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Chè piangon dentro, ov' ogni orecchia è sorda,
Se non la mia, cui tanta doglia ingombra
Ch' altro che sospirar nulla m' avanza.
Veramente siam noi polvere ed ombra!
Veramente la voglia è cieca e 'ngorda!
Veramente fallace è la speranza!

Riconti o scriva in versi. 9. Dentro al cuore. Ogni orecchia è sorda. Tutti gli altri, tranne che il p.,non possono udirli. 10. Cui tanta doglia, ecc. Il p. bensi li ode, ma è tanto il suo dolore che a lui rimane voglia soltanto di sospirare, non di scrivere; perciò nè lui ne altri mettono in versi questa pietà. Cui può ri ferirsi cosi ad orecchia: la quale orec

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chia, ecc., ovvero al poeta: di me il quale; ma è poi lo stesso. 12. Veramente, ecc. Tutto ciò che segue è detto quasi a spiegazione del sospirare che fa il p.; sono questi i sospiri, i lamenti che egli esprime. 13. La voglia. I desiderii umani. 14. Fallace è la speranza. Oh speranza, oh desir sempre fallace (son. CCXC).

CCXCV

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Quando L. era viva, il p. sperava sempre che ella finisse per muoversi a compassione di lui; ora che è morta, non ha altra speranza se non ch'ella lo veda e lo oda. Lei felice che in cielo ha ritrovato il premio delle sue virtù!

Soleano i miei penser soavemente

Di lor obgetto ragionare inseme:

<< Pietà s' appressa, e del tardar si pente;
Forse or parla di noi o spera o teme ».
Poi che l'ultimo giorno e l' ore estreme
Spogliar di lei questa vita presente,
Nostro stato dal ciel. vede, ode e sente;
Altra di lei non è rimaso speme.
O miracol gentile! o felice alma!

O beltà senza esempio altera e rara,
Che tosto è ritornata ond' ella uscio!
Ivi ha del suo ben far corona e palma
Quella, ch' al mondo sí famosa e chiara
Fe la sua gran vertute e 'I furor mio.

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1. Soleano. Sottint.: quando L. era minili: Percossa di suo strale Non esviva. 2. Di lor obgetto. Di L.- Inseme. sermi passato oltra la gonna (canTra se; aggiungi: a questo modo. zone XXIII, 33); Passato é quella di ch'io 3. Pietá s'appressa. S'avvicina il mo- piansi e scrissi (son. CCCXIII). 9. mento che L. avrà pietà di noi. - Del Miracol gentile. L. Cosi il p. la chiama più tardar si pente. Si pente di aver tardato volte, e cosi Dante chiama Beatrice.-11. ad avere pietà. 4. Forse or parla di Ond'ella uscio. Nel cielo donde era venoi, ecc. Ugual concetto espresse nella nuta: Nel suo paese è ritornata (socanz. CXXIX: forse in quella parte Or netto CCLXXXIX). — 12. Corona e palma. di tua lontananza si sospira (v. 63). Il premio dei buoni. La corona è di Spera o teme includono appunto, a alloro, premio della sua virtù trionfa quanto sembra, l'idea della lontananza; ornata de l'alloro Che meritò la sua spera che io venga o teme che non invitta onestate (son. CCCXIII); la venga. 6. Spogliar di lei. ecc. La vita palma poi e l'alloro, come attributi di terrena cioè il mondo fu privato del-L., sono largamente ricordati e spiel'ornamento di L. Ahi orbo mondo in- gati nella canz CCCLIX. - 13. Ch' al grato!.. quel bel ch'era in te per- mondo. Che è oggetto; virtute e furor duto hai seco (Canz. CCLXVIII, v. 20). sono soggetti. L. fu resa famosa dalla 7. Nostro stato dal ciel, ecc. E qual è virtù sua e dal furore (che è il contrala mia vita ella sel vede (canz.CCCXXIV, rio di virtù cioè dall' amore furioso v. 12). 8. Altra. Si unisce a speme. del p.. che la cantò in versi. Nei Tr. Rimaso. Il p. usa sovente il part. (I. 109): un che non volse consentir passato in forma neutra coi nomi fem-alfuror della matrigna.

CCXCVI

Una volta si lagnava, ora è lieto di aver sofferto per amore di L. morta così improvvisamente. Nè ci fu al mondo nessuno, per quanto desideroso di piacere e di vita, che non avrebbe desiderato morire di amore per lei.

I' mi soglio accusare, ed or mi scuso,
Anzi me pregio e tengo assai più caro
De l'onesta pregion, del dolce amaro
Colpo ch' i' portai già molt' anni chiuso.
Invide Parche, sì repente il fuso

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Troncaste, ch' attorcea soave e chiaro
Stame al mio laccio, e quello aurato e raro
Strale, onde morte piacque oltr' a nostro uso!

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Ché non fu d'allegrezza a' suoi dì mai,
Di libertà, di vita alma sì vaga,
Che non cangiasse 'l suo natural modo,
Togliendo anzi per lei sempre trar guai
Che cantar per qualunque, e di tal piaga
Morir contenta, e vivere in tal nodo.

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1. Soglio. Per soleva, secondo l'uso pro- | Spenda in me tutte (canz. CCVI, v. 10); venzale, come ne abbiamo già veduto pa- e qui per strale si intendono gli sguardi recchi esempi: Piè miei, vostra ragion di L... Così nel son. LXXXIII: ov'amor là non si stende, Ov'è colei che eser- l'arco tira ed empie. 8. Oude morte citar vi sóle (son. CCLXXV).- Accusare. piacque, ecc. Per il qual dardo, cioè Vale lagnare e regge dietro a sè: De per essere causata da quel dardo, la l'onesta pregion, ecc. Mi scuso. È il morte amorosa piacque più ancora che contrario di accusare; mi scuso delle mai solesse piacere al inondo. Morte inie lagnanze. - 2. Tengo assai più caro. nel senso amoroso fu tanto sovente Ho in assai maggior conto; questo usato dal p. che non mette conto civerbo tengo reggerebbe dopo di sè l'accu- tarne degli esempi; solo si noti che qui, sativo, ma per zeugma è detto: de lo- per parlar invece della morte naturale, nesta pregion, facendosi dipendere il disse Parche.-Oltr'a nostro uso. Fu usato complemento da accusare, scusare e in ugual senso anche da Dante: E fissi pregiarsi, e formandosi cosi una frase gli occhi ai sole oltre a nostr'uso di nuovo conio: tenersi caro di una (Par. 1, 52). - 9. Ché non fu, ecc. Cocosa. 3. Onesta pregion. Prigione struisci e intendi: Chè non fu mai non disonorevole, come sogliono essere mentr'ella viveva (a' suoi di) alcuna le prigioni, ma onorevole. Prigione è anima si desiderosa (vaga) d'allegrezza, l'amore del p. per L.; così nel so- di libertà, di vita, la quale non avesse netto LXXVI: Amor con sue promesse cangiato il suo modo naturale di vilusingando Mi ricondusse a la pri- vere e preferito (togliendo) piuttosto gione antica. Dolce amaro colpo. La (anzi) piangere sempre per L. che canferita di Amore: il colpo mortal la giù tare per qualunque altra donna, e prediscese (son. II). 5. Învide Parche. In- ferito morire per la (di) piaga di quello vide della felicità del p. Il fuso tron-strale, e vivere così prigioniera (in tal caste. Il fuso, che attorceva filo al lac- nodo). Simile concetto espresse il p. cio del p., era L.; perciò il p. dice che nella canz. LXXII: Né mai stato glorioso le Parche troncarono il fuso, cioè la Amor e la volubile fortuna Dieder a vita di L. non il filo che formava il laccio chi più fur nel mondo amici Ch'i' nol amoroso del p.; ma è, a dir vero, un cangiassi ad una Rivolta d'occhi (v. 31). gran brutto pasticcio mitologico que- 12. Togliendo. Togliere per preferire, sto. 7. E quell'aurato, ecc. Si suppli- accettare, fu usato altrove dal p.: quella sce: troncaste. Lo strale d'oro era ch'i' torrei Sol, chiuso in fosca cella,... quello che faceva innamorare; S'io 'ladorar (canzone CCVI, v. 32). dissi amor l'aurate sue quadrella

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CCXCVII

La bellezza e l'onestà di L., che così bene s'accompagnavano sulla terra, sono ora separate: l'una è sotterra, l'altra è in cielo. Tutte le bellezze di lei sono scomparse; e s'egli tarderà a morire, potrà forse eternarle coi versi.

Due gran nemiche inseme erano aggiunte,
Bellezza ed Onestà, con pace tanta
Che mai rebellion l'anima santa

Non sentì, poi ch' a star seco fur giunte.
Ed or per morte son sparse e disgiunte:

L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta,
L'altra sotterra, ch' e' begli occhi ammanta
Onde uscîr già tant' amorose punte.
L'atto soave e 'l parlar saggio umile,

Che movea d' alto loco, e 'l dolce sguardo,
Che piagava il mio core (ancor l'accenna),
Sono spariti: e s'al seguir son tardo,

Forse avverrà che 'l bel nome gentile
Consecrerò con questa stanca penna.

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1. Gran nemiche. Perchè di solito bel- | L. Cosi infatti nel son. CCXX: Da quali lezza ed onestà nella medesima per- angeli mosse e di qual spéra Quel cesona non vanno d'accordo. Cosi Ovidio leste cantar. 11. Ancor l'accenna. Si (Her. ep., XVI. 288). Lis est cum for- può intendere in due modi: o che il dolma magna pudicitiae. Aggiunte. ce sguardo continua, anche dopo morta Unite. 2. Pace. Accordo fra di loro. L., a far cenno di piagare il cuore del 3. Rebellion. Della bellezza dall'o- p., ed è l'interpretazione più vecchia; nestà, dell'onestà dalla bellezza (Ca-o che il cuore del p. accenna, mostra stelv.).-5. Sparse. Separate. -6 L'una. L'onestà, cioè l'anima. 7. L'altra. La bellezza, cioè il corpo. Ch'. Non si riferisce a l'altra ma a terra incluso in sotterra: la qual terra ammanta, copre gli occhi di L.; il mio primo amor terra ricopre (Canz. CCLXX, v. 45). 8. Onde. Dai quali occhi. Punte. Freccie, che Amore scoccava dagli occhi di L.: ov'Amor l'arco tira ed empie (son. LXXXIII). 9. Atto. L'atteggiamento, il modo di fare: L'atto d'ogni gentil pietate adorno (son. CLVII). - 10. Che movea d'alto loco. Che procedeva d'alto intelletto, secondo il Leop.; ma, a mio giudizio, che veniva dal cielo, dall'origine celeste di

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ancora la piaga, ed è la interpret. più nuova e più ragionevole. Il ms. vatic. 3195 aveva: e ancor, ma poi l'e fu abraso, appunto per togliere il dubio sul modo d'intendere. 12. Al seguir. A seguirli in cielo, cioè a morire. Son tardo. Non che il p. sia tardo, giacchè da lui non dipende il tempo di morire; ma deve intendersi : se la mia morte verrà tardi 14. Consecrerò. Farò sacro, immortale. Molto probabilmente anche qui accenna ad un'opera poetica, diversa dal canzon. e destinata à immortalare L., cioè ai Trionfi; cosi indubbiamente nel son. CCCXXVII: consecrata fra i nobili intelletti Fia del tuo nome qui memoria eterna.

CCXCVIII

Quando il p. pensa alla morte di L. e si trova così solo e deserto, ha dolore e paura di se stesso. Il Biag. crede, non senza qualche ragione, che la mossa di questo son. gli fosse suggerita da quei versi con che comincia una canz. di Dante : La dispietata mente che pur mira Di dietro al tempo che se n'è andato.

rar,

Quand' io mi volgo indietro a mirar gli anni
Ch' hanno, fuggendo, i miei penseri sparsi
E spento 'l foco, ove agghiacciando io arsi,
E finito il riposo pien d'affanni,
Rotta la fe' degli amorosi inganni,

E sol due parti d'ogni mio ben farsi,
L'una nel cielo e l'altra in terra starsi,
E perduto il guadagno de' miei danni,...
I' mi riscuoto, e trovomi sì nudo

Ch'i' porto invidia ad ogni estrema sorte:
Tal cordoglio e paura ho di me stesso !
O mia stella, o fortuna, o fato, o morte,
O per me sempre dolce giorno e crudo,
Come m'avete in basso stato messo!

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forza di soffrire, era riuscito ad impietosir L., come si ricava anche dal son. CCLXVII: Di speranze m'empieste e di desire; morendo L., egli perdette ciò che, soffrendo, avea guadagnato. 9. Mi riscuoto da tali pensieri. Nudo. Misero. 10. Ad ogni estrema sorte. Alla più infelice condizione altrui. 11. Paura di dannarsi; non di uccidersi, come altri crede. -12. Stella. Destino; come al solito. 13. Dolee giorno e crudo. L'8 di aprile; si può intendere dolce perchè si innamorò di L. e crudo perchè L. mori, e cosi spiega il Ferr.; ma si può forse meglio intendere soltanto del giorno dell'innamoramento, chè, se no, i giorni son due non uno. Difatti del giorno dell'innamoramento dice il p. quando L. era ancor viva: quel giorno Che mi fe ricco e povero in un punto (son. CCI).

1. Mi volgo, ecc. Cosi nel son. CCLXXIII: | de' lor tristi danni (son. LX). II p., a Che pur dietro guardi Nel tempo che tornar non potè omai? 2. Fuggendo. Col loro trascorrere e quindi col togliermi L. - I miei pensieri sparsi. Resi vani i miei pensieri; cosi: 0 passi sparsi nel princ. del son. CLXI. - 3. E spento '1 foco. Int.: e mi volgo a micioè: veggo morta L. la quale era il mio fuoco, nel quale ardevo e gelavo insieme, ardevo di desiderio, gelavo di paura: E temo e spero, e ardo e sono un ghiaccio (son. CXXXIV). Il Cast intende: Sentii pena e refrigerio insieme, ma, come si vede dalÏ'es. cit. e da infiniti altri sparsi nel canzon., egli sbaglia. -4. Il riposo, ecc. Poichè la vista di L. gli dava insieme pace ed affanno: Quei begli occhi ond'io ho guerra e pace, (son. CCXX). 5. Rotta la fe', ecc. Svanita la mia credenza nelle amorose illusioni. -6. Due parti d'ogni mio ben farsi. E tutto il mio bene, cioè L., dividersi in due parti. 7. L'una, la parte spirituale, Î' anima bella; l'altra, la parte corporea. - 8. Perduto il guadagno, ecc. Danni vale pene: I' rivolsi i pensier tutti ad un segno Che parlan sempre

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14. In basso stato messo. Si noti la bellezza di quest'ultimo verso, dal quale per il seguirsi alternato delle arsi e delle tesi e per l'agglomeramento delle sibilanti si ricava un suono che esprime scoraggiamento profondo.

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CCXCIX

Il P. chiede dove siano ora tutte le bellezze di L., dove sia L. stessa; e piange sulla sorte del mondo e sulla sua propria.

Ov'è la fronte, che con picciol cenno

Volgea il mio core in questa parte e 'n quella?

1. Con picciol cenno. Solo corrugan- questa parte e in quella. Al dolore o alla dosi o spianandosi lievemente 2. In gioia. Del mio cor donna, l'una e l'al

Ov'è 'l bel ciglio e l'una e l'altra stella,
Ch' al corso del mio viver lume denno?
Ov'è 'l valor, la conoscenza e 'l senno,
L'accorta onesta umil dolce favella?
Ove son le bellezze accolte in ella,
Che gran tempo di me lor voglia fenno?
Ov'è l'ombra gentil del viso umano,

Ch' òra e riposo dava a l' alma stanca,
E là 've i miei pensier scritti eran tutti?
Ov' è colei che mia vita ebbe in mano?

Quanto al misero mondo e quanto manca
Agli occhi miei, che mai non fien asciutti!

tre chiave Avete in mano disse il p. (ball. LXIII). 3. L'una e l'altra stella. Gli occhi di L. erano le stelle che guidavano la nave della vita del p. lungo il suo corso. Celansi i duo miei dolci amati segni (son. CLXXXIX). - 4. Denno. Per diedono, diedero; cosi dopo: fenno perferono, fecero. 5. Valor. Virtu,nobiltà d'animo; Le degne lode e 'l gran pregio e 'l valore (son. CCXV). — La conoscenza. L'intelligenza. 8. Di me lor voglia fenno. Fecero di me quello che vo levano. 9. L'ombra. Non vuol dire né aspetto come intende il Da Venafro nè l'aria nel senso usato dai pittori come vuole il Tass. Qui l'ombra del viso, che dava riposo e frescura all'anima stanca, ammette necessariamente sottintesa l'idea del lauro: l'ombra del dolce

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Lume e riposo di mia stanca vita dirà più innanzi il p. (sonetto CCCXXVII). E fuori di metafora, ombra del lauro vuol dire vicinanza di L.; cosi abbiamo spiegato nel sonnetto CXCV: Sens' acqua il mare e senza stelle il cielo Fia innanzi ch'io non sempre tema e brami La sua bell'ombra. - 10. Ora. Aria fresca, rezzo. -11. Lȧ've i miei pensier, ecc.Tuttii suoi pensieri egli leggeva nel volto di L., cioè era lieto se essa era lieta, triste se essa triste: La donna che 'l mio cor nel viso porta (son. CXI) e: il petto.... [del p.] che forma tien dal variato aspetto [di L.] (canz. LXXII v. 59). 13. Quanto manca. Quanto grande è la perdita del mondo e dei miei occhi.

CCC

Invidia alla terra il corpo di L., al cielo l'anima, ai beati la compagnia di lei, alla morte il soggiornare nei suoi occhi.

Quanta invidia io ti porto, avara terra,
Ch' abbracci quella cui veder m' è tolto,
E mi contendi l' aria del bel volto,
Dove pace trovai d' ogni mia guerra!
Quanta ne porto al ciel, che chiude e serra
E si cupidamente ha in sé raccolto
Lo spirto da le belle membra sciolto,
E per altrui sì rado si disserra!

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1. Avara. Desiderosa, ingorda. Abbracci. Stringi fra le tue braccia. 3. L'aria del bel volto. Non la vista, o l'apparenza, o il piglio come intendono variamente i commentatori; ma il soffio delle sue labbra che respiravano e parlavano: L'aura soave che dal chiaro

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viso Muove col suon de le parole accorte (son. CIX).-4. Dove pace trovai,ecc. Mi rasserenai di ogni mio dolore; ugualmente dice appunto, continuando, nel son. cit: Muove col suon de le p.a. Per far dolce sereno ovunque spira. -6. Cupidamente. Avaramente come la terra. S. E per

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