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CLII

1. lo tiene sempre fra la speranza e il timore; se ella non si deciderà a farlo felice o a respingerlo del tutto, egli ne morrà, ché non può più resistere a tanto

Questa umil fera, un cor di tigre o d'orsa,
Che 'n vista umana e 'n forma d'angel vène,
In riso e 'n pianto, fra paura e spene
Mi rota sì ch'ogni mio stato inforsa.

Se 'n breve non m'accoglie o non mi smorsa,
Ma pur, come suol far, tra due mi tene,

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Per quel ch'io sento al cor gir fra le vene
Dolce veneno, Amor, mia vita è corsa.

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Chè 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa e 'nbianca.
Fuggendo spera i suoi dolor finire,

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Come colei che d'ora in ora manca:
Ché ben po nulla chi non po morire.

1. Umil fera. Umile nell'aspetto, fiera nel cuore. Così in più altri luoghi; ad es.: la fera bella e mansueta (canz. CXXVI, v. 29). Un cor, ecc. Svolge amplificandolo il concetto preced. · 2. In vista. Con aspet o. 4. Mi rota. Mi fa girare, oscillare. Ogni mio stato inforsa. Rende dubie (inforsare viene da forse), tanto la mia speranza quanto la mia paura. 5. Non m'accoglie. Non mi riceve come suo amante. Mi smorsa. Fu interpretato in due modi: « non mi risana del suo morso citando: Fin che mi sani il cor colei che il morse (canzone XXIX, v. 17), ma in questo verso sanare il core non vuol dire : liberarlo, bensi appagarlo d'amore, e smorsare usato in tal senso sarebbe di nuovo e strano conio; ovvero meglio: mi toglie il morso, ritornandosi alla allegoria del

cavallo tanto sovente usata dal p. Potrebbe anche intendersi : mi libera dalla morsa, nella quale mi tiene stretto. -6. Tra due. Nell'incertezza. — 7. Quel. Si unisce a dolce veneno. 8, E corsa. E finita, cioè sta per finire. -9. La vertù. La forza fisica e morale. Così vedemmo nel son. CXLI: E so ch' i' ne morrò veracemente, Chẻ mia vertù non po contra l'affanno. 11. In un punto. Nello stesso tempo arde di speranza, agghiaccia di paura. 12. Fuggendo. La vita fuggendo, cioè: io col morire. 13. Di ora in ora manca. Ad ogni istante le par di morire, ovvero anche: a poco a poco va spegnendosi.-14.Ché ben po nulla, ecc. Deve intendersi come ipotetico: chè, se uno non potesse neanche morire, non potrebbe davvero nulla.

CLIII

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Manda il p. 1 suoi ardenti sospiri a disgelare il cuore di L., e dirle a qual punto egli l'ami, e come il suo stato sia tanto triste quanto pacifico quello di lei; e spera ch'ella non li respinga del tutto.

Ite, caldi sospiri al freddo core,

Rompete il ghiaccio che pietà contende;"
E, se prego mortale al ciel s'intende,
Morte o mercè sia fine al mio dolore.

1. Al freddo core di L. Nella canz. CXXXV | egli la chiama per antonomasia: quella fredda (v. 68). 2. Rompete il ghiaccio Anche del ghiaccio di L. disse infinite volte il p.: C'hallor fa un di Madonna

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senza il ghiaccio (sest. LXVI, v. £2);
Ardendo lei che come un ghiaccio stassi
(canz. CXXV, v. 11). Che pietà contende.
Che le impedisce di sentire pietà.
Morte o mercè.O mi respinga, si ch'io

4.

Ite, dolci penser, parlando fòre

Di quello ove 'I bel guardo non s'estende:
Se pur sua asprezza o mia stella n'offende,
Sarem fuor di speranza e fuor d'errore.
Dir se po ben per voi, non forse a pieno,
Che 'l nostro stato è inquieto e fosco,
Si come 'l suo pacifico e sereno.
Gite securi omai, ch' Amor vèn vosco;
E ria fortuna po ben venir meno,

S' ai segni del mio sol l'aere conosco.

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ne muoia, o mi ricompensi amandomi. | soltanto rinforzativo del verbo può, 6. Di quello, ecc. Di ciò che io provo come quattro versi più innanzi. Indentro di me, dove il suo sguardo non somma dice il p.: « Voi, sospiri, gli giunge, cioè delle mie sofferenze. -7. potete ben dire ciò, quantunque forse Pur. Ancora. — Sua asprezza o mia stella non perfettamente ». Contraddizione n'offende. Se ancora la crudeltà di lei dunque non esiste affatto. Il Dan. ino il mio destino ci colpisca. Offendere tende: « Ancora che il nostro stato sia qui vale: far male, danneggiare; cosi fosco e inquieto, non è però in tutto »; nel son. CCXLVIII: l'ingegno offeso dal na chi legga bene i versi si accorge soverchio lume. - 8. Sarem fuor di spe- che tale anticipazione non è consenranza, ecc. Saremo almeno sicuri che tita dalla grammatica ne dalla logica. ella non ci ama. 9. Per voi. Da voi. Il Sicardi (Recens. cit, pag. 176) vorNon forse a pieno. II p. sa che non è rebbe mettere un punto interrogativo capace di esprimere tutto il proprio dopo sereno e sopprimere le due viraffanno e su tale sua incapacità ritorna gole del verso 9; ma che senso ne più volte; anzi una volta accusò ap- verrebbe io non arrivo a capire. punto i sospiri di non essere abbastanza 13. E ria fortuna. E può ben darsi che eloquenti: E voi si pronti a darmi an- cessi anche la ria fortuna, cioè che goscia e duolo, Sospiri, allor traete L. finisca per amarmi. -14. S' ai segni lenti e rotti (son. XLIX). Eppure queste del mio sol, ecc. Se dalle co-stellazioni, semplici parole hanno scombussolato in che adesso si trova il mio sole, gli interpreti, ai quali pareva che quel posso conoscere che aria tira, che non a pieno non s'accordasse col ben tempo farà; cioè se dagli indizi che mi che precede; mentre quel ben non è da L. posso indovinare che intenzioni già avverbio di modo, ma ha valore sono le sue.

CLIV

Dio e la fortuna e la natura fecero bellissimi gli occhi di L., tanto che sguardo umano non può fissarli. L'aria stessa s'accende d'onestà e tutto attorno ad essa è virtù. Quando mai ciò accadde per una donna bella?

Le stelle, il cielo e gli elementi a prova
Tutte lor arti ed ogni estrema cura
Poser nel vivo lume, in cui natura

Si specchia e 'l sol, ch'altrove par non trova.
L'opra è si altera, sì leggiadra e nova

Che mortal guardo in lei non s'assecura:
Tanta negli occhi bei fòr di misura
Par ch' Amore e dolcezza e grazia piova.

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1. Le stelle. All'influenza esercitata | volte detti dal p. Vivo lume i dice dalle stelle su i destini dell'uomo vedemmo già come spesso accenni il p.; qui dunque stelle voglion dire sorte, fortuna. Ad es. (canz. CXXVIII, v.52): non so per che stelle maligne. - Il cielo. | Dio. Gli elementi La natura. -. A prova. A gara. 3. Nel vivo lume. Gli occhi di L. lume dolce, o vago, o bello, • ardente, o divino vedemmo cento

6.

anche al son. CLXII: E prendi qualità
del vivo lume. 4. Altrove par non
trova. Non trova altrove un suo pari
come in quegli occhi. Difatti L. è detta
appunto : un vivo sole (son. XC).
In lei non s'assecura. In lei, cioè nel
guardarla, non si sente sicuro, corag-
gioso. Cosi Or teme, or s'assecura (can-
zone CXXIX, v. 8). -7. For di misura.

L'aere percosso da' lor dolci rai

S' infiamma d' onestate, e tal diventa
Che 'l dir nostro e 'l penser vince d'assai.
Basso desir non è ch' ivi si senta,

Ma d'onor, di vertute; or quando mai
Fu per somma beltà vil

Si unisce a tanta. - 9. L'aere percos-
so, ecc. Tutto intorno a lei, tutte le
persone che la circondano, provano un
ardore di onestà; l'aria stessa (dando
vita il p. alle cose inanimate) par che
senta questo ardore. Cosi il Cavalcanti
(cit. dal Card.): Chié questa che vien...

voglia spenta?

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Che fa tremar di charitate l'âre?
11. Vince. Supera.
12. Basso desir, ecc.
In quell'aere, ciò in presenza di L., non
si sentono bassi desiderii.
14. Fu per
somma beltà. Di solito invece la bellezza
muliebre, quanto è più grande, tanto
più eccita desiderii sensuali.

CLV

Giove avrebbe deposte le folgori, Cesare le armi per pietà, se avessero veduto piangere L. Quel pianto colmò il p. di doglia, ed egli lo ha ancora così scolpito nel cuore, che spesso egli medesimo ancora piange. Questo e i tre sonetti che seguono trattano del pianto di L.; essi occupano quindi nel canzoniere un posto simile a quello dei sonetti XII e XIII nella V. N. di Dante, dove appunto si parla del pianto di Beatrice. In questi ultimi però è l'espressione del possente dolore causato dalla morte del padre; invece nei petrarcheschi di un dolore forse futile, di cui ignoriamo la causa e che serve solo a far risaltare maggiormente la bellezza di L. Imitazioni dirette di forma non ce ne sono, bensì qua e là di concetto, come ai loro uoghi ri

e veremo.

Non fur ma' Giove e Cesare sì mossi
A folminar col(l)ui, questo a ferire,
Che pietà non avesse spente l' ire

E lor de l' usate arme ambeduo scossi.

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Piangea Madonna, e 'l mio Signor ch' i' fossi
Volse a vederla e suoi lamenti a udire,

Per colmarmi di doglia e di desire

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E ricercarmi le medolle e gli ossi.

Quel dolce pianto mi depinse Amore,

Anzi scolpío, e que' detti soavi

Mi scrisse entro un diamante in mezzo 'l core;

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Ove con salde ed ingegnose chiavi

Ancor torna sovente a trarne fore

Lagrime rare e sospir lungi e gravi.

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1. Giove. Il Dio sommo, Cesare il sommo | pinse anzi scolpio in mezzo 'l core quel imperatore. Si mossi. Cosi pronti, eccitati. 3. Pietà per il dolore di L. 4. E lor. Sottint. non avesse. Scossi, Privati. È usato sovente dal p. in tale significato; scossa Voce rimasi de l'antiche some (canz. XXIII, v. 138). Il mio Signor. Amore. Ch'i' fossi Volse a vederla. Volle che io mi trovassi per caso a vederla. 7. Di desire. Di amore più grande prodotto dalla pietà e dalla bellezza di lei piangente. 8. Ricercarmi di commozione. 9. Mi dipinse Amore. Costruisci: Amore mi di

d. p. 12. Con salde ed ingegnose chiavi. Apre il mio cuore al pianto con vivi opportuni ricordi. Le chiavi del core vedemmo già tante volte ricordate per indicare la facoltà di esser tristi o lieti. 14. Rare. Non per dir poche di numero, chè qui male starebbe dopo il sovente, ma grosse come sono i goccioloni quando vengon giù lenti dalle ciglia. Anche Dante piange di tutto cuore al pianto della donna amata: E perchè piangi tu si coralmente? (V. N., son. XIII),

CLVI

Vide il p. l'angelica bellezza di L. e vide piangere que' suoi occhi e la udi parlare fra le lagrime; era tale l'armonia di quei lamenti che non si moveano, per la dolcezza, nemmeno le foglie degli alberi. Della squisita bellezza di questo componimento e specialmente di quella dell' ultima terzina, nitida come cristallo, è superfluo parlare.

I' vidi in terra angelici costumi

E celesti bellezze al mondo sole;

Tal che di rimembrar mi giova e dole,

Chè quant' io miro par sogni, ombre e fumi.

E vidi lagrimar que' duo bei lumi,

C' han fatto mille volte invidia al sole;
Ed udi' sospirando dir parole

Che farian gire i monti e stare i fiumi.
Amor, senno, valor, pietate e doglia

Facean piangendo un più dolce concento
D'ogni altro che nel mondo udir si soglia,
Ed era il cielo a l'armonia si intento,

Che non se vedea in ramo mover foglia:
Tanta dolcezza avea pien l'aere e 'l vento!

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6. Invidia al sole per il loro splendore. 7. Ed udii sospirando dir parole. L'effetto sommamente compassionevole delle parole miste ai lamenti è fatto notare anche da Dante: che nel su' pianto l'udimmo parlare (V. N., sonetto XIII). 8. Gire i monti, ecc. Tale è la dolcezza di quelle parole. 9. Valor. Virtù, bellezza d'animo. - 12. Il cielo. L'aria. 14. Pien. Riempiuto.

CLVII

Quel giorno che il p. vide piangere L. non può uscirgli di mente, così bella allora ella gli apparve.

Quel sempre acerbo ed onorato giorno
Mandò si al cor l'imagine sua viva

Che 'ngegno o stil non fia mai che 'l descriva,
Ma spesso a lui co la memoria torno.
L'atto d' ogni gentil pietate adorno
El dolce amaro lamentar ch'i' udiva,

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studio e da riflessione; o meglio: ingegno il pensiero, la fantasia, stile la forma. 5. L'atto. L'atteggiamento. D'ogni gentil pietate adorno. E Dante: Ella ha nel viso la pietà si scorta, ecc. (son. cit.). 6. Dolce amaro lamen

Facean dubbiar se mortal donna o diva
Fosse che 'l ciel rasserenava intorno.
La testa or fino, e calda neve il volto,
Ebeno i cigli, e gli occhi eran due stelle,
Ond'Amor l'arco non tendeva in fallo;
Perle e rose vermiglie ove l'accolto
Dolor formava ardenti voci e belle;
Fiamma i sospir, le lagrime cristallo.

tar. Come sopra: acerbo e onorato. 8. Che. Sottint.: quella. 'l ciel rasserenava intorno. Già più volte vedemmo che L. ha il dono di rendere attorno a sè l'aria serena e più volte ancora il vedremo. Cosi il son. CXCIV com.: L'aura gentil che rasserena i poggi. 9. La testa. I capelli. Calda n ve. Neve per la candidezza, ma neve calda per il natural calore delle carni. 11. Onde Amor, ecc. Donde Amore, tirando il suo arco, non sbagliava mai; cioè: nei quali tutti s'accendevano d'amore. L'imagine di Amore che lanciava saette

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stando negli occhi di L. è tutt'altro che nuova; ad es. essa informa tutte le due ultime terzine del son. XCIII. 12. Perle e rose vermiglie ove l'accolto dolor, ecc. Sottint.: era dinanzi a ove; quel luogo, dove il dolore raccolto formava la voce, cioè la bocca, era perle (i denti) e rose vermiglie (le labbra). 13. Ardenti di dolore; belle per suono e per l'espressione.-14. Fiamma. Perchè ardenti anch'essi di dolore. Sospir. Il vat. 3195 ha sospiri senza il punto espuntorio.

CLVIII

Ovunque il p. guardi, vede L. che piange e sospira; la sua bellezza fu quel giorno quale non s'era mai veduta.

Ove ch' i' pòsi gli occhi lassi o giri

Per quetar la vaghezza che gli spinge,
Trovo chi bella donna ivi depinge
Per far sempre mai verdi i miei desiri.
Con leggiadro dolor par ch' ella spiri
Alta pietà che gentil core stringe;
Oltr' a la vista, agli orecchi orna e 'nfinge
Sue voci vive e suoi sancti sospiri.

1. Ove. In qualunque luogo. Posi gli occhi, perché stanchi di cercare invano, o li giri per appagare il loro desiderio (vaghezza) di vedere una donna simile a L. Invece alcuni commentatori intendono pel desiderio di vedere l'imagine di L., ed altri per desiderio di vedere checchessia; mà a quest'ultima interpretazione osta: quel quetar la vaghezza che indica una intenzionale ricerca, e alla prima il fatto, osservato giustamente dal Castelv., che il p. non era sempre tanto vicino a L. da poterla vedere. Che poi il p. cercasse appunto di vedere donna simile a L. disse già altrove egli stesso più

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volte vago (si noti l'uguaglianza della parola) dei bei rami Da po' son gito per selve e per poggi Ne già mai ri trovai, ecc. (sest. CXLII, v. 13). - 3. Chi. Amore. Altra volta invece vedem, mo che Amore dipingeva l'imagine di L. nel cuore del p.: Un che Madonna sempre dipinge (canz. CXXV, v. 34). 4. Verdi. Non disseccati, freschi. Spiri. Effonda. -6. Gentil core. Sottint. ogni. 7. Orna e'nfinge. Soggetto è sempre Amore, il quale non solo illude la vista, presentando l'imagine di L. piangente, ma anche gli orecchi apprestando e simulando (cioè, apprestando simulate) le sue parole, ecc. Ornare

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