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O d'ardente vertute ornata e calda
Alma gentil, cui tante carte vergo;
O sol già d'onestate intero albergo,
Torre in alto valor fondata e salda;
O fiamma, o rose sparse in dolce falda

Di viva neve, in ch' io mi specchio e tergo;
O piacer, onde l'ali al bel viso ergo,
Che luce sovra quanti il sol ne scalda;
Del vostro nome, se mie rime intese

Fossin sì lunge, avrei pien Tyle e Battro,
La Tana e 'l Nilo, Atlante, Olimpo e Calpe.
Poi che portar nol posso in tutte e quattro
Parti del mondo, udrallo il bel paese

Ch' Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe.

2. Cui. Dativo etico: per la quale. 3. Già. Vale non un tempo come taluni intesero, ma ormai. Tutto il verso dice: tu che ormai sei unicamente intero albergo di onestà. Difatti prima L. amava il p. e quindi era albergo di amore e di onestà, ma ormai è solo e intieramente di onestà. 4. Torre. Per esprimere la fortezza dell' animo onesto; metafora molte volte usata nella Bibbia e dagli scrittori ecclesiastici: Turris eburnea è detta nelle litanie la Vergine. Nella canz. XXXVII v. 103 disse L.: Torre d'alto intelletto. In alto valor. In virtù somma. 5. Fiamma. A indicare lo splendore della sua bellezza. Rose sparse, ecc. L'incarnato delle guancie sul candore della pelle. 6. Mi specchio. Specchiarsi in una cosa vuol dire guardarla intensa mente e di continuo. - Tergo. Il p. dice

4

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che si pulisce da ogni bassezza nel guar-
dare il volto di L.; ma è mal detto. - 7.
Onde. Per il quale, per ottenere il quale.
L'ali al bel viso ergo. Rivolgo su verso
il bel viso le ali del mio desiderio.
9. Intese. A causa della diversità della
lingua. 10. Pien. Regge: del vostro
nome, e vale: riempiuto. Tyle e Bat-
tro, ecc. Isole, fiumi e monti nominati
per indicare tutte le parti più lontane
del mondo. Tyle estreina isola occiden
tale, Battro fiume che dà nome alla
Battriana, Tana per Tanai, ecc. — 12.
Quattro parti. Considera i quattro punti
cardinali. 14 Appennin. Scrivo cosi
d'accordo col Card. e col Mod. e con-
trariamente al Salvo-Corzo, perchè nel
vat. 3195 parmi di vedere sopra la e
un segno di abbreviazione. Parte. Di-
vide in due parti.

CXLVII

Quando, non potendo più resistere al desiderio, va a veder L., ella turbata lo folgora cogli occhi, onde egli ne teme; ma talvolta la timorosa espressione di lui fa lei alquanto rasserenata.

Quando 'l voler, che con duo sproni ardenti
E con un duro fren mi mena e regge,
Trapassa ad or ad or l'usata legge

1. Con duo sproni ardenti, ecc. Giusta- |
mente nota il Castelv. che nel son. VI
finge sè essere il cavaliere e la volontà
un cavallo sfrenato; qui finge sè es-
sere cavallo e la volontà il cavaliere che
lo caccia; ma il senso è tutt'uno, chè
il p. vuol dimostrare in ambedue i luo-
ghi che egli è sempre, mal suo grado,
spinto dal desiderio a rivedere L.
2. Con un duro fren. I due sproni ardenti
rappresentano il desiderio di rivedere
gli occhi di L., il freno la ragione del

p. o il divieto di L. Cosi nel son. CLXI O bel viso ov' Amor inseme pose Gli sproni e 'l fren onde mi punge e volve; e cosi nei Trionfi: Talor ti vidi tali sproni al fianco Ch'i' dissi: « Qui conven più duro morso» (c. XIII, v. 116).

3.

Mi mena e regge. Mi mena, cioè mi conduce, mi caccia, si riferisce a sproni; regge (guida, corregge) a freno. Trapassa. Viola. L'usata legge. L'abituale divieto impostosi dal p., o impostogli da L., di andarla a vedere.

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4. I miei spirti. Gli spirti della vita. Cosi di L. e che corregge, cioè raffrena o nel son. XLVII, dove si parla dello stesso punisce le imprese, gli ardimenti del imperioso desiderio di riveder L.: Io desiderio del p.-9. Il colpo di Giove irato. sentia dentro al cor già venir meno La folgore e ciò in relazione al folGli spirti che da voi ricevon vita. gorar di poc' anzi.-12. Freddo foco, ecc. 5. Chi. L., la quale nella fronte del p. del p.; foco che non apparisce fuori legge la paurà che egli prova in quele si mostra freddo. Cosi la paventosa momento in fondo al cuore e l'ardire speme indica la speranza mista a paura che lo muove. 7. E vede, ecc. Costr: E che il p. prova. 13. Che traluce, ecc. vede ne turbati occhi pungenti di L. Già nella canz. XXXVII (v. 57) egli disse: folgorare Amore, che, ecc. Quel folgo- Certo cristallo o vetro Non mostrò rare, per indicar lo sdegno che espri- mai di fóre Nascosto altro colore Che mono gli occhi di L. è di mirabile ef- l'alma sconsolata assai non mostri Più ficacia; è Amore, che in essi folgora chiari i pensier nostri. 14. Sua dolcs sdegnato, Amore, il quale cento volte vista. Il dolce aspetto di L. vedemmo ormai annidarsi negli occhi

CXLVIII

Non tutte le acque del mondo, non tutte le piante de' boschi potrebbero rinfrescare l'ardore del suo cuore, quanto il bel Sorga ed il lauro. Questi soli sono suo conforto, onde egli augura a quel lauro di crescer sempre su quella fresca riva ed a sè di scrivere lì accanto nobili versi.

Non Tesin, Po, Varo, Arno, Adige e Tebro,

Eufrate, Tigre, Nilo, Ermo, Indo e Gange,

Tana, Istro, Alfeo, Garonna e 'l mar che frange,
Rodano, Ibero, Ren, Senna, Albia, Era, Ebro,

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1. Tesin, Po, ecc. Nomina vari fiumi | stesso: Cerne sinus pèlagi geminos quos tra i più celebri. -3. Garonna el mar maxima frangunt Flumina (Egl. IX) che frange. Molto da fare han dato que intese che (cioè, il mare) essere oggetto ste parole ai commentatori, i quali tutti del verbo frangere mentre soggetto saintendevano che (cioè: il mare) soggetto rebbe Garonna, e dover intendersi : del verbo frangere, mentre parte di essi «Garonna e il mare cioè l'Atlantico, cui prendevano poi frangere in senso essa frange coll'urto delle sue acque >. neutro per frangersi credendo anzi Ma la interpretazione migliore parmi taluni clie mare fosse usato metafori-si abbia fondendo insieme quella data camente per indicare il fiume Timavo perche scende con gran fracasso dai inonti, ed altri invece facevano frangere transitivo e gli davano per oggetto Rodano, intendendo: il mare che frange, interrompe il corso del Rodano, cioé il Mediterraneo. Altri infine leggevano el Nar con allusione ad uno spumoso afluente del Tevere; anzi il Cochin (op. cit., pag. 98 n.) rincalzava questa lezione coll'appoggio di un passo del De remediis. Il Sic. (Noterella, Firenze,1902) sull'esempio di un verso latino del p.

dal D'Ovidio che intende: mare fragoroso,tempestoso, citando,a valida prova, un altro esempio del p. senza governo in mar che frange (sonetto CCLXXVII; v. Quest. di geogr. petrarch.) e quella datà dall'Hauvette che, pur accettando la costruzione grammaticale proposta dal Sicardi, intende per mare la Giron da, perchè la Garonna non arriva all'oceano se non attraverso un largo estuario, vero braccio di mare, attraverso al quale passa la corrente delle acque discese dai Pirenei (v. Bulletin

Non edra, abete, pin, faggio o genebro
Porria foco allentar che 'l cor tristo ange,
Quant' un bel rio ch' ad ogni or meco piange,
Co l'arboscel che 'n rime orno e celèbro.
Questo un soccorso trovo tra gli assalti
D'Amore, ove conven ch' armato viva
La vita, che trapassa a sì gran salti.
Così cresca il bel lauro in fresca riva;
E chi 'l piantò pensier leggiadri ed alti
Ne la dolce ombra, al suon de l'acque, scriva.

italien, II [1902], 177 sgg.) e spiega il
mare, cioè il detto estuario, cui la Ga-
ronna frange. Fondendo, le due inter-
pretazioni, cioè accettando quanto dice
I'Hauvette per il significato della pa-
rola mare e quanto prova il D'Ovidio,
con un irrefutabile esempio tolto dal
p. stesso, per la frase che frange, si
avrebbe: « il fragoroso estuario for-
mato dalla Gironda ». 5. Edra, abete,
ecc. Si noti che il p. non dice nel verso
seg. spegnere ma allentare il foco, onde
foco non deve intendersi per fiamma,
ma per ardore, calore; e perciò qui
sono ricordate le piante che col loro

alberi

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rezzo dovrebbero raddolcire quell' ar-
dore.. -6. Ange. Gli dà angoscia. - 7. Ad
ogni or. Continuamente. Meco piange.
Sussurrando pare che pianga col p.
8. Co l' arboscel. Il lauro dal p. pian-
tato in onore di L. Orno e celebro.
Orno vale esalto; non che egli esalti
il lauro, ma L. che è tutt' una con
esso. 9. Quest' un. Questo solo. - Tra.
Il Salvo-Cozzo ha per errore: fra.
10. Armato. Cioè sempre sulle difese
contro gli assalti d' Amore. 12. Cosi.
Ha significato ottativo. 13. Chi 1
piantò. Il p. stesso.

CXLIX

Talvolta L. lo guarda meno duramente; e allora perchè egli tuttavia sospira e si dispera? Perchè non è tranquillo e, crescendo la speranza, cresce il desiderio

Di tempo in tempo mi si fa men dura

L'angelica figura e 'l dolce riso,

E l'aria del bel viso

E degli occhi leggiadri meno oscura

Che fanno meco omai questi sospiri,
Che nascean di dolore,

E mostravan di fòre

La mia angosciosa e desperata vita?

5

S'avven che'l volto in quella parte giri
Per acquetare il core,

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Parmi vedere Amore

Mantener mia ragion e darmi aita..
Nè però trovo ancor guerra finita
Ne tranquillo ogni stato del cor mio;
Ché più m' arde 'l desio

Quanto più la speranza m' assicura.

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13. Mantener mia ragion. Difendere presso L. le mie ragioni; cioè L. piegarsi alquanto ad amarmi. Il Salvo Cozzo ha per errore: ragione. 14. Né però trovo, ecc. E pur tuttavia non trovo ancora finita la guerra del mio core. 16. d'assicura. Mi dà speranza, non certezza, di vittoria.

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CL

É un dialogo tra il p. e la propria anima, nel quale il p. si mostra dubbioso se L. abbia finalmente a corrispondergli o no, mentre l' anima cerca di rassicurarlo facendogli credere che L. lo ami in secreto.

«Che fai, alma? che pensi? avrem mai pace?

Avrem mai tregua? od avrem guerra eterna? »
<< Che fia di noi, non so; ma, in quel ch'io scerna,
A' suoi begli occhi il mal nostro non piace. »

<< Che pro', se con quelli occhi ella ne face

Di state un ghiaccio, un foco quando inverna? »
<< Ella non, ma colui che gli governa. »

<< Questo ch'è a noi, s'ella sel vede e tace? » Talor tace la lingua, e 'l cor si lagna

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Ad alta voce, e 'n vista asciutta e lieta
Piange dove mirando altri nol vede. »

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«Per tutto ciò la mente non s'acqueta,

Rompendo il duol che 'n lei s'accoglie e stagna;
Ch'a gran speranza uom misero non crede. »

1. Che fai alma? ecc. Un altro son. comincia ugualmente: Che fai? che pensi?... Anima sconsolata (CCLXXIII), ma è di quelli in morte di L. 2. Tregua. Pace con L., cioè corrispondenza d'Amore. 3. Di noi. Del p. e della sua anima. -In quel ch'io scerna. Da quello che mi par di capire. - 4. Il mal nostro. Il nostro dauno o dolore. - 5. Che pro'. che giovamento viene a me da tale fatto, se poi, ecc. - 6. Di state un ghiaccio, un fuoco quando inverna. Ugualmente nel son. CXXXII: E tremo a messo state, ardendo il verno, dove abbiamo spiegato che per state si deve intendere la presenza di L. e per verno la sua lontananza, giacchè per il p. L. è il sole, e in più luoghi egli disse che in presenza di lei egli trema di paura e in sua asenza arde dal desiderio di vederla. 7. Ella non, ma colui, ecc. Non è lei, che fa ciò, ma Amore. Gli governa. Li fa muovere. Cosi nella canz. LXXIII: Come Amor dolcemente li governa (v. 71). — 8. Ch'è a noi. Che ci giova. Il Salvo Cozzo ha per errore: che è. Sel vede. Si vede ciò, vale a dire l'affetto che Amore produce in noi. Quel si non ha valore riflessivo, ma è una forma di dativo etico quasi pleonastica. E tace. Eppure lascia fare e nulla dice. 9. El cor. E avversativo: « ma il core ». - 10. Ad alta

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voce. Non colle parole, ben s'intende, poichè ha testè detto che tace, ma altamente, vivamente. In vista asciutta e lieta. Con volto senza lagrime e lieto. --11. Dove mirando. Ella piange dentro di sè, dove, per quanto uno miri, non può vederla. 12. Per tutto ciò. Tuttavia, o per tutte queste tre buone ragioni. 13. Rompendo il duol. E non rompe, cioè non scaccia il dolore; quel rompere è forse preso dall'idea del ghiaccio prodotto dal dolore stagnante: Ed io nel cor via più freddo che ghiaccio (sest. LXVI, v. 7) e così pure: da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio Che mi passi nel core (ball.LXIX). Che poi il ghiaccic del cuore abbia a rompersi, parlando non del proprio cuore ma di quello di L., dice pure il p.: Ite, caldi sospiri, a freddo core, Rompete il ghiaccio. Il Ferr. intende: <inframettendo colle parole un po' d'allegrezza », ma ciò lega imale con quanto precede; il Sic. (Rass. a Card. e Ferr., pag. 189): « sfogando il dolore col pianto », ma, oltre che il verbo rompere nou fu mai usato in questo strano senso dal p. nė da altri, parmi si faccia dire così al p. assai più che non vuole. Stagna. Non ne va mai via, come appunto le acque stagnanti che assai facilmente gelano.

CLI

Il p. corre a guardare gli occhi di L. e ne rimane abbagliato; nei suoi occhi vede Amore o legge tutto quello che egli d'Amore scrive.

Non d'atra e tempestosa onda marina

Fuggio in porto già mai stanco nocchiero,
Com' io dal fosco e torbido pensero

Fuggo ove gran desio mi sprona e 'nchina.

Nè mortal vista mai luce divina

Vinse, come la mia quel raggio altero
Del bel dolce soave bianco e nero,

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In che i suoi strali Amor dora ed affina.

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Cieco non già, ma faretrato il veggo;

Nudo, se non quanto vergogna il vela;
Garzon con ali, non pinto, ma vivo.
Indi mi mostra quel ch' a molti cela:

Ch' a parte a parte entro a' begli occhi leggo
Quant'io parlo d'Amore e quant' io scrivo.

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1. D'atra. Da atra. 3. Dal fosco e coll'arco e la faretra, nudo e soltanto torbido pensiero. Alcuni intendono da- velate le parti vergognose; fuori di gli affanni della mente; altri: dal pen- metafora: che negli occhi di L. vede siero di partirmi dall'amore di L.; altri chiaro Amore, ma non quanto nelancora: da pensiero men che onesto. l'Amore vi è di sensuale. 11. Con ali. Queste due ultime interpretazioni sono Pronto a volare in alto; e vuol indicare cervellotiche: la prima è sul vero, ma la nobiltà di esso amore. Non pinto. parmi un po' scarsa. Forse questo sonet- Ciò dice appunto il p. perchè lo ritrae to si ricollega (come fa spesso il p.) col come si suole dipingerlo; e lo vede preced. e foschi e torbidi sono quei pen- però non dipinto, ma vivo. Simile sieri appunto che egli nel preced. espone. raffigurazione dell' Amore egli ripete 4. E 'nchina. Ritorna l'imagine del poi nel c. I dei Trionfi: Sovr'un carro cavallo già usata nel son. CXLVIII: midi foco un garzon crudo Con arco in mena e regge. Inchina vuol dire appunto: mi dirige. -5. Luce divina è il soggetto, mentre mortal vista è l'oggetto. Altre volte il p. chiamò gli occhi di L. luci divine (canz. LXXII. v.11).-6. Vinse. Abbaglio. Quel raggio. E pure soggetto. -7. Bianco e nero. Gli occhi di L. Cosi in più altri luoghi; ad es. Quando voi alcuna volta Soavemente tra 'l bel nero e 'l bianco Volgete il lume ove Amor si trastulla (canz. LXXII, v. 49) 8. Dora ed affina. Rende più efficaci e più acuti. Il Dan. dice che gli strali dorati sono quelli che fanno amare e gli impiombati disamare.-9. Cieco. Non privo del lume di ragione, chẻ L. non è cieca per il p. Il veggo. Son. CXLIV: Sen

nuccio i' 'l vidi e l'arco che tendea.
10. Nudo, se non quanto vergogna il vela.
Metaforicamente vuol dire che vede
Amore cosi come di solito vien dipinto,

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man e con saette a' fianchi... su gli
omeri avea sol due grand'ali Di color
mille, tutto l'altro ignudo (v. 23).
12. Indi. Di là, stando in quegli occhi.
- Quel ch' a molti cela. Il Ferr. intende
i sentimenti di L. e cita: s'aperse (nel
viso di L.) Quel pietoso penser ch'altri
non scerse Ma vidil io (Son. CXXIII). Io
m' avvicino piuttosto al Biag. e in-
tendo: la bellezza sua amorosa fonte
d'ispirazione poetica; e ciò per due
ragioni: 1. che all'interpretaz. del Ferr.
contrasta quel molti; il pietoso penser
del son. CCXXIII non fu veduto da nes-
suno, come era ben naturale, tranne
che dal p., mentre qui altri insieme col
p. vedono ciò che Amore cela a molti,
2. che la spiegazione è data chiara-
mente dai due ultimi versi, nei quali il
pietoso penser di L. non entra affatto.

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