網頁圖片
PDF
ePub 版
[blocks in formation]

Se Amore è cagione di sue colpe, lo prega a far ch'ella 'l senta, e le perdoni a sè stessa.

Amor, io fallo, e veggio il mio fallire; Ma fo sì com' uom ch' arde e 'l foco ha 'n seno: Che 'l duol pur cresce, e la ragion vien meno Ed è già quasi vinta dal martire.

Solea frenare il mio caldo desire,

Per non turbar il bel viso sereno :

Non posso più; di man m'hai tolto il freno ; E l' alma, disperando, ha preso ardire.

Però, s' oltra suo stile ella s'avventa, Tu 'l fai, che si l'accendi e sì la sproni, Ch' ogni aspra via per sua salute tenta : E più 'l fanno i celesti e rari doni, Ch'ha in sè Madonna. Or fa'l men ch'ella il senta, E le mie colpe a sè stessa perdoni.

[ocr errors][merged small]

Dispera di poter liberarsi da queʼtanti affanni in cui vedesi avvolto.

Non ha tanti animali il mar fra l'onde,
Nè lassù sopra 'l cerchio della luna
Vide mai tante stelle alcuna notte,
Nè tanti augelli albergan per li boschi,
Nè tant' erbe ebbe mai campo nè piaggia,
Quant' ha 'l mio cor pensier ciascuna sera.
Di di in di spero omai l'ultima sera,
Che scevri in me dal vivo terren l'onde,
E mi lasci dormir in qualche piaggia:
Che tanti affanni uom mai sotto la luna
Non sofferse, quant' io: sannolsi i boschi,
Che sol vo ricercando giorno e notte.

I' non ebbi giammai tranquilla notte,
Ma sospirando andai mattino e sera,
Poi ch' Amor femmi un cittadin de' boschi.
Ben fia, prima ch'i' posi, il mar senz' onde,

E la sua luce avrà l Sol dalla luna,
E i fior d'april morranno in ogni piaggia.
Consumando mi vo di piaggia in piaggia
Il dì, pensoso; poi piango la notte,
Nè stato ho mai se non quanto la luna.
Ratto come imbrunir veggio la sera,
Sospir del petto, e degli occhi escon onde,
Da bagnar l'erba e da crollare i boschi.

[ocr errors]

Le città son nemiche, amici i boschi
A' miei pensier, che per quest' alta piaggia
Sfogando vo col mormorar dell' onde
Per lo dolce silenzio della notte:
Tal ch'io aspetto tutto 'I dì la sera,
Che 'l Sol si parta e dia luogo alla luna.
Deh or foss' io col vago della Luna
Addormentato in qualche verdi boschi;
E questa ch' anzi vespro a me fa sera,
Con essa e con Amor in quella piaggia
Sola venisse a stars' ivi una notte;
E 'I di si stesse e 'l Sol sempre nell' onde.
Sovra dure onde al lume della luna,
Canzon, nata di notte in mezzo i boschi,
Ricca piaggia vedrai diman da sera.

[blocks in formation]

È tocco d'invidia nel veder chi per farle onore baciolla in fronte è negli occhi.

Real natura, angelico intelletto,
Chiar' alma, pronta vista, occhio cervero,
Provvidenza veloce, alto pensero,

E veramente degno di quel petto.
Sendo di donne un bel numero eletto

Per adornar il di festo ed altero,
Subito scorse il buon giudicio intero
Fra tanti e si bei volti il più perfetto.
L'altre maggior di tempo o di fortuna
Trarsi in disparte comandò con mano,'
E caramente accolse a sè quell' una.

Gli occhi e la fronte con sembiante umano Baciolle si, che rallegro ciascuna;

Me empiè d' invidia l'atto dolce e strano.

SESTINA VIII: -CANZ. 38.

È si sorda e crudele, che non si commove alle lagrime, e non cura rime nè versi.

[ocr errors]

Là ver l'aurora, che si dolce l'aura
Al tempo novo suol mover í fiori,
E gli augelletti incominciar lor versi;
Si dolcemente i pensier dentro all' alma
Mover mi sento a chi gli ha tutti in forza,
Che ritornar convienmi alle mie note.

Temprar potess' io in si soavi note

1

I miei sospiri, ch' addolcissen Laura,
Facendo a lei ragion, ch' a me fa forza.
Ma pria fia 'l verno la stagion de' fiori,
Ch' amor fiorisca in quella nobil alma,
Che non curò giammai rime nė versi.

Quante lagrime, lasso, e quanti versi
Ho già sparti al mio tempo! e 'n quante note
Ho riprovato umiliar quell' alma!

Ella si sta pur com' aspr' alpe a l'aura
Dolce, la qual ben move fronde e fiori,
Ma nulla può se'ʼncontr' ha maggior forza.
Uomini e Dei solea vincer per forza
Amor, come si legge in prosa e 'n versi;
Ed io 'l provai in sul primo aprir de fiori.
Ora nè 'l mio Signor, nè le sue note,
Nel pianger miò, nè i preghi pon far Laura
Trarre o di vita o di martir quest'alma...
All'ultimo bisogno, o miser' alma,

Accampa ogni tuo ingegno, ogni tua forza,
Mentre fra noi di vita alberga l' aura.
Null' al mondo è che non possano i versi;
E gli aspidi incantar sanno in lor note,
Non che 'l gielo adornar di novi fiori.

Ridon or per le piaggie erbette e fiori:
Esser non può che quell' angelic' alma
Non senta 'l suon dell' amorose note.
Se nostra ria fortuna è di più forza,
Lagrimando, e cantando i nostri versi,
E col bue zoppo andrem cacciando l'aura

In rete accolgo l'aura e 'n ghiaccio i fiori, E 'n versi tento sorda e rigid' alma,

Che nè forza d'Amor prezza nè note.

[blocks in formation]

La invita a trovar in sè stessa il perchè egli non possa mai starsi senza di lei.

l'ho pregato Amor, e nel riprego,
Che mi scusi appo voi, dolce mia pena,
Amaro mio diletto, se con piena
Fede, dal dritto mio sentier mi piego.

I' nol posso negar, doǹna, e nol nego,
Che la ragion, ch' ogni buon' alma affrena,
Non sia dal voler vinta; ond' ei mi mena
Talor in parte ov' io per forza il sego.

Voi, con quel cor che di sì chiaro ingegno, Di sì alta virtute il cielo alluma, Quanto mai piovve da benigna stella; Devete dir pietosa e senza sdegno:

Che può questi altro? il mio volto 'l consuma Ei perchè ingordo ed io perchè sì bella.

[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small]

Il pianger ch'ei fa per Laura malata, non ammorza, ma cresce il suo incendio.

L'alto signor dinanzi a cui non vale
Nasconder nè fuggir nè far difesa,
Di bel piacer m' avea la mente accesa
Con un ardente ed amoroso strale ::

E benchè 'l primo colpo aspro e mortale Fosse da sè; per avanzar sua impresa, Una saetta di pietate ha presa;

E quinci e quindi 'l cor punge ed assale. L'una piaga arde, e versa foco e fiamma,

Lagrime l'altra, che 'l dolor distilla

Per gli occhi miei del vostro stato rio.
Nè per duo fonti sol una favilla
Rallenta dell' incendio che m'infiamma;
Anzi per la pietà cresce 'l desio.

[ocr errors]

SONETTO CLXXXIV. -204

Dice al suo cuore di ritornarsene a Laura, e non pensa ch'è già seco lei.

Mira quel colle, o stanco mio cor vago: Ivi lasciammo ier lei ch'alcun tempo ebbe Qualche cura di noi e le ne 'ncrebbe, Or vorria trar degli occhi nostri un lagò. Torna tu in là, ch'io d'esser sol m' appago; Tenta se forse ancor tempo sarebbe

Da scemar nostro duol, che 'nfin qui crebbe, O del mio mal partecipe e presago.

Or tu c' hai posto te stesso in obblio,
E parli al cor pur com'e' fosse or teco,
Misero e pien di pensier vani e sciocchi!
Ch' al dipartir del tuo sommo desio

Tu te n' andasti, e' si rimase seco
E si nascose dentro a' suoi begli occhi.

[blocks in formation]

Misero! ch' essendo per lei senza cuore, ella si ride se questo parli in suo pro.

Fresco, ombroso, fiorito e verde colle
Ov' or pensando ed or cantando siede,
E fa qui de' celesti spirti fede

Quella ch'a tutto 'l mondo fama tolle;

Il mio cor, che per lei lasciar mi volle, E fe' gran senno, e più se mai non riede, Va or contando ove da quel bel piede Segnata è l'erba e da questi occhi molle.

Seco si stringe, e dice a ciascun passo:
Deh fosse or qui quel miser pur un poco,
Ch'è già di pianger e di viver lasso.

Ella sel ride; e non è pari il gioco:
Tu paradiso, i' senza core un sasso,
O sacro, avventuroso e dolce loco.

« 上一頁繼續 »