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padre) nè sarebbe del tutto fuor di luogo anche trattandosi dell'Africa. Il Carducci crede poi, che il sonetto possa essere stato mandato a Giac. Colonna, che stette in Roma del 1333 al 1341; e l'ipotesi, a mio credere, è tanto più accettabile, in quanto anche in un altro sonetto (CCCXXII) il p., pensando appunto ad un nuovo lavoro letterario, che può anche essere questo medesimo, mostrava intenzione di mandarlo al Colonna : Di mie tenere frondi altro lavoro Credea mostrarti.

S'amore o morte non dà qualche stroppio
A la tela novella ch'ora ordisco,

E s'io mi svolvo dal tenace visco
Menire che l'un coll'altro vero accoppio;
I' farò forse un mio lavor sì doppio

Tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
Che (paventosamente a dirlo ardisco)
Infin a Roma n'udirai lo scoppio.
Ma, però che mi manca a fornir l'opra,
Alquanto de le fila benedette,

Ch'avanzaro a quel mio dilecto padre,
Perchè tien' verso me le man sì strette

Contra tua usanza? I' prego che tu l'opra;
E vedrai riuscir cose leggiadre.

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1. Stroppio. È usato per storpio, cioè | Il vero storico del racconto col vero ferita; ma appunto per ciò ha significato di strappo non di impedimento come spiega il Card. E lo strappo ben s'addice alla tela. 3. Dal tenace visco. I commentatori e tra essi anche il Card. credono si tratti della pazzia amorosa e che il p. voglia dire: se io riesco a liberarmi del mio amore; ma non parmi che tale condizione fosse necessaria al compimento dell' opera, mentre prima al p. bastava che amore per qualche fatto imprevisto non lo distogliesse dal lavoro. Inoltre quel tenace è da mettersi in relazione col mentre che segue, onde io sto piuttosto col Castelv. che intende della difficoltà della materia derivante dall'accoppiare l'un coll'altro vero. — 4. L'un coll'altro vero.

estetico del poema. 5. Doppio. «Seguitando la metafora della tela » (Leop ). Tela doppia, cioè forte e bella fatta con filo doppio. 6. Tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco. L'Africa scritta in latino (sermon prisco) volle appunto essere il poema nazionale della nuova Italia e il modello dell' arte moderna. -7. Paventosamente. Per modestia fatto pauroso. - S. Scoppio. Fama assai alta e quasi improvvisa. 10. Fila. Continua ancora la metafora. Benedette. Per la santità della materia o forse per la sapienza. 11. Avanzaro. Sovrabbondarono. 12. Tie vei so me, ecc. Sei con me così avaro. 13. Opra. per apra, simile al francese, è usato in talune parti della Toscana.

XLI

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Quando L. parte, il tempo si guasta e piove. È in fondo il popolare concetto che, quando i santi si movoro, suol piovere. Questo e i due sonetti che seguono trattano del medesimo argomento, ed hanno le medesime rime, così, dopo il gruppo di componimenti sulla lontananza del poeta, troviamo quest'altro gruppo sulla lontananza di L.

Quando dal proprio sito si rimove

L'arbor ch'amò già Febo in corpo umano,
Sospira e suda all'opera Vulcano,
Per rinfrescar l'aspre saette a Giove;

2. L'arbor, ecc. Il lauro, cioè Laura. Ch'amo, ecc. Costruisci e intendi: Che, quando fu corpo umano, fu amato da Febo. In corpo umano. Quando Dafne non

era ancora lauro.

3 Sospira e suda. Per la fatica di fabbricare i fulmini. 4. Riufrescare. Rinnovare. Su quest'uso della voce fresco e sul suo strano ac

Il qual or tona, or nevica ed or piove,
Senza onorar più Cesare che Giano;
La terra piange e 'l sol ci sta lontano,
Chè la sua cara amica ved' altrove.
Allor riprende ardir Saturno e Marte,
Crudeli stelle, ed Orione armato
Spezza a' tristi nocchier governi e sarte.
Eolo a Neptuno ed a Giunon turbato
Fa sentire ed a noi come si parte
Il bel viso dagli angeli aspectato.

compagnarsi all'idea d'ardore (anche
qui si tratta di fulmini) abbiamo già
detto nella nota al v. 49 della canzo-
ne XXXVII. 6 Senza onorar più Cesare
che Giano. Senza alcuna differenza cosi
di Luglio (Giulio Cesare) come di Gen-
naio (Giano). 7. La terra piange. Ve
ramente il cielo piange, cioè piove sulla
terra; ma forse piange vuol dire solo:
è triste. Ci. Dalla terra. 8. La sua
cara amica. Laura, cioè il lauro, cioè
Dafne amica di Apollo cioè di Febo,
cioè del Sole. 10. Crudeli. « Di ma-
ligno influsso (Leop.). Orione. Co-
stellazione tempestosa.

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Armato. Al

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cune stelle di Orione hanno forma di spada o meglio di bastone, onde son dette il bastone di Giacobbe. 11. Governi. Timoni. - 12. Eolo a Neptuno, ecc. Eolo, cioè il vento, fa sentire a Nettuno, cioè al mare, e a Giunone, cioè all'aria, che L. si parte.. 14. Dagli angeli aspectato. A indicare la perfezione di altra persona già il p. la aveva detta: aspettata in ciel (canż. XXVIII, v. 1). E Dante aveva della sua Beatrice cantato: Madonna è desiata in sommo cielo (V. N. XIX, 45) e avea imaginato che gli angeli la chiedessero al Signore.

XLII

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Quando L. ritorna, il tempo diviene dolce e sereno. Questo sonetto, composto sulle medesime rime del precedente, può dirsi ne sia come l'antitesi; difatti, i ̊concetti si corrispondono oppostamente parte a parte e quasi verso per verso, come si può facilmente vedere.

Ma poi che 'l dolce riso umile e piano
Più non asconde sue bellezze nove;
Le braccia alla fucina indarno move
L'antiquissimo fabbro ciciliano;
Ch'a Giove tolte son l'arme di mano
Temprate in Mongibello a tutte prove,
E sua sorella par che si rinnove

Nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato,

Che fa securo il navigar senz'arte

E desta i fior tra l'erba in ciascun prato.

1. Il dolce riso. Il viso ridente. Il Card. cita a riscontro il verso di Dante: Quando leggemmo il desiato riso Esser baciato (Inf. V. 133). 2. Più non asconde, ecc. Cioè è ritornato. Nei due primi versi del son. prec. aveva detto: quando L. si parte. Nove. Mai vedute, rare. 3. Indaruo. Il lavoro dei fulmini è vano. — Fabbro ciciliano. Vulcano. Nei vv. 3-4 del son. prec. aveva detto che Vulcano sospira e suda per

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il

rinnovare le saette. Tolte son l' arme.
Non può più tuonare e fulminare. Nei
vv. 5-6 del son. prec.: Giove tuona,
nevica, ecc. - 7. Sua sorella. Giunone,
cioè l'aria. 8. Nel bel guardo d' Apollo.
Nel lieto raggiare del sole.
A mano
а тацо. А росо а росо.
9. Dal lito
occidental. Vento tepido e buono di po-
nente. 10. Il navigar senz' arte. Na-
vigare anche senza accorgimento. Nei
vv. 10-11 del son. prec. Orione spezza

Stelle noiose fuggon d'ogni parte, Disperse del bel viso innamorato, Per cui lagrime molte son già sparte. timoni esartie ai nocchieri.-14. Per cui | cetto con cui si lagrime molte, ecc. In terra molto ha pianto il p., e forse altri ancora, per L.; ciò è detto in contrapposto al con

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chiude il son. prec. che il bel viso è aspettato con desiderio in cielo dagli angeli.

XLIII

Dopo nove giorni L. è tornat; ma, poiché il sole, per essersi ritirato in disparte a piangere la sua lontananza, non s'accors del ritorno, il tempo continua piovigginoso. Non si può davvero negare che il giocherellare attorno a tali concettuzzi non preannunci e non prepari di lontano l'Arcadia; a scusa del p. e a interpretazione del sonetto dicono taluni dei commentatori che L. fosse tornata triste per la morte di un suo parente.

Il figliuol di Latona avea già nove
Volte guardato dal balcon sovrano
Per quella ch'alcun tempo mosse in vano
I suoi sospiri ed or altrui commove.

Poi che, cercando stanco, non seppe ove
S'albergasse, da presso o di lontano,
Mostrossi a noi qual uom per doglia insano,
Che molto amata cosa non ritrove.
E cosi tristo standosi in disparte,

Tornar non vide il viso che laudato
Sarà, s'io vivo, in più di mille carte.
E pietà lui medesmo avea cangiato,
Sì ch'e' begli occhi lagrimavan parte:
Peró l'aere ritenne il primo stato.

1. 11 figliuol di Latona. Apollo o il Sole. 2. Dal balcon sovrano. Dall' oriente. - 3. Per quella che, ecc. È la solita identificazione di L. col lauro e quindi con Dafne amata da Apollo. Dafne fece per alcun tempo invano sospirare Apollo; ora, sotto aspetto di L., fa sospirare gli altri, cioè il P.- Mosse. Fece muovere. 6. Da presso. Sottintendi se. - 7. Mostrossi a noi, ecc. Il sole si oscurò e pianse (intendi: piovve) come uomo impazzito per il dolore di non ritrovare, ecc. Qui c'è veramente contradizione con quanto disse nel son. XLI: il sol ci sta lontano, Chè la sua cara amica ved altrove. Il Card.

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tenta conciliare le due opposte idee dicendo che il sole la vide nel viaggio, ma che poi, giunta ella al luogo determinato e passando tutto il giorno in casa d'un suo parente infermo, non la potè più vedere. Ma e spiegazione alquanto stiracchiata, chè, se nel viaggio l'avesse veduta e seguita, avrebbe poscia dovuto, anche più non vedendola, sapere, dove stava, se almeno vicina, olontana.-9. Standosi in disparte. Poichè pioveva, il sole era nascosto e il p. finge fosse per dolore. 12. Lui modesmo. Non il sole ma il viso di L. - 13. Parte. Intanto. É usato talora dai trecentisti e sovente dal p. in tale significato.

XLIV

Cesare e Davide provarono pietà dei loro nemici, ma L. non sonte per non disdegno ed ira.

Que' che 'n Tessaglia ebbe le man sì pronte
A farla del civil sangue vermiglia,
Pianse morto il marito di sua figlia,
Raffigurato a le fattezze conte.

1. Quei. Cesare. In Tessaglia. Nella e Pompeo. pugna di Farsalo combattuta tra Cesare

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3. Il marito di sua figlia .

Pompeo era genero di Cesare. - 4. A

El pastor ch'a Golia ruppe la fronte,
Pianse la ribellante sua famiglia,

E sopra 'l buon Saul cangiò le ciglia,
Ond'assai può dolersi il fiero monte.
Ma voi, che mai pietà non discolora,

E ch'avete gli schermi sempre accorti
Contra l'arco d'Amor, che 'ndarno tira,
Mi vedete straziare a mille morti;

Nè lagrima però discese ancora
Da' be' vostr'occhi, ma disdegno ed ira.

le fattezze conte. Alla fisionomia conosciuta. Come si sa, Tolomeo re d'Egitto mandò a Cesare la testa di Pompeo. -6. La ribellante sua famiglia. Parecchi dei famigliari di Davide a lui si ribellarono. -7. Il buoa Saul. Buono quando fu eletto re e prima che fosse invaso dallo spirito maligno. Cangiò le ci glia. Mutò il volto di lieto in triste sopra il cadavere di Saule. -- 8. Onde. Per la qual cosa, cioè per il qual dolore di Davide. -Pus dolersi il fiero monte. Contro il monte di Gelboè, sul quale Saulle si uccise, Davide lanciò imprecazioni, augurando che pioggia più ne rugiada il bagnasse; per ciò dice

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il p. che il monte può dolersi del dolore di Davide. 9. Non discolora. Cui la pietà non fa mai impallidire.- 10. Accorti. Pronti; come sulla fine del son. XXXVIII, dove si parla della mano di L. sempre pronta a fare schermo agli sguardi del p. Qui però si parla di schermi o difese spirituali, non materiali. 12. Straziare a mille morti. Si può intendere: da mille mɔrti, ovvero: con pena uguale a mille morti, come battere a sangue. 14. Disdeg o ed ira. Veramente ira e disdegno non discendono dagli occhi ma ne saettan fuori; però lo zeugma qui aggiunge brevità ed efficacia all'espressione.

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XLV

L. specchiandosi si è innamorata di sè stessa e perciò sdegna il p.; badi ch'ella non abbia a finire come Narciso.

Il mio adversario, in cui veder solete

Gli occhi vostri, ch'Amore e 'l ciel onora,
Colle non sue bellezze v'innamora
Più che 'n guisa mortal soavi e liete.
Per consiglio di lui, donna, m'avete
Scacciato del mio dolce albergo fòra:
Misero esilio! avvegna ch'i' non fôra
D'abitar degno ove voi sola siete.

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1. Il mio adversario in cui, ecc. Lone' Trionfi,ci assicurano che L. per qualspecchio. Il p. lo dice suo avversario, perché gli tolse l'amore di L. 2. 11 ciel onoia. Anche nella canz. XXXVII, v. 110, ha detto che il cielo rende onore a L. 3. Non sue bellezze. Perchè sono le bellezze di L. stessa. 5. Per coasiglio di lui. Per effetto dello specchiarvi. 6. Scacciato del mio dolee albergo fôra. Questo verso e l'altro che or ora vedremo, assieme ad altri accenni ancor più chiari qua e là dispersi nel canzoniere e

che tempo si mostrò propensa ad amare il p.; che,se egli non fosse stato una volta nel cuore di L. (il suo dolce albergo), non potrebbe ora lagnarsi d'esserne stato scacciato dalla vanità di lei. Così egli candidamente confessa nel son. CLXXII: quella ch'e' miei preghi umili e casti Gradi alcun tempo, or par ch'odi e refiute. 8. Ove voi sola siete. lo non ero degno di stare nel vostro cuore, ove voi sola siete, sottintendasi, de

Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso,

Non devea specchio farvi per mio danno,
A voi stessa piacendo, aspra e superba.
Certo, se vi rimembra di Narcisso,

Questo e quel corso ad un termine vanno;
Benchè di sì bel fior sia indegna l'erba.

gna d'abitare. 9. Con saldi chiovi
fisso. Ecco l'altro verso; se il p. si
lagna che i chiovi, con cui egli era
fisso nel cuore di L. non erano saldi,
vuol ben dire che egli, pur con deboli
chiovi, v'era fisso o, in altre parole,
che L. lo amava. Quanto alla metafora
dei chiovi, si ricordi quella simile usata
da Dante (Purg. VIII. 136) « cotesta cor-
tese opinione Ti fia chiavata in mezzo

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detta testa. Con maggior chiovi che d'altrui sermone ». 10. Per mio danno. Contro di me. - 12. Narcisso. Narciso, specchiandosi nel fonte, si innamoró di sè stesso e fu convertito in un fiore.

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13. Questo e quel corso, ecc. Il corso cioè il procedere vostro e quello di Narciso conducono alla stessa fine. Di si bel fior. L. sarebbe troppo bel fiore, talchè l'erba non ne sarebbe degna.

XLVI

Continua sullo stesso argomento, lagnandosi di tutti gli ornamenti che eccitano la vanità di L., ma più che altro degli specchi, in causa dei quali ella, invaghita di sé stessa, non diè retta alle sue preghiere. 11 Tassoni ricorda un antico sonetto di Fuccio Bellondi, che com.: « L'oro e le perle e i bei fioret i e l'erba » e del quale certamente si ricordò il P. nel dar principio a questo suo.

L'oro e le perle e i fior vermigli e i bianchi,
Che 'l verno devria far languidi e secchi,
Son per me acerbi e velenosi stecchi,

Ch'io provo per lo petto e per li fianchi.

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Però i di miei fien lagrimosi e manchi,

Chè gran duol rade volte avven che 'nvecchi;
Ma più ne colpo i micidiali specchi,
Che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.
Questi poser silenzio al signor mio,

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Che per me vi pregava; ond'ei si tacque
Veggendo in voi finir vostro desio.
Questi fuor fabbricati sopra l'acque
D'abisso e tinti ne l'eterno oblio;
Onde 'l principio de mia morte nacque.

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siderio finire in voi stessa, cioè voi non desiderare, non amare altro che voi stessa. 12. Sopra l'acque d'abisso. Vicino ai fiumi d'inferno, cioè in inferno.

2. Che 'l verno, ecc. Augura che il verno li secchi precocemente, tanto male a lui fanno. 3. Stecchi. Pruni, qui usato però nel senso di punture o ferite, giacchè, se il concetto di stecchi 13. Tinti. Bagnati nel Lete, che è appuò abbastanza bene riferirsi per an- punto uno dei fiumi d'abisso. Il Card. titesi al concetto di fiori, in nessun modo preferisce intendere temprati, ma è da invece può riferirsi a quello d'oro e di notarsi che gli specchi, anche se d'arperle. 4. Per lo petto e per li fianchi.gento, non han bisogno di venire temCioè, per tutto il corpo. 5. Manchi. prati e che a persone o a Brevi, non compiuti, cioè morrò anzi sufficiente, per acquistare il dono deltempo, come già molte volte sino ad l'oblio, essere immerse non temprate ora il p. ha ripetuto. 6. Che gran nel Lete. Il p. dice che quegli specchi duol, ecc. Seneca, cit. dal Card.: « Nul- furono bagnati nel Lete, perche L lum...dolorem esse longum qui magnus essi guardandosi, ogni altra cosa diest» (Ep. XXX).-9. Poser silenzio, ecc. mentica. 14. Il principio di mia morte. Fecero tacere il mio amore. 11. In Perché, appunto per tal motivo, egli voi finir vostro desio. Ogni vostro de- dovrà morire.

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