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5.

6.

Dal laccio d' or non sia mai chi me scioglia,
Negletto ad arte e 'nnanellato ed irto,
Ne de l'ardente spirto

Sweet

счит

De la sua vista dolcemente acerba,
La qual dì e notte, più che lauro o mirto,.
Tenea in me verde l' amorosa voglia,
Quando si veste e spoglia

Gle
"alive
Di fronde il bosco e la campagna d' erba.
Ma, poi che morte è stata sì superba
Che spezzò il nodo ond' io temea scampare,
Nè trovar poi, quantunque gira il mondo,
Di che ordischi 'l secondo,

Che giova, Amor, tuoi ingegni ritentare?
Passata è la stagion, perduto hai l'arme

Di ch' io tremava: ormai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi, onde l'accese
Saette uscivan d' invisibil foco,

E ragion temean poco,

Ché 'ncontra 'l ciel non val difesa umana,
Il pensar e 'l tacer, il riso e 'l gioco,
L'abito onesto e 'l ragionar cortese,
Le parole che 'ntese

-

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due sonn. sopra citati. - E puommi. E al-
lora soltanto mi potrai. 61. Dal laccio
d'or. Dalla seduzione sopra detta; d'or
perchè i capelli son biondi. Sia. Per
fa o sarà. Altri lo intende come otta-
tivo: deh non sia. 62. Negletto ad
arte, ecc. O che quel laccio, cioè i capelli
siano per artifizio negletti, cioè sciolti, o
siano inanellati o tirati su (irto) a petti- |
natura. 63. Nè de l'ardente spirto, ecc.
E nessuno pure mi sciogliera, mi libe-
rerà dall' ardente effetto, ecc. 61.
Dolcemente acerba. A me crudele e pur
dolce. 65. Lauro o mirto. Piante sem-
pre verdi. 66. Verde. Fresca, viva.
67. Quando si veste e spoglia, ecc. Di
primavera e d'autunno, cioè in ogni
tempo: quando nasce e mor for erba
e foglia (son. CCLXV). 69. Superba.
Crudele. 70. Spezzò il nodo, ecc. Nodo
qui ha doppio significato di: corpo di
L. (intendendosi del legame che univa
l'anima di L. alle sue membra) e di
vincolo d'amore del p.; quindi spezzo
il nodo ecc. vuol dire: fece morire
L. e cosi mi sciolse dal legame da
cui io, ecc. Uguale doppio significato
ha la parola nodo nel son. CCCVII:
Per gir, cantando, a quel bel nodo
eguale, Onde Morte m'assolve, Amor
mi lega. Ond'io temea scampare. Dal
quale to dubitava di poter mai libe-
rarmi; ovvero: dal quale io non avevo
il coraggio di liberarmi. - 71. Pòi. Tu,

65

Ever-queen

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76.

| Amore, puoi. - Quantunque gira il mondo.
In tutto lo spazio per cui il mondo
gira, cioè in tutto l'universo. -72.
Di che ordischi il secondo. Materia adatta
a ordire un secondo laccio, cioè donna
capace di tornarmi a innamorare.
73. Tuoi ingegni. Le tue astuzie.
74. Passata è la stagion. Forma prover-
biale, come si dice volgarmente: « Pas-
so quel tempo, Enea ». - L'arme. Dira
ora quali sono queste armi.
Onde l'accese Saette uscivan, ecc. Dai
quali uscivano quelle saette accese di
un fuoco invisibile, ed erano gli sguardi
ardenti di L.; invisibil perchè il p. quasi
da prima non se n'accorse. 77. Ra-
gion temean poco. La ragione aveva poco
potere dinanzi a quegli sguardi; cosi
disse nel son. XCVII: Gli occhi inva-
ghiro allor sì de' lor guai Che il fren de
la ragion ivi non vale. - 79. Ché 'neon-
tra 'I ciel, ecc. È inutile contrastare al
destino. 80. I pensar e 'l tacer, ecc.
Tutti questi, assieme a occhi, sono i sog-
getti del verbo furono, cioè le arme di
Amore. Gioco. Lo scherzare. 81. L'a-
bito onesto. Intendesi: il costume del-
l'anima, come nel son. CC: quelle va-
ghe forme oneste Ch'adornan si l'alto
abito celeste. Non sarebbe però impos-
sibile ammettere che parlasse del ve-
stito decoroso come nel son. CXCII:
Vedi quant'arte dora e'mperla e no-
| stra L'abito eletto. 82. 'ntese. All'u-

Avrian fatto gentil d' alma villana,
L' angelica sembianza umile e piana,
Ch' or quinci or quindi udia tanto lodarsi,
El sedere e lo star, che spesso altrui
Poser in dubbio a cui

Devesse il pregio di più laude darsi;

Con quest' armi vincevi ogni cor duro:
Or se tu disarmato, i' son securo.

7. — Gli animi, ch' al tuo regno il cielo inchina, Leghi ora in uno ed ora in altro modo: Ma me sol ad un nodo

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Amor, de la tua man nòve ferute;

Indarno tendi l'arco, a voito scocchi:

Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi.

105

8.

Morte m' ha sciolto, Amor, d' ogni tua legge:
Quella che fu mia donna al ciel è gita,
Lasciando trista e libera mia vita.

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dirle. 83. Avrian fatto gentil, ecc. Cosi anche Dante; Gitta nei corvillani Amore un gelo Per che ogne lor pensero agghiaccia e père Equal soffrisse di starla a vedere Diverria nobil cosa o si morria (V. N., canz. I. v. 49).

84. Piana. Modesta: 'l dolce riso umile e piano (son. XLII). 85. Che or quinci or quindi. Or a destra or a sinistra indica dunque che il p. pensa all'aspetto di L. quando passeggiava, e ricorda chiaramente il son. dantesco: Ella sen va sentendosi laudare Benignamente d'umiltà vestuta (V. N., son. XV.), 87. A cui. A quale delle due cose se ella fosse più bella e aggraziata sedendo o in piedi. 89. Con quest'armi, ecc. Riassume il fin qui detto ricongiungendosi alla fine della strofe precedente. Duro. Allude al proprio cuore che era prima refrattariò all'amore: d'intorno al mio cor pensier gelati Fatto avean quasi adamanti no smalto (canz. XXIII, v. 25). - 90. Seeuro. Senza paura di più innamorarmi. --91. Ch'al tuo regno, ecc. Che Dio fa inchinevoli ad esserti soggetti. 93. Sol ad un nodo Il nodo di cui parla al v. 70. 94. Di più non volse. Non volle

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che tu potessi legarmi ad altri. 'n libertà, Per quanto io sia libero, pure non ne godo. 96. Nobil pellegrina. L. detta pellegrina, perche fu in terra dove tutti siamo di passaggio; morse una pellegrina il mio cor vano (madr. LIV. Nobile perchè fu migliore d'ogni altra. 98. Melegò innanzi, ecc. Legò alla vita e disciolse dalla vita; cioè, perché Dio volle che io nascessi prima di te e che tu morissi prima di me, cioè che io vivessi più a lungo? -99. Ritolse. Perchè, secondo la teoria platonica, L. prima esisteva nella mente di Dio; ugual cosa disse il p. nel sonetto LXXVII: certo il mio Simon fu in paradiso Onde questa gentil donna si parte. 101. Per infiammar nostro desio. Per vieppiù accendere il nostro desiderio di salire al cielo, di cui tale virtù era una prova. Che solea far del cielo E del ben di lassù fede fra noi (canz. CCLXVIII, v. 35). 104. Voito. Vuoto, senza cogliere il segno.- 105. Sua virtù. La potenza dell'arco. 106. D'ogni tua legge. Dall'obbedire a te. 107. Donna. Signora, domina; di quella dolce mia nemica e donna (son. CCII) 108. E. Avversativo, vale: ma.

,

CCLXXI

Del

Il p. provò immenso dolore per la morte di L. Amore, non volendo perdere su lui il suo dominio, cercò di farlo innamorare di altra donna ; ma salvarono il p. da tal pericolo la conoscenza degli affanni sofferti e il ricordo della morte di L. l'importanza autobiografica di questo sonetto abbiam parlato nella nota alla precedente canzone. Aggiungeremo qui che tutti gli interpreti, meno il Tassoni e il Muratori, credono che anche questa nuova amante del p. sia morta e che egli si sia liberato dal suo amore per questo motivo; ma nell'opusc. Dell'ispirazione dantesca (pag. 35) e più ancora nella recens. a La chronologie del Cochin (Rass. bibliogr., VI, 1898, pag. 125 nota) noi abbiamo sostenuto e dimostrato che col dire : Morte m'ha liberato un'altra volta, il p. intese di accennare solo alla morte di L. reiterando così la idea che già espresse sulla fine della canz. prec.: Morte m'ha sciolto Amor, d'ogni tua legge, e che ripete poi nel principio di questo sonetto. Che nella canz. si tratti della mo: te di L. nessuno ha mai messo nè vorrà, credo, metter in dubio, dicendo il p.: << Amore, tu non potresti più farmi innamorare d'altra donna, perchè la morte di L. mi ha per sempre sciolto dalla tua legge Ma evidente è che, quando il p. così diceva, egli correva o aveva già corso il pericolo di innamorarsi nuovamente. Ora dal sonetto alla canz. non c'è altra differenza che questa, che nel son. è dato in forma concreta, come di cosa già tentara da Amore, ciò che nella canz. è ammesso soltanto, per vezzo artistico, in forma ipotetica. Ma il fatto è tutt'uno e quindi anche l'interpretazione delle due idee, con cui in ugual forma i due componimenti si chiudono, deve essere la stessa. Ed il p., del resto, dice chiaramente che non s'innamorò, perchè sapeva troppo bene a che sarebbe andato incontro; non fu dunque necessario che anche la nuova donna morisse, perchè egli se ne liberasse. Rimandiamo il lettore, che voglia aver più esatta conoscenza della questione, ai luoghi citati, aggiungendo soltanto, come nuova e decisiva prova in nostro favore, che uguale concetto ma in modo tale che non lascia luogo a cavillose spiegazioni, esprime il p. nel son. CCLXXX, dove appunto dice che tutto in Valchiusa lo indurrebbe ad amare ancora, ma che L. per la memoria di sua morte acerba glielo impedisce. E questo fia suggel. Ripetiamo poi che anche Dante dichiara di essersi liberato dalla sua simpatia per la donna pietosa, sognando di Beatrice morta: il che prova che il P., come dicemmo. introducendo nel canzoniere questo episodio, non fu alieno da reminiscenze dantesche.

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L'ardente nodo, ov' io fui d' ora in ora,
Contando anni ventuno interi, preso,
Morte disciolse; nè già mai tal peso
Provai, nè credo ch' uom di dolor mora.
Non volendomi Amor perdere ancora,
Ebbe un altro lacciuol fra l'erba teso,
E di nova esca un altro foco acceso,
Tal ch'a gran pena indi scampato fòra.
E se non fosse esperienzia molta

De' primi affanni, i' sarei preso ed arso
Tanto più quanto son men verde legno.

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1. L'ardente nodo. È il nodo di cui parla | morto lui di dolore, nessuno ne può al v. 70 della canz. prec. D'ora in ora. Continuamente. 2. Contando anni ventano interi. Dall' 8 aprile 1327 all'8 aprile 1348.3. Peso. Dolore per il rompersi di quel nodo, cioè per la morte di . Cosi disse nella canz. CCLXIV: Ne mai peso fu greve Quanto quel ch'i sostengo in tale stato (v. 132).

4. Nè credo che nom di dolor m. È detto volgare che di dolore non si muore; e il p. vuol dire che, se non è

morire. 6. Un altro lacciuol, ecc. Il primo laccio disse appunto il p. che fu teso da L. fra l'erba: un laccio che di seta ordiva Tese fra l'erba (madr. CVI). -7. Di nova esca. Esca è il fungo che serviva anticamente ad accendere il fuoco; qui vuol dire con una nuova donna. 8. Indi. Da di là. 10. Preso ed arso. Preso nel laccio ed arso nel fuoco, cioè innamorato. 11. Tanto quanto più son, ecc. Come il legno

Morte m' ha liberato un' altra volta,
E rotto 'l nodo, e 'l foco ha spento e sparso;
Contra la qual non val forza nè 'ngegno.

secco, non verde, brucia più facilmente,
cosi i vecchi più facilmente si innamo-
rano. - 12. Morte, ecc. V. sopra. 13.
Rotto 'I nodo. Non un nodo vero e pro-

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prio, ché il p. non s'era ancora innamo-
rato, ma il laccio di cui sopra.
Contra la qual morte.

CCLXXII

La vita fugge e la morte è vicina, e al p. duole di attenderla, tanto che quasi si ucciderebbe. Da un lato ripensa alle dolcezze passate, dall'altro vede gli affanni in mezzo ai quali ora vive.

La vita fugge e non s' arresta una ora,
E la morte vien dietro a gran giornate,
E le cose presenti e le passate

Mi danno guerra e le future ancora ;
El rimembrare e l' aspettar m' accora
Or quinci or quindi, sì che 'n veritate,
Se non ch' i' ho di me stesso pietate,
I' sarei già di questi pensier fòra.
Tornami avanti s' alcun dolce mai

Ebbel cor tristo; e poi da l' altra parte
Veggio al mio navigar turbati i venti,
Veggio fortuna in porto, e stanco omai
Il mio nocchier, e rotte arbore e sarte,
Ei lumi bei, che mirar soglio, spenti.

1. La vita fugge, ecc. ecc. Ugualmente | disse nella canz. CXXVIII: Signor mirate come 'l tempo vola E sì come la vita Fugge, e la morte n'è sovra le spalle (v. 97). - 2. Giornate. Giornata è il viaggio d'un giorno; cosi nella canz. L: Al fin di sua giornata Talora è consolata Di alcun breve riposo (v. 8). 4. Guerra. Affanno. 5. 'I rimembrare. Riguarda le cose passate, e l'aspettar le cose future, la morte. - 6. Or quinci or quindi. Da un lato il rimembrar, dall'altro l'aspettare. 7. Di me stesso pietate. Perchè sa che, uccidendosi si dannerebbe in eterno. Quest'idea del suicidio è espressa anche nella canz. CCLXVIII, v. 65 sgg. 9. Avanti al pensiero. S'alcun dolce mai. Ogni dolcezza. se mai ne ebbe alcuna. 10. Da l'altra parte. Quella delle cose future,

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со

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dell'aspettare. -11. Al mio navigar, ecc.
Qui imprende la allegoria, a lui tanto
gradita, della navicella in pericolo, raf-
figurante la sua vita in preda alla pas-
sione. 12. Fortuna in porto. Burrasca
perfino nel porto, cioè angoscie nella
stessa vicinanza della tomba. Non por-
ria mai in più riposato porto Nè in più
tranquilla fossa Fuggir la carne trava
gliata e l'ossa (Canz. CXXVI, v. 24).
13 Nocchier. La ragione è stanca; non
l'amore come alcuni male intendono,fon-
dandosi specialmente sul son.CLXXXIX:
al governo Siede il signore, anzi il
nimico mio. Arbore e sarte. Tutti i
ritegni della passione. 14. E i lumi
bei, ecc. Spenti i fari che guidavano la
nave, cioè spenti gli occhi di L.; cosi
nel son. cit Celansi i duo miei dolci
usati segni.

CCLXXIII

I p. parla alla propria anima, incitandola a

non rimpiangere più la bellezze

di L., ma a rivolgersi al cielo.

Che fai? che pensi? che pur dietro guardi
Nel tempo che tornar non pote omai,
Anima sconsolata? che pur vai
Giugnendo legne al foco ove tu ardi?
Le soavi parole e i dolci sguardi,

Ch' ad un ad un descritti e depinti hai,
Son levati de terra, ed è (ben sai)
Qui ricercarli intempestivo e tardi.
Deh, non rinovellar quel che n' ancide,
Non seguir più penser vago fallace,
Ma saldo e certo ch' a buon fin ne guide.
Cerchiamo 'l ciel, se qui nulla ne piace;
Ché mal per noi quella beltà si vide,
Se viva e morta ne devea tôr pace.

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- 11. Saldo. È il contrario di vago; certo, sicuro, contrario di fallace. - 12. Qui. In terra. Nulla. Sottint. più.

1. Pur. Ancora. 4. Giugnendo legne, ecc. Aggiungendo eccitamenti alla tua passione. Il Salvo-Cozzo legge, per 13. Mal. errore, legno 7. Levati. Alzati dalla In mal punto. Per noi. Può essere terra verso il cielo. 8. Intempestivo complemento di comodo, dipendente 3 tardi. È fuor di tempo perchè è da mal, cioè: per nostra disgrazia; e tardi. 9. Rinnovellar quel, ecc. Rin-può anche essere complemento agente novare il dolore che n' uccide; Tu in dipendenza da si vide, cioè: in mal vuoi ch'io rinnovelli Disperato dolor punto fu da noi veduta; Seco hal ch'el cor mi preme (Dante, Inf., XXXIII, pastor che male il suo bel volto Miró 1).10. Vago. Errabondo, non fermo e si fiso (Tr. I. 136). stabile. Fallace. Che inganna l'anima.

CCLXXIV

Chiede pace ai suoi pensieri e al suo cuore e si lagna che il cuore accolga ed aumenti i danni dell'amore, della fortuna e della morte, che sono i suoi tre nemici. - Il sonetto è imbastito sur una tela allegorica, ché il p. raffigura sè stesso ad una città assediata all'esterno e mal sicura all'interno.

Datemi pace, o duri miei pensieri;

Non basta ben ch' Amor, Fortuna e Morte
Mi fanno guerra intorno e 'n su le porte,
Senza trovarmi dentro altri guerreri?

E tu, mio cor, ancor se' pur qual eri?
Disleal a me sol; ché fere scorte

1. Duri. Crudeli. tivo; dunque. 3. Intorno e 'n su le porte. Come il nemico assedia tutt'intorno la città e combatte alle porte per entrare, cosi l'anima del p. è estrema mente afflitta dalla mancanza di L. e dal desiderio di essa; cioè da Amore, dalla fortuna e dalla morte. I vecchi comment. spiegano intorno per l'udito e su le porte per gli occhi; giacche il p. della delusione delle sue orecchie e dei suoi occhi parla a lungo nella canz. CCLXX, e nel son. che segue.

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2. Ben. Rinforza- | 4. Dentro. Nell'anima, non per effettc della esteriore mancanza di L., ma dei suoi stessi pensieri. Guerrieri. Nemici. 6. Disleal. Il cuore del p. non è disleale verso L., che la ama sempre, ma verso il p. stesso ingannandolo e tormentandolo. Il Dan. intende perchè spesso si fuggiva e ribellavasi per seguire L.; cosi nel son. CCXLIII: Il mio cor, che per lei lasciarmi volle. Fere scorte. Metaforicamente: ricevi entro la città crudeli spie dei nemici ; fuori di me tafora: ricevi i messaggi d'Amore, ecc

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