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» ta, in sul pagare il comune debito, la mercè >> di Dio, scrivo e soscrivo la mia sentenza aper>>tamente a notizia di tutti i miei figli. Adun>> que io dichiaro darmi per convinto a quanto >> crede e definisce la Cattolica e l'Apostolica >> Chiesa del Signor nostro Gesù Cristo, della >> vecchia Roma. Confesso, il Papa dell'antica >> Roma essere il Padre dei Padri, Pontefice mas»simo, e Vicario del Signor nostro Gesù Cristo >> a raffermar la fede di tutti; e credo essere un >> purgatorio delle anime. In fede di questo ho >> segnato del mio nome questa scritta nel nono >> dì del mese di giugno, mille quattrocento tren>>tanove; seconda indizione. » Questo successore di Fozio che lascia sull'orlo del suo sepolcro il chirografo della sua fede, che si abbraccia e muore nel seno della Romana Chiesa, fu l'ultimo ammonimento che i Cieli mandavano allo scismatico Oriente. Per questo Patriarca dette un' ultima luce il seggio del Bizantino Vescovo, innanzi lo venisse a sommergere la turchesca fortuna: ed a quella luce, chi voleva, poteva vedere come innanzi Fozio e Cerulario fossero vescovi obbedientissimi alla Romana Sedia come il Magno Crisostomo ed il Nazianzeno. Bessarione e Giuseppe nel Fiorentino Concilio furono uomini provvidenziali. A che fosse la Bizantina e le altre Chiese Orientali troppo chiaramente addimostrarono i concorsi Greci al Fiorentino Concilio,

che sottoscrissero e poi rinnegarono il santo patto della unione. Quali fossero state quelle Chiese in altri tempi luculentemente testimoniarono que' due vescovi; l' uno accanto alla sedia di San Pietro, l'altro nei Cieli con la incorruttibile fede della loro confessione.

Corruttibile era quella dell' Imperadore e degli altri vescovi: imperocchè mentre si era in sul conchiudere il negozio della loro adesione ai Latini intorno al dogma della Processione dello Spirito Santo, il Paleologo pensava al terreno regno da conservare, ed insisteva presso il Pontefice per ottenere soccorsi contro i Turchi. Ottenne che il Papa pagherebbe le spese di viaggio ai Greci; spedirebbe ogni anno trecento soldati e due galee alla custodia di Costantinopoli; che le galee le quali portavano i pellegrini in Terra Santa dovessero dare per Costantinopoli; che somministrerebbe venti galee per sei mesi, e dieci per un anno, ad ogni inchiesta dell'Imperadore; che richiedendolo il bisogno, con quanta forza gli veniva dalla papale autorità, ecciterebbe i principi cristiani di Occidente a mandargli soccorritrici milizie. - Guardando alla gravezza del pericolo di che era minacciato il trono di Costantino, fievolissimi apparivano ed erano i promessi aiuti. Trecento fanti e poche galee erano intoppo ridicolo al torrente turchesco. Ben altro eransi impromesso i Greci in premio della loro

riconciliazione con la Romana Chiesa.

Ricordavano i tempi delle Crociate, e credevano che le occidentali generazioni fossero ancora in pugno del Papa, da spingerle, come fece Urbano II, ai danni di Maometto. Ma i tempi erano ben diversi da quelli: imperocchè, ove anche fosse stato nel secolo XV un papa alla maniera di Urbano II e di Gregorio IX, non si sarebbero trovati i Goffredi, i Luigi di Francia agitatori di grandi guerre contro gl' Infedeli per salvare il Santo Sepolcro; nè i Greci avevano lasciato troppo care memorie presso gli Occidentali della loro carità verso i Crocesegnati. È a dire, o che per disperazione di ogni loro cosa si fossero condotti i Greci a barattare quelle che stimavano religiose credenze coi fanti e le galee, o che delle politiche condizioni dei Latini poco o nulla sapessero.

Tuttavolta, eccetto Marco di Efeso, tutti i Greci coi Latini soscrissero al decreto della loro unione: baciarono le mani al Papa; si abbracciarono a vicenda, e se ne andarono. Ma appena che giunsero a Costantinopoli, si levò una fiera tempesta nel clero e nel popolo contro di loro, maledicendoli e gridandoli apostati e traditori della fede dei loro avi. Il clero ed il popolo non era a parte della politica, che sola condusse i vescovi col loro principe al Fiorentino Concilio. Il popolo non vedeva in quella unione che l'invilimento della nuova Roma a petto della vecchia;

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i cherici, quello della Bizantina Sedia a fronte della Romana; i monaci le gentilizie ire infiammavano con superstiziosi ingegni. Molti, o che credessero vano il più durarla nella ipocrisia, o che i popolari furori temessero, rinnegarono la data fede della loro unione, e l'opera del Fiorentino Concilio andò miseramente perduta. II. Papa ad ora ad ora si affacciava dalla vaticana rôcca, e con paternali parole, o con legati, o con epistole sforzavasi ritrarre i forsennati animi alla osservanza della giurata unione: ma Iddio aveva acciecato il cuore della greca gente, tratta alla sua finale rovina dalla doppia anatema della scisma e dello spergiuro. - Nell'anno 1 451, Papa

1 Nell'anno 1492 avendo il Metropolitano di Kiew nella Russia interrogato Nifo II patriarca di Costantinopoli di quel che dovesse pensarsi intorno alla unione fermata nel Fiorentino Concilio tra Greci e Latini, il Bizantino rispondevagli: << Scias igitur Synodum illam fuisse legitime congregatam; idque præsentibus illustri imperatore nostro Joanne Palæologo et sanctissimo patriarcha beatæ memoriæ Josepho, non ita pridem ante nos sedente, et vicariis seu legatis fratrum nostrorum patriarcharum, archiepiscoporum et principum Orientalem Ecclesiam repræsentantium, præsente Episcopo Romano cum aliis. Cæterum quia nonnulli gentis nostræ, qui domi remanserant, noluissent decretum unionis amplecti, forte ex odio in Latinos; ideo apud nos confusio et nullus ordo est, quando oves nobis concreditæ imperium et arbitrium in nos usurpant, quorum pervicacia resistere non possumus. » Io reco queste parole del Patriarca in testimonio di quello che hos opra affermato; ed chiarire come i pregiudizii di un popolo guasto, qual era il Bizantino, non poteano in un di svellersi dalla forza dei sinodali decreti di Firenze.

Niccolò V più da profeta che da Vicario di Cristo ammonì per l'ultima fiata la infedele Bizanzio. Uscisse, dicevale, dalle ambagi dell' umana politica; stesse al giurato nella Fiorentina Sinodo; non si avvisasse uccellare la Latina Chiesa con fallacia di parole; con gli occhi fisi a Cristo Signore vedere la perfidia de' greci cuori, e prevedere come la scure fosse già alla radice dell'infruttuosa ficaia; tre anni solo avanzare al pentimento, poscia l'abbattimento ed il fuoco. Nell' undecimo dì dell' ottobre dell' anno 1451 queste cose scriveva Niccola a Costantino XV; e nel decimonono dì di maggio dell' anno 1453 Maometto II inabissava Bizanzio col suo Impero.

XIX. La religione in un popolo non è il frutto dell'educazione dei legislatori, ma la necessità del morale istinto al soprannaturale. Fino a che rimane nel santuario, avvegnacchè fallita dal vizio de' suoi ministri, tribolata dalle eresie, osteggiata dal consiglio dei peccatori, tuttavolta

sempre bastante ai bisogni del popolo che ha sete di credenze. Ma se è tratta fuori dal santuario e trascinata nei conventicoli della politica, il santuario rimane deserto, i sacerdoti inoperosi e stupidi guardiani della vana pompa di un culto che non ha più vita; ed il popolo, non trovando più Dio, per gli anzidetti bisogni, si appiglierà alle immagini, alle reliquie, ai simboli; i quali,

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