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LODOVICO ARIOSTO.

CANZONE.

Composta in nome diGiuliano de' Medici,Duca di Nemorse, a sua moglie Filiberta di Savoja, figlia di Filippo Senzaterra, la quale rimasa vedova, si ritirò in un monistero da lui fabricato.

ANIMA eletta! che nel mondo folle,

E pien d' orror, sì saggiamente quelle
Candide membra belle

Reggi, che ben l'alto disegno adempi

Del Re degli elementi e delle stelle,
Che sì leggiadramente ornar ti volle;
Perch' ogni donna molle,

E facile a piegar negli vizj empj,

Potessi aver di te lucidi esempj;

Che fra regal delizie in verde etade,

A questo d'ogni mal secolo infetto,

Giunta esser può d'un nodo saldo e stretto

Con somma castità somma beltade.

Dalle sante contrade,

Ove si vien per grazia e per virtute,

Il tuo fedel salute

Ti manda, il tuo fedel consorte

Che ti levò di braccio iniqua morte.

Iniqua a te, chè quel tanto quieto,
Giocondo, e al tuo parer felice tanto
Stato, in travaglio e in pianto
T'ha sottosopra ed in miseria vòlto;
A me giusta e benigna, se non quanto
L'udirmi il suon di tue querele drieto
Mi potria far non lieto,

Se ad ogni affetto rio non fosse tolto

Salir qui, dove è tutto il ben raccolto.
Del qual sentendo tu di mille parti
L'una, già spento il tuo dolor sarebbe ;
Ch' amando me, come so ch' ami, debbe
Il mio, più che 'l tuo, gaudio rallegrarti ;
Tanto più ch' al ritrarti

Salva dalle mondane aspre fortune,

Sei certa che commune

L'hai da fruir meco in perpetua gioja,

Sciolta d'ogni timor che più si moja.
Segui pur senza volgerti la via

Che tenuto hai sin qui sì drittamente,
Ch' al cielo e alle contente

Anime altra non è che miglior torni.
Di me t'incresca, ma non altrimente
Che, s' io vivessi ancor, t' incresceria
D'una partita mia,

Che tu avessi a seguir in pochi giorni.

E se qualche e qualch' anno anco soggiorni Col tuo mortal a patir caldo e verno,

Lo dei stimar per un momento breve

Verso quest' altro, che mai non riceve
Nè termine nè fin, viver eterno.

Volga Fortuna il perno

Alla sua rota, in che i mortali aggira;

Tu quel ch' acquisti mira,

Dalla tua via non declinando i passi,
E quel ch' a perder hai, se tu la lassi.
Non abbia forza, il ritrovar di spine
E di sassi impedito il stretto calle
Di farti dar le spalle

Al santo monte per cui al ciel tu poggi,

Sì chè all' infida o mal sicura valle,

Che ti rimane addietro, il piè decline.

Le piagge, e le vicine

Ombre soavi d'alberi e di poggi

Non t'allettino sì, che tu v' alloggi.

Chè se noja e fatica fra gli sterpi

Senti al salir della poco erta roccia,

Non v' hai da temer altro che ti noccia,

Se forse il fragil vel non si discerpi.

Ma velenosi serpi

Delle verdi, vermiglie, e bianche, e azzurre Campagne, per condurre

A crudel morte con insidiosi

Morsi, tra' fiori e l'erba stanno ascosi.

La nera gonna, il mesto e scuro velo,

Il letto vedovil, l' esserti priva

Di dolci risi, e schiva

Fatta di giuochi e d'ogni lieta vista,

Non ti spiacciano sì ch' ancor cattiva

Vada del mondo, e' l' fervor torni in gelo,

C'hai di salir al cielo

Sì chè fermar ti veggia pigra e trista ;

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