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creduta guasta e manomessa appo i Latini. Ricordi il lettore, come alle future malizie del Cerulario pensasse Fozio, allorchè diffinì intorno al Filioque, appuntando i Latini di eresia, perchè credenti nella processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. Quella diffinizione fu la mala sementa che in questo secolo XI dette pessimi germogli.

V. Mentre sul seggio imperiale sedeva Costantino Monomaco con quella Zoe, che fu la Messalina bizantina, venne a morte il patriarca Alessio. Il Monomaco che aveva patito il bando sotto Michele il Paflagonio, volle dargli a successore certo Michele, il quale, avendo cospirato contro questo imperadore, a campare la vita erasi chiuso in un monastero, e vi stava da monaco senza alcun ordine di chericato. Laico com'era, contro i canoni si assise in seggio il Cerulario; e fosse timore che non gli gridasse in capo il Pontefice per quella illecita elezione, fosse impeto di smisurata ambizione da non patire vescovo che il soprastasse, assorse pettoruto non solo contro Roma, ma contro tutta la Occidentale Chiesa. Propizi a' suoi disegni correvano i tempi; con un imperadore infemminito, con un popolo che non sapeva più di Roma e di papi, superstizioso e morto ad ogni generoso pensiero di vera religione, con un episcopato

corrottissimo, Michele poteva fare a sua voglia. I primi anni della sua amministrazione spese a svegliare i vescovi del suo patriarcato per trarli nel suo proposito: facile impresa, perchè il Bizantino Vescovo, dispensiere di cortigiani favori, era per essi meglio che papa. Come e quando dagli apparecchi passasse ai fatti io non so: ma mi penso, che spingesselo alla furibonda scisma una lettera del Patriarca di Antiochia al pontefice Leone IX, e la risposta del medesimo Pontefice. Costui nel salire all' antiocheno seggio volle dare un testimonio della sua soggezione alla papale cattedra, significando al Pontefice la sua elezione, sponendogli la sua professione di fede, e richiedendolo di ammetterlo nella sua comunione.

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Leone IX usciva dal chiostro; 1 ed era uno di quella fortissima generazione di monaci, a capo de' quali andavano come due profeti Ildebrando e Pietro Diamano, tutti figli di San Benedetto. Costoro come avevano coverte le carni del saio della penitenza, così il cuore avevano munitissimo a fronte delle corruttele dell' andato secolo. Erano anime non tocche dalla malizia dei tempi, perchè sequestrate dall'umano consorzio, e corrette dal freno della monastica di

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<< A quo omnia ecclesiastica studia renovata ac restaurata, novaque lux mundo visa est exoriri. » Dialog. Desiderii Abatis.

sciplina. Non concubinato, non simonia contaminava quegli uomini, che poveri, rinchiusi, non avevano che il cielo, cui dirizzavano i desiderii e le speranze dell' anima. Pareva che salmeggiassero e non altro: ma tacite, incessanti andavano per le loro menti, come un fiume, le tradizioni della Romana Chiesa. Esse parlavano ai loro intelletti con la memoria dei Leoni e dei Gregorii, e infocava i loro cuori l'amore della loro virtù: e allorchè vedevano su gli altari il sacrilego barattar che si faceva di Dio col danaio, la brutta indecenza di cherici donnaiuoli, sforzarono gli usci delle badie per uscirne; e per mani monastiche furono spezzate nelle mani dei simoniaci le bilance del mercato; per voce monastica fu rotto il sonno degli addormiti leviti; monastici polsi furono che per lunghi anni dalla papale sedia drizzarono in più benigno mare il timone della Chiesa. E Leone IX, non solamente era uno di questi monaci, ma era sorretto dal consiglio e dalla virtù del magno Ildebrando, che, dopo avere adusati altri nel tirocinio del papato, fu egli stesso massimo dei pontefici. E come uomo che condotto dal magistero delle tradizioni sapeva di qual malore infermasse la Bizantina Chiesa, sapeva dei rimedi di cui la curarono i suoi antecessori, sapeva quel che gli conveniva fare, ridestato che si fosse.

Per la qual cosa, ricevuta che ebbe l'epi

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stola dell' Antiocheno, gliene mandò un'altra, nella quale dopo averlo lodato della docile sua sommissione all' apostolico seggio, e ribadito il dogma del primato della Romana Chiesa, esce in queste parole, forse tenendo l'occhio a Bizanzio: « Dopo la Romana tiene il terzo grado >> di dignità l' Antiochena, la quale dignità noi >> ti esortiamo a tutelare a tutta possa, non a cagione di personale tua gloria, ma per l'an»tica onoranza del seggio su cui a tempo ti as» sidi. Nè ti lasciare stornare dal proposito, dal» l'alterigia e dal fasto di qualcuno, che anzi >> fa di difendere costantemente l' onore che i » Concilii de' santi Padri all' Antiochena Chiesa >> tramandarono. Nella quale opera, se farà me>> stieri, la massima e prima Sede, la Romana, » non sarà mai per mancare a questa sua di» letta figliuola e sorella. A tali esortazioni noi » siamo spinti dal risapere come alcuni si sfor>> zino di scemare l'antica dignità della Chiesa » Antiochena. »

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VI. Colui che intendeva a questo scemamento era certo Michele Cerulario, poichè Leone accenna a chi volesse, per fasto ed alterigia,. stornare Pietro dal difendere la dignità del suo Seggio.

Chi con tanta solennità aveva riconosciuto 1 Epist. V Leonis IX, Mansi, XIX, pag. 660.

la suprema giurisdizione del Pontefice, dovette con pari riverenza accoglierne le lettere, e farne, come era usanza, pubblica lettura nella sua chiesa; e la fama non fu tarda a pervenirne in Costantinopoli. Il Cerulario, posta giù ogni verecondia, senza covrirsi di artifizi e di frodi alla foziana, leva lo stendardo della fellonia contro l'Apostolico Seggio, e ne manda il grido fino in Occidente. Egli se agguagliava Fozio nell' ambizione, gli era da meno nella dottrina e nell'opera di uno scisma che voleva compiere per causa di eresia, di che appuntava i Latini; perciò ayeva mestieri di chi lo sorreggesse. Si ricoprì dell' autorità di Leone metropolitano di Acride nella Bulgaria, usò del perverso senno di certo Niceta soprannominato Pettorato, prete e monaco nel monastero di Studio. A questi diè a scrivere una epistola, che egli e l'Acridano indirizzarono a Giovanni vescovo di Trani nella Puglia; la quale era come un libello di accusa contro la Occidentale Chiesa di pessime costumanze intorno alla religione. Incominciava Michele e l'Acridano dal significare al tranese Prelato come solo la carità e l'amore dell' unione li spingesse a scrivergli quella lettera, che intendevano indirizzata per mezzo suo a tutti i vescovi, sacerdoti, monaci e popoli dei Franchi ed allo stesso reverendissimo Papa. Costoro avvertivano tutta questa gente dello scandalo che

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