albergo di dolor, madre d'errori,
Son fuggit' io per allungar la vita.

Qui mi sto solo, e, come Amor m'invita,
Or rime e versi, or colgo erbette e fiori,
Seco parlando, ed a'tempi migliori
Sempre pensando: e questo sol m'aita.

Nè del vulgo mi cal nè di fortuna, Nè di me molto nè di cosa vile, Nè dentro sento nè di fuor gran caldo. Sol due persone cheggio; e vorrei l'unaCol cor vèr me pacificato e umile, L'altro col piè, si come mai fu, saldo.

SONETTO LXXIX - 92.

In mezzo di duo amanti onesta altera Vidi una donna, e quel signor con lei,

Che fra gli uomini regna e fra gli Dei,
E dall'un lato il Sole, io dall'altr' era.
Poi che s'accorse chiusa dalla spera
Dell'amico più bello, agli occhi miei
Tutta lieta si volse; e ben vorrei,
Che mai non fosse inver di me più fera.
Subito in allegrezza si converse
La gelosia che 'n su la prima vista,
Per si alto avversario, al cor mi nacque.
A lui la faccia lagrimosa e trista
Un nu viletto intorno ricoverse:
Cotanto l'esser vinto li dispiacque.

SONETTO LXXX - 93.

Pien di quella ineffabile dolcezza Che del bel viso trassen gli occhi miei Nel di che volentier chiusi gli avrei Per non mirar giammai minor bellezza, Lassai quel ch'i'più bramo: ed ho si avvezza La inente a contemplar sola costei, Ch' altro non vede, e ciò che non è lei Già per antica usanza odia e disprezza. In una valle chiusa d'ogni 'ntorno, Ch'è refrigerio de' sospir miei lassi, Giunsi sol con Amor, pensoso e tardo.

Ivi non donne, ma fontane e sassi, E l'immagine trovo di quel giorno Che 'l pensier mio figura ovunqu'io sguardo.

SONETTO LXXXI - 94.

Se 'l sasso ond' è più chiusa questa valle, Di che 'l suo proprio nome si deriva, Tenesse volto per natura schiva,

A Roma il viso ed a Babel le spalle;
I miei sospiri più benigno calle
Avrian per gire ove lor speme è viva:
Or vanno sparsi, e pur ciascuno arriva
Là dov' io 'l mando, che sol un non falle.
E son di là si dolcemente accolti,
Com' io m' accorgo, che nessun mai torna:
Con tal diletto in quelle parti stanno.

Degli occhi è 'l duol; che tosto che s'aggiorna, Per gran desio de' be' luoghi a lor tolti, Danno a me pianto, ed a' piè lassi affanno.

SONETTO LXXXII - 95.

Rimansi addietro il sestodecim' anno De' miel sospiri; ed io trapasso innanzi Verso l'estremo; e parmi che pur dianzi Fosse il principio di cotanto affanno.

L'amar m'è dolce, ed util il mio danno, El viver grave; e prego ch' egli avanzi L'empia fortuna; e temo non chiuda anzi Morte i begli occhi che parlar mi fanno.

Or qui son, lasso, e voglio esser altrove, E vorrei più volere, e più non voglio, E per più non poter fo quant' io posso. E d'antichi desir lagrime nove Provan com' io son pur quel ch'i' mi soglio, Nè per mille rivolte ancor son mosso.

[blocks in formation]

Dicessett' anni ha già rivolto il cielo Poi che 'n prima arsi e giammai non mi spensi; Ma quando avven ch' al mio stato ripensi Sento nel mezzo delle fiamme un gelo.

Vero è proverbio, ch'altri cangia il pelo Anzi che 'l vezzo; e per lentar i sensi, Gli umani affetti non son meno intensi: Ciò ne fa l'ombra ria del grave velo.

Oimè lasso; e quando fia quel giorno Che mirando 'l fuggir degli anni miei, Esca del foco e di si lunghe pene?

Vedrò mai il di che pur quant' io vorrei Quell'aria dolce del bel viso adorno Piaccia a quest' occhi, e quanto si convene?

SONETTO LXXXIV - 98.

Quel vago impallidir che 'l dolce riso
D' un' amorosa nebbia ricoperse,
Con tanta maestade al cor s'offerse,
Che li si fece incontro a mezzo 'l viso.
Conobbi allor si come in paradiso
Vede l'un l'altro; in tal guisa s' a perse
Quel pietoso pensier, ch'altri non scerse,
Ma vidil'io, ch' altrove non m' affiso.

Ogni angelica vista, ogni atto umile
Che glammal in donna, ov'amor fosse, apparve,
Fora uno sdegno a lato a quel ch'i' dico.
Chinava a terra il bel guardo gentile,
E tacendo dicea (com' a me parve):
Chi m' allontana il mio fedele amico?

SONETTO LXXXV - 99

Amor, Fortuna, e la mia mente schiva Di quel che vede, e nel passato volta, M'affliggon si, ch'io porto alcuna volta Invidia a quei che son su l'altra riva.

Amor mi strugge 'l cor; Fortuna il priva D'ogni conforto: onde la mente stolta S'adira e piagne: e così in pena molta Sempre conven che combattendo viva.

Ne spero i dolci di tornino indietro, Ma pur di male in peggio quel ch'avanza: E di mio corso ho già passato il mezzo. Lasso, non di diamante ma d'un vetro, Veggio di man cadermi ogni speranza, E tutt'i miei pensler romper nel mezzo.

CANZONE X - 26.

Se 'l pensier che mi strugge
Com'è pungente e saldo,

Cosi vestisse d' un color conforme,
Forse tal m' arde e fugge,

Ch' avria parte del caldo,

E desteriasi Amor là dov' or dorme:
Men solitarie l'orme

Foran de' miei piè lassi

Per campagne e per colli;

Men gli occhi ad ogni or molli;

Ardendo lei che come un ghiaccio stassi,

E non lassa in me dramma

Che non sia foco e fiamma.

Però ch' Amor mi sforza

E di saver ini spoglia,

Parlo in rim' aspre e di dolcezza ignude:

Ma non sempre alla scorza

Ramo, nè 'n fior, nè 'n foglia,

Mostra di fuor sua natural virtude.

Miri ciò che 'l cor chiude,
Amore e que' begli occhi
Ove si siede all' ombra.

Sel dolor che si sgombra,

Avven che 'n pianto o 'n lamentar trabocchi,

L'un a me noce, e l'altro

Altrui, ch' io non lo scaltro.

Dolci rime leggiadre,

Che nel primiero assalto

D'Amore usai, quand' io non ebbi altr' arme; Chi verrà mai che squadre

Questo mio cor di smalto,

Ch'almen, com' io solea, possa sfogarme?
Ch' aver dentr'a lui parme
Un che Madonna sempre
Dipinge, e di lei parla:
A voler poi ritrarla,

Per me non basto; e par ch'io me ne stempre:
Lasso, cosi m'è scorso

Lo mio dolce soccorso.

Come fanciul ch' appena Volge la lingua e snoda,

Che dir non sa, ma 'l più tacer gli è noia; Cosi 'I desir mi mena

A dire; e vo' che m'oda

La mia dolce nemica anzi ch' io moia.

Se forse ogni sua gioia

Nel suo bel viso è solo,
E di tutt' altro è schiva;
Odil tu, verde riva,

E presta a'miei sospir si largo volo,
Che sempre si ridica
Come tu m' eri amica.

Ben sai che si bel piede

Non tocco terra unquanco,

Come quel, di che già segnata fosti:
Onde 1 cor lasso riede

Col tormentoso fianco

A partir teco i lor pensier nascosti.
Cosi avestu riposti

De' bei vestigi sparsi
Ancor tra i fiori e l'erba;
Che la mia vita acerba

Lagrimando trovasse ove acquetarsi.

« 上一頁繼續 »