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Gente che d'amor givan ragionando.

Ecco Dante e Beatrice; ecco Selvaggia; Ecco Cin da Pistoia; Guitton d' Arezzo, Che di non esser primo par ch'ira aggia. Ecco i due Guidi, che già furo in prezzo; Onesto Bolognese; e i Siciliani,

Che fur già primi, e quivi eran da sezzo; Sennuccio e Franceschin, che fur sì umani Com' ogni uom vide; e poi v'era un drappello Di portamenti e di volgari strani.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello, Gran maestro d'amor; ch' alla sua terra Ancor fa onor col suo dir novo e bello. Eranvi quei ch' Amor sì leve afferra, L'un Pietro e l'altro; e 'l men famoso Arnaldo; E quei che fur conquisi con più guerra, I' dico l'uno e l'altro Raimbaldo, Che cantò pur Beatrice in Monferrato; E'l vecchio Pier d' Alvernia con Giraldo ; Folchetto, che Marsiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto, ed all' estremo Cangiò per miglior patria abito e stato ;

Gianfrè Rudel, ch' usò la vela e'l remo A cercar la sua morte; e quel Guglielmo Che per cantar ha 'l fior de' suoi dì scemo ; Amerigo, Bernardo, Ugo, ed Anselmo ; E mille altri ne vidi, a cui la lingua Lancia e spada fu sempre e scudo ed elmo.

E poi convien che 'l mio dolor distingua,
Volsimi a' nostri, e vidi 'l buon Tommasso
Ch' ornò Bologna, ed or Messina impingua.
O fugace dolcezza! o viver lasso !
Chi mi ti tolse si tosto dinanzi,

Senza 'l qual non sapea mover un passo?
Dove se' or, che meco eri pur dianzi?
Ben è il viver mortal, che sì n' aggrada,
Sogno d'infermi e fola di romanzi.

Poco era fuor della comune strada, Quando Socrate e Lelio vidi in prima: Con lor più lunga via convien ch'io vada. O qual coppia d'amici! che nè 'n rima Poria nè 'n prosa assai ornar nè 'n versi,

Se, come de', virtù nuda si stima.

Con questi duo cercai monti diversi, Andando tutti tre sempre ad un giogo; A questi le mie piaghe tutte apersi.

Da costor non mi può tempo nè luogo Divider mai ( siccome spero e bramo) Infin al cener del funereo rogo.

Con costor colsi 'l glorioso ramo Onde forse anzi tempo ornai le tempie In memoria di quella ch'i' tant' amo. Ma pur di lei che 'l cor di pensier m' empie, Non potei coglier mai ramo nè foglia; Si fur le sue radici acerbe ed empie.

Onde benchè talor doler mi soglia,

Com'uom ch'è offeso, quel che con quest'occhi
Vidi, m' è un fren che mai più non mi doglia.
Materia da coturni, e non da socchi,
Veder preso colui ch'è fatto Deo

Da tardi ingegni, rintuzzati e sciocchi.
Ma prima vo' seguir che di noi feo:
Poi seguirò quel che d'altrui sostenne;
Opra non mia, ma d'Omero o d'Orfeo.
Seguimmo il suon delle purpuree penne
De' volanti corsier per mille fosse,
Fin che nel regno di sua madre venne:
Nè rallentate le catene o scosse,
Ma straziati per selve e per montagne,
Tal che nessun sapea in qual mondo fosse.
Giace oltra ove l' Egeo sospira e piagne,
Un'isoletta delicata e molle

Più ch'altra che il Sol scalde o che 'l mar bagne.
Nel mezzo è un ombroso e verde colle
Con si soavi odor, con sì dolci acque,
Ch'ogni maschio pensier dell' alma tolle.
Quest' è la terra che cotanto piacque
A Venere, e 'n quel tempo a lei fu sacra,
Che'l ver nascoso e sconosciuto giacque.
Ed anco è di valor sì nuda e macra,
Tanto ritien del suo primo esser vile,
Che par dolce a' cattivi, ed a' buoni acra.
Or quivi trionfò 'l Signor gentile

Di noi e d'altri tutti, ch' ad un laccio

Presi avea dal mar d'India a quel di Tile.
Pensier in grembo, e vanitate in braccio ;
Diletti fuggitivi, e ferma noia;

Rose di verno, a mezza state il ghiaccio;
Dubbia speme davanti e breve gioia,
Penitenza e dolor dopo le spalle,

Qual nel regno di Roma o 'n quel di Troia.
E rimbombava tutta quella valle

D'acque e d' augelli, ed eran le sue rive
Bianche, verdi, vermiglie, perse e gialle :
Rivi correnti di fontane vive;

E'l caldo tempo, su per l'erba fresca,
E l'ombra folta e l'aure dolci estive :
Poi, quando 'l verno l' aer si rinfresca,
Tepidi Soli e giochi e cibi ed ozio
Lento, ch' e' simplicetti cori invesca.
Era nella stagion che l'equinozio
Fa vincitor il giorno, e Progne riede,
Con la sorella, al suo dolce negozio.
O di nostra fortuna instabil fede!

In quel loco, e in quel tempo ed in quell' ora
Che più largo tributo agli occhi chiede,

Trionfar volse quel che 'l vulgo adora :
E vidi a qual servaggio ed a qual morte
Ed a che strazio va chi s'innamora.
Errori, sogni ed immagini smorte
Eran d'intorno al carro trionfale;
E false opinioni in su le porte;

E lubrico sperar su per le scale;
E dannoso guadagno, ed util danno;
E gradi ove più scende chi più sale;

Stanco riposo, e riposato affanno ;
Chiaro disnor, e gloria oscura e nigra;
Perfida lealtate, e fido inganno ;
Sollicito furor, e ragion pigra ;
Carcer ove si vien per strade aperte,
Onde per strette a gran pena si migra;
Ratte scese all' intrar, all' uscir erte.
Dentro, confusion turbida, e mischia
Di doglie certe e di allegrezze incerte.
Non bolli mai Vulcan, Lipari od Ischia,
Stromboli o Mongibello in tanta rabbia.

Poco ama sè chi 'n tal gioco s'arrischia.
In così tenebrosa e stretta gabbia
Rinchiusi fummo; ove le penne usate
Mutai per tempo e le mie prime labbia.
E 'ntanto, pur sognando libertate,
L'alma, che 'l gran desio fea pronta e leve,
Consolai con veder le cose andate.

Rimirando, er' io fatto al Sol di neve,
Tanti spirti e sì chiari in carcer tetro;
Quasi lunga pittura in tempo breve,
Che 'l piè va innanzi, e l'occhio torna indietro.

TRIONFO DELLA CASTITÀ

Con queste, e con alquante anime chiare Trionfar vidi di colui che pria

Veduto avea del mondo trionfare.

TRIONFO DELLA CASTITA.

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Primieramente si consola del non essere egli stato risparmiato da Amore, veggendo che non lo furono nè gl' Iddii, nè gli uomini grandissimi; e appresso si conforta dell' essere stata da lui risparmiata Laura, scorgendo che Amore non ha ciò fatto di volontà, ma per più non potere. Poi descrive l'assalto d'Amore e di Laura, dimostrando la fierezza di quello per alcune comparazioni; e racconta la vittoria avuta da Laura sopra il nemico, e la confusione di esso. Indi nomina alcune donne che assistettero al trionfo di Laura, e segna il luogo dov' ella trionfò e narra come parimente Scipione l'accompagnasse infino a Roma al tempio della Pudicizia, al quale ella consacrò le spoglie della vittoria, e diede Amore prigione in guardia al toscano Spurina e ad altri.

Quando ad un giogo ed in un tempo quivi
Domita l'alterezza degli Dei,

E degli uomini vidi al mondo divi;
I' presi esempio de' lor stati rei,
Facendomi profitto l'altrui male
In consolar i casi e dolor miei:

Che s'io veggio d'un arco e d'uno strale
Febo percosso e 'l giovine d' Abido,
L'un detto Dio, l'altr' uom puro mortale;

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