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Or ecco in parte le question mie nove: S'alcun pregio in me vive o 'n tutto è corso, O l'alma sciolta o ritenuta al bosco.

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Virtù somme congiunte a bellezza somma formano il ritratto di Laura.

In nobil sangue vita umile e queta,
Ed in alto intelletto un puro core;
Frutto senile in sul giovenil fiore,
E 'n aspetto pensoso anima lieta

Raccolto ha 'n questa donna il suo pianeta,
Anzi 'l re delle stelle; e 'l vero onore,
Le degne lode e'l gran pregio e 'l valore
Ch'è da stancar ogni divin poeta.

Amor s'è in lei con onestate aggiunto;
Con beltà naturale abito adorno,
Ed un atto che parla con silenzio;

E non so che negli occhi che 'n un punto Può far chiara la notte, oscuro il giorno, E'l mel amaro, ed addolcir l'assenzio.

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Soffre in pace di pianger sempre, ma non che Laura 'siagli sempre crudele.

Tutto 'l di piango; e poi la notte, quando Prendon riposo i miseri mortali,

Trovom' in pianto e raddoppiarsi i mali:
Così spendo 'l mio tempo lagrimando.

In tristo umor vo gli occhi consumando,
El cor in doglia; e son fra gli animali
L'ultimo si, che gli amorosi strali
Mi tengon ad ogni or di pace in bando.

Lasso, che pur dall' uno all' altro sole
E dall' un' ombra all' altra ho già 'l più corso
Di questa morte che si chiama vita.

Più l'altrui fallo che 'l mio mal mi dole; Che pietà viva e 'l mio fido soccorso Vedem' arder nel foco e non m'aita.

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Si pente d' essersi sdegnato verso di una bellezza che gli rende dolce anche la morte.

Già desiai con sì giusta querela
E 'n si fervide rime farmi udire,
Ch'un foco di pietà fessi sentire
Al duro cor ch'a mezza state gela;

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E l'empia nube che 'l raffredda e vela,
Rompesse a l'aura del mi' ardente dire;
O fessi quell' altru' in odio venire

Ch'e' belli, onde mi strugge, occhi mi cela.
Or non odio per lei, per me pietate
Cerco; che quel non vo', questo non posso;
Tal fu mia stella e tal mia cruda sorte:
Ma canto la divina sua beltate;

Che quand' i̇' sia di questa carne scosso,
Sappia 'l mondo che dolce è la mia morte.

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Laura è un Sole. Tutto è bello finch'essa vive, e tutto si oscurerà alla sua morte.

Tra quantunque leggiadre donne e belle
Giunga costei, ch' al mondo non ha pare,
Col suo bel viso suol dell' altre fare
Quel che fa 'I di delle minori stelle.

Amor par ch' all' orecchie mi favelle,
Dicendo: quanto questa in terra appare,
Fia 'l viver bello; e poi 'l vedrem turbare,
Perir virtuti, e 'l mio regno con elle.

Come Natura al ciel la luna e 'l sole,
All' aere i venti, alla terra erbe e fronde,
All' uomo e l'intelletto e le parole,

Ed al mar ritogliesse i pesci e l'onde;
Tanto e più fien le cose oscure e sole, :
Se morte gli occhi suoi chiude ed asconde.

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Levasi il Sole, e spariscono le stelle. Levasi Laura, e sparisce il Sole.

Il cantar novo e 'l pianger degli augelli
In sul dì fanno risentir le valli,
El mormorar de' liquidi cristalli
Giù per lucidi freschi rivi e snelli.

Quella c'ha neve il volto, oro i capelli,
Nel cui amor non fur mai inganni nè falli,
Destami al suon degli amorosi balli,
Pettinando al suo vecchio i bianchi velli.
Così mi sveglio a salutar l'Aurora

E 'l Sol ch'è seco, e più l'altro ond'io fui
Ne' prim' anni abbagliato e sono ancora.
I' gli ho veduti alcun giorno ambedui
Levarsi insieme, e 'n un punto e 'n un'ora
Quel far le stelle e questo sparir lui.

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Interroga Amore, ond' abbia tolte quelle tante grazie di cui Laura va adorna.

Onde tolse Amor l'oro e di qual vena,
Per far due trecce bionde? e 'n quali spine
Colse le rose, e 'n qual piaggia le brine
Tenere e fresche, e diè lor polso e lena?
Onde le perle in ch'ei frange ed affrena
Dolci parole oneste e pellegrine?
Onde tante bellezze e sì divine
Di quella fronte più che 'l ciel serena?
Da quali angeli mosse e di qual spera
Quel celeste cantar che mi disface
Si che m'avanza omai da disfar poco?

Di qual Sol nacque l'alma luce altera
Di que' begli occhi ond' i' ho guerra e pace,
Che mi cuocono 'I cor in ghiaccio e 'n foco?

SONETTO CLXVI. → .185.

Guardando gli occhi di lei si sente morire, ma non sa come staccarsene.

Qual mio destin, qual forza o qual inganno Mi riconduce disarmato al campo

Là 've sempre son vinto; e s'io ne scampo,
Maraviglia n'avrò; s'i' moro, il danno? R
Danno non già, ma pro; sì dolci stanno
Nel mio cor le faville e 'l chiaro lampo
Che l'abbaglia e lo strugge,e'n ch'io m'avvampo;
E son già, ardendo, nel vigesim' anno. ***
Sento i messi di morte ove apparire
Veggio i begli occhi e folgorar da lunge;
Poi, s'avven ch' appressando a me li gire,
Amor con tal dolcezza m'unge e punge,
Ch'i' nol so ripensar, non che ridire;
Che nè 'ngegno nè lingua al vero aggiunge.

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Non trovandola colle sue amiche, ne chiede loro il perchè, ed esse il confortano.

Liete e pensose, accompagnate e sole
Donne, che ragionando ite per via;
Ov'è la vita, ov'è la morte mia?
Perchè non è con voi com' ella sole?
Liete siam per memoria di quel sole;
Dogliose per sua dolce compagnia
La qual ne toglie invidia e gelosia,
Che d'altrui ben, quasi suo mal, si dole.'
Chi pon freno agli amanti, o dà lor legge?
Nessun all' alma; al corpo ira ed asprezza:
Questo ora in lei, talor si prova in noi.

Ma spesso nella fronte il cor si legge:
Si vedemmo oscurar l'alta bellezza,
E tutti rugiadosi gli occhi suoi.

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Nella notte sospira per quella che sola nel dì può addolcirgli le pene

Quando 'l Şel bagna in mar l'aurato carro, E l'aer nostro e la mia mente imbruna, Col cielo e con le stelle e con la luna Un' angosciosa e dura notte innarro.. Poi, lasso, a tal che non m'ascolta narro Tutte le mie fatiche ad una ad una, E col mondo e con mia cieca fortuna, Con Amor, con Madonna e mecò garro. | Il sonno è 'n bando, e del riposo è nulla; Ma sospiri e lamenti infin all alba, a E lagrime che l'alma agli occhi inviand Vien poi l'aurora, e l'aura fosca inalba; Me no; ma 'l Sol che 'l cor m'arde e trastulla, Quel può solo addolcir la doglia miad

SONETTO CLXIX. – 188.

Se i tormenti che soffre lo condurranno a morte, ei ne avrà 'l danno, ma Laura la colpa.

S' una fede amorosa, un cor non finto, Un languir dolce, un desiar cortese; of S'oneste voglie in gentil foco accese;>> S' un lungo error in cieco laberinto; Se nella fronte ogni penser dipinto, Od in voci interrotte appena intese Or da paura, or da vergogna offese; S'un pallor di viola e d'amor tinto;

S'aver altrui più caro che sè stesso; Se lagrimar e sospirar mai sempre, Pascendosi di duol, d'ira e d'affanno;

I

S'arder da lunge ed agghiacciar da presso, Son le cagion ch' amando i' mi distempre; Vostro, donna, il peccato, e mio fia 'l danno.

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