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Se ne la fronte ogni penser depinto
Od in voci interrotte a pena intese,
Or da paura, or da vergogna offese,
S'un pallor di viola e d'amor tinto,
S'aver altrui più caro che sè stesso,

Se sospirare e lagrimar mai sempre,
Pascendosi di duol, d'ira e d'affanno,
S'arder da lunge ed agghiacciar da presso,
Son le cagion ch'amando i' mi distempre,
Vostro, donna, 'l peccato, e mio fia 'l danno.

condizione morale senza uscita. Nel
labirinto entrai, disse nel son. CCXI;
labirinto cieco vuol dire appunto senza
uscita. - 6. Od in voci interrotte. O l'a-
vere il pensiero dipinto, cioè esprimerlo
con parole sommessamente balbettate.
-7. Offese. Colpite, rese imperfette ed
inefficaci. - 8. Di viola e d'amor tinto.
Quasi un endiadi: tinto del color d'amore
che è il color viola, cioè l'estremo della
pallidezza. - 9. Altrui. La persona amata

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(Leop). 12. Arder da lunge, ecc. Cento volte ormai sentimmo il p. dire che vicino a L. egli si sente gelare di commozione e lontano ardere di desiderio.

13. Ch'amando i' mi distempre. Che io mi strugga d'amore per non poter nulla da voi ottenere. — 14. Vostro, donna, il peccato, ecc. Cosi e collo stesso significato nella canz. CCVII, v. 78: La colpa è vostra e mio 'l danno e la pena.

CCXXV

Vide L. con dodici amiche andare lieta per barca e poi sedere sur un carro, e finalmente la udì cantare, e gli parve assistere a visione di paradiso. Felice quel cocchiere, felice quel barcaiuolo!

Dodici donne onestamente lasse,

Anzi dodici stelle, e 'n mezzo un sole
Vidi in una barchetta allegre e sole,
Qual non so s' altra mai onde solcasse.
Simil non credo che Jason portasse

Al vello onde oggi ogni uom vestir si vòle,
Nè 'l pastor di che ancor Troia si dole;
De' qua' duo tal romor al mondo fasse.

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accenni all'uso dei suoi tempi di portar veste d'oro; io crederei più largamente che egli alluda all'avarizia del tempo, per la quale tutti vorrebbero impadronirsi del vello d'oro, quasi mettersi addosso quella pelle preziosa. -7. Nel pastor. Ne che una simile barca portasse Paride, per cui colpa fu diStrutta Troia che è ancora in rovina.

1. Dodici donne. Il Nostradama narra barca. - 6. Al vello. Alla conquista del di una corte d'amore in Avignone della vello d'oro. - Ond'oggi ogni uom ecc. quale facevano parte tredici donne e Del qual vello d'oro tutti oggi vorreb fra esse L.; ma si sa che ormai la leg-bero vestirsi. Il Castelv. intende che genda delle corti d'amore è completamente sfatata. Qui si tratta dunque soltanto di dodici amiche di L., quelle stesse probabilmente a cui il p. rivolse il son. CCXXII. Onestamente lasse. Erano stanche e perciò andavano per barca e in cocchio, ma nella loro stanchezza portavano tutta la dignità (onesta) loro. -2. Stelle di bellezza. Un sole. Disse già nel son. CCXVIII che L: Col suo vel viso sól de l'altre fare Quel che fa 'ldi de le minori stelle. 4. Qual non so, ecc. Un barchetta cosi bella per aver dentro cosi belle donne forse non solcò mai le onde. 5. Simil. Sottint.

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Quando Paride andò in Grecia a rapir Elena, andò con nobile baronia: laonde dice che quella nave che portò Paride non portò genti di maggior valore di questa (Castelv.) 8. Tal romor, ecc. Si fa tanto chiasso nel mondo, cioe

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scrissero tanti poeti e storici.-9. Trium in parte, ecc. Ben si sottintende: dopo fale. Non che il carro fosse in sè trion- che scesero dal carro. Altrove disse; fale, ma perchè su vi era L. cioè l'al-Qui canti dolcemente e qui s'assise loro segno di trionfo, o anche solo perchè su vi erano così belle donne. 10. Laurea. Nome in forma latina; cosi la nota del codice Ambrosiano, dove è segnata la morte di L., comincia: Laurea, virtutibus illustris. Con suoi santi atti schifi. Con quel suo portamento santo e modesto.

11. Sedersi

(son. CXII). 12. Non cose. Sottint.: non furono quelle già cose umane. — 13. Automedon. Per antonomasia invece di cocchiere e di pilota; Automedonte fu il cocchiere d'Achille e Tifi il pilota degli Argonauti. 14. Che conduceste. Felici per aver condotto.

CCXXVI

Lontano da L. vive come un passero solitario o come una fiera nel bosco, e si ciba di lacrime, e alla notte non trova riposo; il sonno poi lo priva della dolcezza di pensare a L. O felice il paese ove ella abita!

Passer mai solitario in alcun tetto

Non fu quant' io, nè fera in alcun bosco;
Ch'i' non veggio 'l bel viso, e non conosco
Altro sol, nè quest'occhi hann' altro obietto.
Lagrimar sempre è 'l mio sommo diletto,

Il rider doglia, il cibo assenzio e tosco,
La notte affanno, e 'l ciel seren m' è fosco,
E duro campo di battaglia il letto.
Il sonno è veramente, qual uom dice,

Parente de la morte, e 'l cor sottragge
A quel dolce penser che 'n vita il tene.
Solo al mondo paese almo felice,

Verdi rive fiorite, ombrose piagge,
Voi possedete ed io piango il mio bene.

1. In alcun tetto. I passeri solitari vivono suitetti.-2. Non fu quant' io. Non fu tanto solitario quanto sono io.-3. Non conosco altro sol. Non vedendo il bel viso di L., per me è come non veda il sole, perché altro sole che quello io non conosco. 4. Obietto da guardare. 6. Assenzio e tosco. Il cibo diventa amaro e velenoso. — S. E duro campo, ecc. Nel letto, anzi che trovare riposo, trovo angoscia, come in un campo di batta

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glia, a causa dei dolorosi pensieri che
mi assalgono. 9. Qual uom dice. Come
gli uomini generalmente dicono.
10. Parente della morte, ecc. Siccome il
p. vive del pensiero di L. (quel dolce
penser che 'n vita il tene), il sonno,
togliendogli questo pensiero, gli toglic
la vita e perciò il p., giocando sul detto
comune, lo dico: parente della morte.
-14. Voi possedete. Perchè tra voi abita.
lo piango. Perchè non lo possiedo.

CCXXVII

par di

Aura che soffi da quelle chiome bionde, io vado cercando L., ed ora mi vederla, ora mi accorgo che ne son lontano. O Rodano, perchè non posso io tornar addietro con te?.

Aura, che quelle chiome bionde e crespe
Cercondi e movi, e se' mossa da loro
Soavemente, e spargi quel dolce oro,

E poi l raccogli e 'n bei nodi 'l rincrespe,
Tu stai nelli occhi ond' amorose vespe

Mi pungon sì, che 'nfin qua il sento e ploro;
E vacillando cerco il mio tesoro,

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Come animal che spesso adombre e 'ncespe:

Ch' or mel par ritrovar, ed or m'accorgo

Ch' i' ne son lunge; or mi sollievo, or caggio,

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Ch' or quel ch' i' bramo, or quel ch' è vero scorgo.

Aer felice, col bel vivo raggio

Rimanti. E tu, corrente e chiaro gorgo,
Ché non poss'io cangiar teco viaggio?

1. Aura che quelle chiome, ecc. È lo stesso concetto che meno diffusamente ha espresso sul princ. del son. CXCVIII. - 4. In bei nodil rincrespe. Lo riunisci avvolgendolo in groppi. Rincrespe detto perchè i capelli di L. son già crespi e nell'attortigliarsi al soffio dell'aria diventan crespi due volte. 5. Stai nelli occhi. Non è chiaro; può voler dire: ti indugi negli occhi di L. ovvero meglio: sei a contatto cogli occhi di L. Ond'. Dai quali. Amorose vespe. Pun ture, ferite amorose. 6. Infin qua. Lontano quanto sono. Ploro. Me ne lamento. 7. Vacillando. Come cieco abbagliato. Così nel son. XVIII: Vommene in guisa d'orbo senza luce.

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8. Adombre e 'ncespe. Che di tutto adombra, si spaventa e spaventandosi incespica. Cosi Dante: Corne falso veder bestia quand'ombra (Inf.. II, 48).-10. Or mi sollevo, or caggio. Mi sollevo di spirito quando colla fantasia scorgo, cioè mi illudo di vedere, quel che desidero, e poi ricado d' animo quando vedo la verità, cioè che sono lontano da lei. 12. Vivo raggio dei suoi occhi, giacche disse: sta nelli occhi. 13. Gorgo. Il Rodano, che scendeva verso Avignone mentre il p. se ne allontanava. Cangiar teco. Far con te cambio del cammino, cioè che tu ti allontanassi da Avignone ed io invece, come tu ora fai, mi avvicinassi.

CCXXVIII

14.

Amore mi piantò nel cuore un lauro verde, che dalle mie rime e dalle mie lacrime fu fatto cosi bello da spandere ovunque il suo odore. Le radici di questa pianta sono le belle doti di L, ed io l'adoro come cosa santa. — La allegoria di questo sonetto è tanto chiara che non merita d'essere rischiarata.

Amor co la man destra il lato manco

M' aperse, e piantovvi entro in mezzo 'l core
Un lauro verde sì che di colore

1. Co la man destra. Colla sua mano | Il lato manco. Dove è il cuore migliore e più adatta a questo ufficio. 3. Verde, ecc. Come il verde è la bellezza

Ogni smeraldo avria ben vinto e stanco.
Vomer di penna, con sospir del fianco,

E 'l piover giù dalli occhi un dolce umore
L'ad(d)ornar sì ch'al ciel n' andò l'odore,
Qual non so già se d' altre frondi unquanco.
Fama, onor e vertute e leggiadria,

Çasta bellezza in abito celeste
Son le radici de la nobil pianta.
Tal la mi trovo al petto, ove ch' i' sia,
Felice incarco; e con preghiere oneste
L'adoro e 'nchino come cosa santa.

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principale del lauro, cosi qui il p. vuol | così bello. L'odore del lauro, e fuori dire che L. era la più bella e buona di metafora, la fama di L. S. Quai di tutte le donne. 4. Stanco. Supe- non; so già, ecc. Quanta fama non SO rato. 5. Vomer di penna. Come le piante se mai ebbero altre donne. -9. Fama. si coltivano lavorando il terreno col-Rinomanza di bellezza e di onesta, di l'aratro, cosi l'amore del p. fu coltivato e celebrato dai versi che egli scrisse. Sulla e di pena, scrisse il Mod., è un segno orizzontale di abbreviazione espunto con un trattino obliquo dello stesso inchiostro del testo. Sospir del fianco. I sospiri del cuore (fianco) del p. furono quello che è il vento per una pianta. 6. El piover giù, ecc. E ugualmente le lagrime furono come la pioggia. 7. L'adornar. Lo resero

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12.

cui L. godeva fino da principio. -. 10 In
abito celeste. Con costumi angelici. Così
disse nel son. CCXV: Con beltà naturale
abito adorno. 11. Le radici della n. p.
Le cause del mio nobile amore. -
Tal la mi trovo, ecc. Costruisci: Io me
lastrovo tal felice incarco al petto ove
ch'i' sia, e intendi: In qualsivoglia luoge
io me la sento cosi dolce peso sul cuore.
13. Oneste. Caste, ovvero onorevoli,
che le rendono onore.

CCXXIX

Cantò ed ora piange, ma è lieto di piangere come di aver cantato, chè ugualmente cara gli è la durezza come la benignità di tal donna; e qualunque sia il suo stato, egli lo trova dolce.

Cantai, or piango, e non men di dolcezza
Del pianger prendo che del canto presi;
Ch' a la cagion, non a l'effetto, intesi
Son i miei sensi vaghi pur d'altezza.
Indi e mansuetudine e durezza

Ed atti feri ed umili e cortesi
Porto egualmente; nè me gravan pesi,
Nè l'arme mie punta di sdegni spezza.
Tengan dunque ver me l'usato stile

Amor, madonna, il mondo e mia fortuna;
Ch'i' non penso esser mai se non felice.

1. Cantai di letizia. - Non men di dole. Genit. partitivo: non minore dolcezza. -2. Del. Dal. - Prendo. Ricavo.-3. A la cagion, ecc. ecc. I miei sensi, cioè la mia anima, guardano (son intesi) alla causa del pianto, cioè a L., e non all'effetto, cioè al pianto stesso. 4. Vaghi pur d'altezza. Che aspirano solo a sublimarsi nell'amore. 5. Indi. Quindi, perciò.

7. Porto. Sopporto, tengo in ugual

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conto. Ne me gravan pesi. Ne sento il peso del dolore.-S. Ne l'arme mie, ecc. Nè lo sdegno di L. può vincere la mia umiltà, come una punta di lancia non può spezzare una corazza. 9. L'usato stile. Il solito modo di trattarmi. Ugualmente usa stile nella canz. CCVII, v. 11: così avess'io i primi anni Preso lo stil ch'or prender mi bisogna. -10. Amor, madonna, ecc. I fattori della sua

Viva o mora o languisca, un più gentile
Stato del mio non è sotto la luna;
Si dolce è del mio amaro la radice!

infelicità. Cosi nel son. CCXXIII: co l mondo e con mia cieca fortuna, Con Amor, con madonna e meco garro. 12. Languisca. Stato intermedio fra il vivere e il morire, ed è lo struggersi di amore; cosi nel son. CCXXIV. Un languir dolce. Gentile, Nobile:

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13. Sotto la luna. Nel mondo. Così Dante: tutto l'oro ch'è sotto la luna (Inf., VII., 64). 14. La radice. La causa della mia aniarezza. Cosi nel son. preced. disse delle doti di L.: Son le radici de la nobil pianta.

CCXXX

È lieto perchè L. gli ha mostrato di amarlo, volgendo verso lui quegli occhi, che sono a lui causa di un immenso fiume di pianto. Ella, così guardandolo, fa seco la pace e gli ridona la vita.

I' piansi, or canto; che 'l celeste lume

Quel vivo sole alli occhi mei non cela,
Nel qual onesto Amor chiaro revela
Sua dolce forza e suo santo costume;
Ónde e' suol trar di lagrime tal fiume,
Per accorciar del mio viver la tela,

Che non pur ponte o guado o remi o vela,
Ma scampar non potienmi ale nè piume.

Si profondo era e di sì larga vena
Il pianger mio e sì lunge la riva,

Ch' i'v' aggiungeva col penser a pena.

Non lauro o palma, ma tranquilla oliva
Pietà mi manda, e 'l tempo rasserena,
El pianto asciuga, e vuol ancor ch'i' viva.

2.

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10.

11. Ag

12.

1. Canto di letizia. Che' celeste, nè piume). S. Potienmi. Mi potieno lume, ecc. Costruisci: ché quel vivo o potevano. -9. Di si 1. vena. Da cosi sole non cela [più] agli occhi miei il ricca sorgente, e intendi: prodotto da celeste lume nel quale, ecc. Vivo sole amore e dolore cosi intenso. ė L. Uno spirto celeste, un vivo sole La riva. La pace dell'anima. Fu quel ch'i' vidi (son. XC); il cele-giungeva, ecc. La raggiungeva, la tocste lume intendi dei suoi occhi. cava a mala pena col pensiero. Miei. Il Mod. dà per errore mei. 3. Lauro o palma. Sono le insegne dei Chiaro. Chiaramente. 4. Costume. trionfatori; ora dice il p. che L. non Natura, qualità, 5. Onde. Dai quali gli manda il segno che egli abbia miei occhi. -E'. Il lume degli occhi trionfato della sua onestà o del suo ridi L. 6. La tela. È presa l'ima- serbo, ma solo l'olivo, simbolo di pace. gine dal mito delle Parche, che tesscvano la vita umana. 7. Che non pur ponte, ecc. Figura questo fiume di lagrime cosi impetuoso da travolgere seco la vita del poeta senza nessun riparo, come in un fiume straripante non giovano nè ponti, nè guadi, ne barche; anzi da questo non si sarebbe potuto salvare neppure volando (ale

E '1

13. Pietà. L. mossa da pietà. tempo. Continua l'imagine del fiume che straripa per le piogge e che diminuisce e s'asciuga quando il tempo torna sereno; fuori di metafora, è l' anima del p. che viene rasserenata.-14. Ancor ch'i' viva. Ch'io viva ancora, ch'io continui a vivere.

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