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Amor e 'l ver fûr meco a dir che quelle,

Ch'i' vidi, eran bellezze al mondo sole,
Mai non vedute più sotto le stelle.
Nè si pietose e sì dolci parole

S'udiron mai, nè lagrime sì belle

Di sì belli occhi uscir mai vide 'l sole.

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per preparare, apprestare è talvolta | uniche al mondo il giudizio mio s'acusato in latino. 9. Amor indica il cordò e con quello suggeritomi dalgiudizio soggettivo; 1 ver il giudizio l'amore e con quello corrispondente obiettivo e reale. 11 p. vuol dire nel alla realtà. giudicare che quelle bellezze di L. erano

CLIX

Da dove mai tolse natura il modello per un viso così leggiadro? Quando mai ci fu chi le somigliasse? Chi non la vide, non sa che cosa sia la bellezza, divina, che cosa sia Amore.

In qual parte del ciel, in quale idea
Era l'esempio onde natura tolse

Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse
Mostrar qua giù quanto lassù potea?

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Qual ninfa in fonti, in selve mai qual dea
Chiome d'oro sì fino a l'aura sciolse ?
Quando un cor tante in sè vertuti accolse ?
Benchè la somma è di mia morte rea.
Per divina bellezza indarno mira,

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Chi gli occhi de costei già mai non vide,
Come soavemente ella gli gira.

Non sa come Amor sana e come ancide
Chi non sa come dolce ella sospira,
E come dolce parla e dolce ride.

1. In qual parte del ciel, ecc. Accenna la dottrina platonica delle idee, cioè forme immateriali e primitive delle cose (Leop.) esistenti nella mente divina: della qual dottrina i p. poté aver sentore da Cic. e da Agost. (Card.). 2. L'esempio. Il modello. -3. Volse. Volle. Cosi poc'anzi nel son. CLV. -4. Mostrar qua giù, ecc. Far vedere qui in terra il sommo della perfezione che ella potè raggiungere nel cielo. 6. A l'aura sciolse. Erano i capei d'oro a l'aura sparsi (son. XC). 8. La somma. Sott. virtù; la più alta delle sue virtù, cioè l'onestà, è colpevole della mia prossima morte, poichè per essa il p. morrà disperato. Si può anche invece intendere il totale, il complesso di queste

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virtù fa si che io finisco per morire di desiderio e di dolore. E i commentatori si dividono fra l'una e l'altra interpretazione. 9. Per divina bellezza, ecc. Cercando divina bellezza, cerca indarno chi, ecc. - 11. Come soavemente, ecc. Cosi nella canz. LXXII v. 49: Quando voi alcuna volta Soavemente tra 'l bel nero e 'l bianco Volgete il lume in cui Amor si trastulla. 12. Sana e ancide. Isteron proteron: prima ancide cioè ferisce e poi sana le ferite d'Amore colla dolcezza del sorriso e delle parole. 13. E come dolce parla e dolce ride. Parafrasi dei noti versi oraziani: Dulceridentem Lalagem amabo Dulce loquen tem (Oraz., Od. I. 20).

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CLX

Riprende il motivo dell'ultimo verso del sonetto prec. Quando L. parla o ride, il p. lesta estatico vedendo sfavillare i suoi occhi come stelle. Bella è seduta sull' erba o poggiata a un cespuglio, bella quando di primavera passeggia tessendo una ghirlanda di fiori.

Amor ed io sì pien' di meraviglia,

Come chi mai cosa incredibil vide,
Miriam costei, quand'ella parla o ride,
Che sol sè stessa e nulla altra simiglia.
Dal bel seren de le tranquille ciglia
Sfavillan sì le mie due stelle fide,

Ch' altro lume non è ch' infiammi e guide
Chi d' amar altamente si consiglia.
Qual miracol è quel, quando tra l'erba

Quasi un fior siede! o ver quand'ella preme
Col suo candido seno un verde cespo!
Qual dolcezza è ne la stagione acerba
Vederla ir sola coi pensier suoi inseme
Tessendo un cerchio a l'oro terso e crespo!

1. Pien'. Pieni. 2. Mai. Unquam, talvolta. 4 Che sol sé stessa, ecc. La cui bellezza non ha pari. Cosi nella canz. CCCLXVI. v. 55: Cui ně prima fu simil, ně seconda. - 5. Dal bel seren, ecc. Il Biag. intende dalla fronte, ma non ne vedo il perchè; il lume degli occhi di L. sfavilla dalle ciglia serene e tranquille. Di questa serenitá degli occhi e dell'animo di L. disse e dirà il p.: E' bel guardo sereno (canz. XXXVII, v. 83); Che il nostro stato è inquieto e fosco Si come 'l suo pacifico e sereno (son. CLIII). - 6. Le mie due stelle. Son. CLVII: gli occhi eran due stelle. Fide. Che mai non mentono (Castelv.).-8. Si consiglia. È deliberato. 9. Qual miracol. Che meravigliosa cosa a vedersi. 10. Preme Col suo candido seno un verde cespo. Alla interpretazione di questo verso abbiamo accennato annotando la canz. delle Chiare acque (CXXVI, v. 9).

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Se lasciamo le tante stramberie dette
dai commentatori, la spiegazione più
facile è che L., sedendo mezza coricata
sull' erba, appoggiasse il fianco ed il
petto a un cespuglio. Può anche però
e forse meglio intendersi che ella se-
desse sur un cespuglio, cioè sur un'ac-
colta, da lei fatta, di erbe, di ramoscelli
e di fiori; candido seno in questo
caso sarebbero le pieghe (sinus lat.)
della veste bianca. Si ricordi: E talor
farsi un seggio Fresco, fiorito e verde
(canz. CXXV, v. 73), e si noti come in
ambedue luoghi alla visione di L.
seduta sur un verde cespo si accom-
pagni quella del suo passeggiare da
sola. 12. Ne la stagione acerba. Di pri-
mavera, stagione immatura. 14. Tes-
sendo un cerchio. Intessendo una ghir-
landa. All'oro. Per i biondi capelli
lucidi e crespi.

CLXI

O memorie dell'amore del p., o anime amanti, fermatevi a vedere le sue sofferenze. -Così intesero e intendono questo sonetto i più dei commentatori; ma il Castelv. invece crede che, fino a tutta la prima terzina, non si tratti di invocazione ma di lamentazione od enumerazione, vale a dire che il p. vada enumerando, in forma di lamento, le cause del suo amore; n ultima terzina poi egli invocherebbe le anime amanti, perchè ascoltassero appunto tale enumerazione. In questo caso converrebbe mettere il punto ammirativo dopo male e cominciare un nuovo periodo con : O anime.

O passi sparsi, o pensier vaghi e pronti,
O tenace memoria, o fero ardore,
O possente desire, o debil core,

Oi occhi miei, occhi non già ma fonti,
O fronde, onor de le famose fronti,

O sola insegna al gemino valore,
O faticosa vita, o dolce errore,

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Che mi fate ir cercando piagge e monti,

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O bel viso, ove Amor inseme pose

Gli sproni e 'l fren, ond' el mi punge e volve
Come a lui piace, e calcitrar non vale,

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0. --

O anime gentili ed amorose,

S'alcuna hal mondo, e voi nude ombre e polve,
Deh, ristate a veder quale è 'l mio male.

1. 0 passi sparsi. Perduti inutilmente nel seguire L. Ahi, quanti passi per la selva perdi (madr. LIV). Vaghi. Erranti. Mentre tener fiso Posso al primo pensier la mente vaga (canz. CXXIX, v. 33). Pronti. Sempre desti. 4. 01. Usato così per evitare l'incontro dei due Fonti per il gran piangere. Cosi nella canz. XXIII: io senti'... farmi una fontana a piè d'un faggio (v. 116); e nella sestina CCCXXXII (v. 54). Chiuda ormai queste due fonti di pianto. 5. Fronde. Il lauro. - 6. Insegna. Emblema, simbolo, premio. Al gemino valore. Al valore guerriero e al poetico: Onor di imperatori e di poeti (son. CCLXIII), 8. Cercando piagge e monti. Per quel desiderio di solitudine e di movimento che era proprio dell'amore del p. Solo e pensoso, ecc. (son. XXXV); Di pensier in pensier, dimonte in monte (canzone CXXIX, v. 1). -10 Glisproni e 'l fren. Gli sproni sono gli occhi di L., o per dir meglio il desiderio del p. di vederli e il fren è la alterezza che sta sulla fronte

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di L. o fors anche il divieto pronunciato dalle sue labbra. Ugualmente disse nel son. CXLVII: 'l voler che con due sproni ardenti E con un duro fren mi mena e regge. Mi punge cogli sproni, mi volve col freno, come mena e regge nel verso ora cit. 11. Calcitrar non vale. Non son capace di oppormi al suo volere. Calcitrar è detto, | continuando la allegoria del cavallo tante volte usata del p. 13. Nude ombre e polve. Anime gentili e amorose non più nel mondo, ma morte. Nude, senza il corpo (così: Torni l'alma al proprio albergo ignuda, canz. CXXVI, v. 19), mentre il corpo è ridotto polve. 14. Ristate. Fermatevi. É imitato dal passo di Geremia (I, 12): Ovos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus, che fu da Dante (V. N. son.,, II) parafrasato: 0 voi, che per la via d'Amor passate Attendete e guardate S'egli è dolor alcun quanto l mio grave. Qual. Quanto e di che genere insieme.

CLXII

Il p. invidia tutte le cose di natura, che possono deliziarsi della vista di L. e che certamente devono innamorarsene. Il Card. osserva che la mossa di questo sonetto è forse da un carme che nei secoli passati era confuso con le Dirae male attribuite a Virgilio e a Val. Catone, ma che ad ogni modo è antico: Invideo vobis, agri formosaque prata; e forse anche da Tibullo (II, 3): Rura meam, Cerynthe, tenent villaeque puellam.

Lieti fiori e felici, e ben nate erbe,
Che madonna, pensando, premer sòle,

1. Lieti e felici d'esser premuti da L. - Ben nate. Fortunate. 2. Pensando. Camminando pensosa. A questa abitudine di L. di andar passeggiando sola

in preda ai propri pensieri accenna spesso il p. Anche poc' anzi (son. CLX) disse: Qual dolcezza è ne la stagione acerba Vederla ir sola co i pensier

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suoi 'nseme.

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3. Sue dolci parole. Cer-mavera) il suo innamoramento, riparla volentieri il p. Cosi nella canzone CV: Le notturne viole per le piaggie, e più chiaramente nella canz. CXXVII: Ne gli occhi ho pur le violette e 'l verde Di ch'era nel principio di mia guerra Amore armato.-7.Ove percote il sole,ecc. È gioco di parole, ché, se le selve sono ombrose, if sole non può percotervi; però, passeggiandovi L. chè è un vivo sole (son. XC), esse ne sono come, linminate e per ciò ne insuperbiscono. 9. Puro fiume, ecc. Il Sorga, dove, come vedemmo, L. si bagnava. 11. Prendi qualità, ecc. Ed acquisti bellezza, limpidezza, dal vivo lume dei suoi occhi che tu bagni. 12. Gli atti di L. Scoglio. Sottint.: neppure uno scoglio per quanto duro. 14. D'arder con la mia fiamma. Di ardere della mia stessa fiamma, cioè di innamorarsi come me di L.

tamente perché L. cantava, non potendosi supporre che parlasse sola. Anche nella canz. delle acque L., bagnandosi, cantava: E'l volto e le parole e 'l dolce riso (CXXVI, v. 58); e nel son. CXII ciò è più chiaramente asserito: Qui canto dolcemente e qui s'assise. — 4. Vestigio. Sulle orme impresse da L. nel terreno scrisse il p. un intiero son., il CVIII, e poi ritornò sullo stesso motivo nella canz. CXXV: Cosi avesti riposti De' bei vestigi sparsi Ancor tra' fiori e l'erba (v. 59). 5. Schietti. Lisci, non nodosi; cosi nella canz. CCCXXIII: un lauro giovinetto e schietto (v. 26), e cosi Dante: Non rami schietti ma nodosi e involti (Inf. XIII, 5). Acerbe. Appena nate di primavera. 6. Amoro sette. Piacevoli, o meglio perchè sono simbolo d'amore. Delle viole e delle erbe, che accompagnarono (essendo di pri

CLXIII

- 13.

Ad Amore il p. dice che troppo lo affatica col crescente desiderio, mentre egli si accontenterebbe che L. non disdegnasse del tutto i suoi sospiri. Circa questo sonetto i commentatori si dividono in due schiere, gli uni interpretandolo allegoricamente in relazione agli affanni amorosi dello spirito del p., gli altri credendo che vi si parli di fatiche materiali nel cercar L. per determinati luoghi. Ultimi il Flamini dubitosamente (Giorn. stor., XXI, 349) e il Ferr. in fornia recisa hanno rimessa in onore questa seconda interpretazione; ma, ben rileggendo il sonetto, a me par certo che non si debba del tutto rigettare la prima e più antica. si noti infatti come nei versi 1-4, dove si contiene la proposizione del sonetto, si parli di pensieri e di core, e come quel duri passi, preso così in mezzo fra pensieri e core, debba intendersi necessariamente per dolori, difficoltà. Si noti inoltre che il p. non dice i sentier ma il sentier, una via sola dunque, ben definita, mentre dopo parla di aspre vie che. son molte; e tale contraddizione, spiegabilissima nel senso allegorico, è inesplicabile nel linguaggio proprio. E finalmente che bel sugo avrebbe, intesa propriamente, quell'ultima terzina nella quale il p. verrebbe a dire : « Insomma, io sono stanco di cam minare emi basta sapere che io non le dispiaccia » ? Laddove, se a camminare si sostituisca soffrire affanni per ottenere il premio irraggiungibile del mio amore, il senso riesce di ben altra qualità. Tuttavia io non escludo del tutto il significato proprio e credo che l'ispirazione prima del compon. sia presa dal fatto materiale della Stanchezza del cammino, ma poi le parole vengano girate anche e più particolarmente a significato allegorico, come p. e tutti i suoi contemporanei e predecessori solevano fare.

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Ben veggio io di lontano il dolce lume

Che son sì stanco e 'l sentier m' è troppo erto.

Ove per aspre vie mi sproni e giri;
Ma non ho, come tu, da volar piume.
Assai contenti lasci i miei desiri,
Pur che ben desïando i' mi consume,
Ne le dispiaccia che per lei sospiri.

2. Duri passi. V. sopra. Onde tu sol mi sc. Daí quali tu solo sai liberarmi. 4. A tutt'altri coverto. Dove nessun altro può vedere. 6. Pur via. Pur sempre. Di poggio in poggio sorgi. Il premio del suo amore si fa sempre più lontano e più difficile ogni giorno, per quanto egli cerchi di raggiungerlo. Chi interpreta letteral. intende: tu sali, cioé mi conduci teco di poggio in poggio, e citano: Di pensiero in pensier, di monte in monte Mi guida Amor (canz. CXXIX, v. 1). 7. E di me, ecc. Prolepsi; va costrutto: e non t'accorgi che io son, ecc. - 8. Si stanco. Sfinito d'animo. E 'I sentier m' è troppo erto. Non sono capace di resistere a tanti

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affanni e di superare tante difficoltà.
9. Il dolce lume degli occhi di L., che egli
poteva dir di vedere anche lontano, per-
chè l'aveva sempre nel desiderio; ovvero
il lume della speranza. - 10. Ove. Al
quale. Per aspre vie. Con gravi do-
lori. Materialmente vorrebbe dire: per
le vie aspre del monte, sul quale il p.
soleva salire per vedere di la lontano
la plaga dove stava L. 11. Come tu.
Amore è rappresentato colle ali. — Da
volar piume. Ali per superare tante dif-
ficoltà. 12. Lasci. Puoi lasciare, puoi
fare abbastanza (assai) pago il mio
desiderio. 13. Pur che. Sottint.: tu.
faccia in modo, che io. Ben desiando
Con un amor nobile e puro.

CLXIV

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Di notte si strugge pensando a L., e in quel pensiero prova dolcezza e dolore insieme.

Or che 'l ciel e la terra e 'l vento tace,
E le fere e gli augelli il sonno affrena,
Notte il carro stellato in giro mena,
E nel suo letto il mar senz'onda giace,
Vegghio, penso, ardo, piango, e chi mi sface,
Sempre m' è innanzi per mia dolce pena;
Guerra è 'l mio stato, d'ira e di duol piena,
E sol di lei pensando ho qualche pace.

1. Tave. Si riferisce a tutti i tre soggetti ed esprime veramente l'idea del silenzio notturno. L'esempio dantesco: Mentre che 'l vento come fa si tace (si cheta; Inf. v. 96) ha dunque poco che vedere. 2. Affrena. Accheta, avvince, doma. - 3. 11 carro stellato. Può intendersi dell'orsa che gira intorno al polo,

A

o meglio del carro mitologico della notte
in contrapposizione al carro del sole.
Tibullo (II, 1, cit. dal Card.): iam Nox
iungit equos, currumque sequuntur
Matris lascivo sidera fulva choro.
5. Chi mi sface. L. che mi strugge.
6. Innanzi alla mente. 7. Guerra.
Affanno. I son colei che ti diè tanta

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