Raffigura allegoricamente la sua vita ad una nave posta in mare tempestoso. — Ė questo uno dei più cospicui esempi di allegoria mista, poichè a molte frasi allegoriche segue, data dal p. stesso, la interpretazione propria. Passa la nave mia colma d'oblio Per aspro mare a mezza notte il verno A ciascun remo un penser pronto e rio, Che la tempesta e 'l fin par ch'abbi a scherno; Di sospir, di speranze e di desio. 1. Colma d'oblio. Carica non di merci, | come le navi, ma d'oblio. Oblio è lo stato dell'animo che nulla più cura per darsi tutto ad un oggetto. Così carco d'oblio. nella canz. CXXVI, v. 56. - 2. A mezza notte. Senza la luce della ragione. Il verno. A indicare l'età avanzata del p. o meglio lo stato tempestoso del suo animo. 3. Infra Scilla e Cariddi. Nel punto di pericolo; qui vuol dire: fra il contrasto delle passioni. Al governo. Al timone (gubernal lat.). Cosi nel son. CLXXVII: Quasi senza governo e senza antenna Legno in mar. 4. I signor, ecc. Amore, dal p. detto sempre: il signor mio. Cosi nel son. CLV... e 'l mio signor ch' i fossi Volse a vederla -5. 4 8 11 Pronto. Pronto a presentarsi; o meglio: forte, irresistibile come il remo che con forza spinge la barca. 6. 1 fin. La morte. 7. La vela. Oggetto del verbo; metaforicamente deve intendersi non la parte sensitiva dell'anima (cosi spiega il Tommasi) ma la buona volontà che conduce a salvamento l'anima, come la vela la barca. Rompe. Fiacca la vela, rompendo l'albero che la so stiene. 10. Le già stanche sarte. Il significato allegor. è spiegato dal verso seg.; le sarte o le corde sono i dettami della ragione annullati dagli errori e dall'ignoranza. 12. I segni. Le costellazioni che servono a guidare la nave; qui gli occhi di L. Infatti nella canz. LXXIII v. 46: Come a forza di Morta fra l'onde è la ragion e l'arte: 14 colla mano gli occhi, come dice il p. nel son. XXXVIII: E d'una bianca mano anco mi doglio, ecc. - 13. L'arte di navigare, cioè di vivere bene. 14. Del porto. Di salvarmi, di giungere venti Stanco nocchier di notte alza la CXC Vide tra due fiumi all'ombra d'un lauro una cerva che aveva un collare colla scritta: Nessun mi tocchi; libera farmi al mio Cesare parve ». Poscia egli cadde nell'acqua ed ella si dileguò. Quasi tutti gli antichi e tutti i moderni commentatori intendono che con questo sonetto il p. volesse predire di lontano la morte di L. Non vedo la necessità di tale interpretazione; a mio giudizio, il p. accenna qui, alquanto oscuramente e, come vedremo, non per la prima volta, ad un episodio del suo amore. Una candida cerva sopra l'erba Verde m'apparve, con duo corna d'oro, Ch'i' lasciai per seguirla ogni lavoro, << Nessun mi tocchi », al bel collo d'intorno 1. Una candida cerva. L. è bianca di corpo dolce falda di viva neve la dice nel son. CXLVI; può tuttavia anche intendersi del candore dell'anima. Anche nel son. CCXII il p. dice L. una cerva. Sopra l'erba Verde. Cosi: fra l'erba ond'e verde il cammino (madr. CVI); per indicare le dolci seducenti speranze che accompagnarono l'innamoramento dei p. -2. Corna d'oro. I capelli biondi di L. 3. Fra due riviere. Alcuni intendono: fra il Rodano e la Durenza; ma il Flamini e noi con lui: fra la Sorga D'un alloro. Allude al nome di L.-4. Levando il sole, ecc. Un mattino di primavera, poichè il p. si innamorò l'8 di aprile in su l'ora prima (v. son. CCXI); ma si può nello stesso tempo intendere in giovanissima età. — 6. Ogni lavoro. Ogni altra cura, ogni studio. - 8. Con diletto, ecc. Prova tanto diletto che non sente l'acerbità e la Durenza. della fatica.-9.Nessun mi tocchi. Si narra in un'antica favola che trecent'anni dopo la morte di Cesare fu trovata una cerva con un collare su cui era scritto; Noli me tangere, Caesaris sum; il p. ha attinto da quella la sua invenzione. Qui il nessun mi tocchi allude alla castità e alla virtù di L. 10. Di diamanti, ecc. Con diamanti e topazi. Il diamante è simbolo della resistenza di L. alle blandizie d'amore (Del bel diamante onde ell ha il cor si duro, son. CLXXI); aitopazio poi si attribuiva la virtù di frenare la libidine amorosa. 11. Libera farmi, ecc. Generalmente si intende: » A Dio piacque di liberarmi dalla vita chiamandomi al cielo »; ma noi, collegando questa frase colla preced.: nessun mi tocchi, intenderemo meglio: a Dio piacque farmi libera da ogni tentazione d'amore. - 12. Ed era il sol già vòlto al mezzo giorno. Ciò, in con Gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi; tropposto al levar del sole di poc'anzi, 14 si gettò sull'erba e si mutò in una fon tana di pianto. Si noti bene: oltre lo scomparire di L. sdegnata e il piangere del p. abbiamo qui altri minori elementi di identità fra i due racconti : l'erba, il lungo lasso di tempo trascorso tra l'innamoramento e questc episodio, le parole con cui L. afferma là propria onestà, qui solenni: Nessun mi tocchi, li severe i' non son forse chi tu credi, ma che nell'uno come nell'altro luogo precedono di poco il racconto del nuovo inutile tentativo fatto dal p. Finalmente nel son. CCXII cit. L. è detta una cerva errante e fuggitiva, la quale parola fuggitiva equivale allo sparve di questo son. CXCI Sua felicità nella vita è vedere L. nè mai egli la vide sì bella. Come taluno vive d'odori o di acqua, così egli potrebbe vivere della sola vista di lei. Sì come eterna vita è veder Dio, Già mai, se vero al cor l'occhio ridice, Più non demanderei: ché, s' alcun vive 1. Si come eterna vita, ecc. Come la sola vista di Dio forma la vita eterna, che è completamente felice. 3. Cosi me donna, ecc. Costr.: Cosi, o donna, il veder voi fa me felice. 4. Fraile. Fragile. 6. Ridice. Riferisce, cioè mostra, fa vedere. -7. Ora beatrice. Beatrice è nel senso di donna che rendi beato. Su quell'ora disputano i comment.; altri intendono; ora spazio di tempo, altri ora adesso, altri óra: aura. Quest'ultima interpretazione è smentita dal fatto che nell' autogr. è scritto hora; la prima non lega grammaticalmente con ciò che segue per il passaggio dalla seconda alla terza persona. Resta dunque da intendere 4 8 = 11 14 nel secondo modo: mentre adesso vi CXCII Invita Amore a fermarsi a guardare le bellezze di L. che egli esalta ad una ad una, fingendo che anche la natura circostante si delizii di tale contemplazione. Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra, Sparsi sotto quell' elce antiqua e negra, S'accende intorno, e 'n vista si rallegra 8 11. 14 1. Stiamo. Fermiamoci. Cosi nel so- ragionar cortese (canz. CCLXX, v.80); netto CLXXXVIII: Stiamo a mirarla. altri infine propriamente un vestito. Io Gloria nostra. Gloria d'Amore per la sto più volentieri con questi ultimi risua bellezza, del p. perchè egli la iden-cordando come anche nel son. CLXXXV tificava col lauro poetico. 2. Cose. si esalti la veste di L.: novo abito e belApposizione di gloria: la quale è cosa. lezza unica e sola, e come anche a L.. Altere e nove. Nobili e mirabili al di là gloriosa nel cielo, il p. attribuisca una del naturale. 3. Piove. Sottinteso il simile veste; E d'altro ornata che di sogg. cielo del verso che segue. Piovere perle e d'ostro (son. CCCXLVII). è usato qui transitivamente per infonde. Il Mod. ha per errore: electo. -4. Vedi lume. Vedi quale fulgido lume. Quanto. - Chiostra. Valletta chiusa. - 13. 5. 'mperla e nostra. Adorna d'ostro 'n vista. A quanto si vede. 14. D' esser e di perle. 6. Abito Taluni intendono fatto seren. Vedemmo già che gli occhi il corpo, riferendo, come al solito, l'oro di L. hanno la proprietà di serenare l'aai capelli, le perle ai denti, l'ostro alle ria: L'aura gentil che rasserena i poggi guancie; altri più difficilmente l' abi- dirà ancora tra poco. tudine della persona; L'abito onesto e CXCIII - - Eletto. 7. Che Sol guardando I. egli dimentica ogni altro piacere; nessuno può imaginare la dolcezza della voce di lei; il suo volto è la perfetta bellezza. Pasco la mente d'un sì nobil cibo, Ch' ambrosia e nectar non invidio a Giove: 3. Sol mirando. Solo nel contemplare | stesso concetto la canz. LXXII, v. 40e seg. la bellezza di L.-4. D'ogni altro dolce. Lete al fondo bibo. Bevo il Lete sino D'ogni altra dolcezza. V. per questo al fondo, cioè me ne dimentico com Torna dalla Toscana in Provenza per veder L.; quando l'avrà riveduta, vorrà poi fuggire, ma è suo destino di morire soffrendo in tal modo. Questo sonetto sembra formar gruppo coi sonn. 196, 197, 198, poichè in tutti quattro si esaltano le bellezze di L. e tutti cominciano colla parola: L'aura, ma perchè il p. vi abbia inserito il 195 non sappiamo. Nel ms. vat. 3196 essi hanno una duplice versione assai diversa, dal che l'Appel ed il Cesareo credettero poter dedurre che siano stati rimaneggiati dal p. dopo la morte di L, ma il Cochin non accetta le loro conclusioni. Egli invece propone, non senza qualche probabilità di apporsi al vero, come data della composizione l'anno 1312, il solo in cui il p. sia ritornato in primavera dalla Toscana a Valchiusa. L'aura gentil, che rasserena i poggi Destando i fior per questo ombroso bosco, Al soave suo spirto riconosco, Per cui conven che 'n pena e 'n fama poggi. 1. L'aura gentil, ecc. Nel solito dop | pio senso di L. e di aria. L., come l'aria primaverile, ha il potere secondo il p. di rendere sereno ogni luogo ove si trova; cosi nel son. CIX; L'aura soare che dal chiaro viso Move..... Per far dolce sereno ovunque spira. 2. Destando i fior. Facendo sbocciare i fiori 3. Spirto. Soffio. 4. Per cui. Per la qual aura, cioè Laura. Che 'n pena e'n fama poggi. Che io superi gli altri, 4 |