Felice Iola! allor che parte 'l giorno, Lasciando i fonti e la frondosa chiostra, La mansueta schiera altrove meni; Poi la richiami all' usato soggiorno, Tosto ch' al nostro cielo il Sol si mostra. Ivi non temi che i dì tuoi sereni, E di dolcezza pieni, Turbi di dolor nebbia o di paura; Dipinge il tuo terren mattino e sera Continua primavera, Nè vi si vede intorno l'aria oscura; Anzi più chiara e temperata luce, E più tranquillo ciel sempre riluce! Marmi, logge, teatri, e gemme, ed oro, E quanti il cieco mondo onora e brama, Contento di te sol odi e dispregi ; Chè non ricchi palazzi di tesoro Riposo danno a chi gli apprezza ed ama; Nè gli alti tetti di superbi regi, Nè gli onorati fregi Hanno sbandite le nojose cure. Sopra un fiorito seggio ad ora ad ora E'l grato mormorar dell' acque pure, Un bel pastor solinga troverai, A cui le chiare fonti invidio, e'l colle, Che mi nasconde e tolle Amor non sazio de' miei lunghi guai ;' Con lui riponti, e fuggi la vil turba Che per soverchie voglie il beu perturba. 124 GIOVANNI DELLA CASA. CANZONE. Il Pentimento. ERRAI gran tempo, e del cammino incerto Misero peregrin, molti anni andai Con dubbio piè sentier cangiando spesso; Nè posa seppi ritrovar già mai Per piano calle, o per alpestro ed erto, Terra cercando e mar lungi e da presso, Tal chè 'n ira e 'n dispregio ebbi me stesso, E tutti i miei pensier mi spiacquer poi, Ch'i' non potea trovar scorta e consiglio. Ahi, cieco mondo, or veggio i frutti tuoi Come in tutto dal fior nascon diversi ! Pietosa istoria a dir quel ch' io soffersi Peregrinando fora; Non già ch' io scorga il dolce albergo ancora, Ma il mio santo Signor con nuovo raggio La via mi mostra; e mia colpa è, s' io caggio. Che tosto ogni mio senso ebro ne fue. O s'altro più di queste uom saggio prezza Dolcezze, Amor, cercava; ed or di due Begli occhj un guardo, or d'una bianca mano Seguia le nevi; e se due trecce d'oro Sotto un bel velo fiammeggiar lontano, O se talor di giovanetta donna Candido piè scopria leggiadra gonna, (Or ne sospiro e ploro) Corsi, com' augel fosse Che d'alto scenda, ed a suo cibo vole. Ne' primi tempi, e cammin torto fei. E per far anco il mio pentir più amaro, Spesso piangendo altrui termine chiesi Delle mie care e volontarie pene, E'n dolci modi lagrimare appresi; E un cor pregando di pietate avaro E talor fu, ch' io 'l torsi; e ben convene De' color atri, e del terrestre limo, Ond' ella è per mia colpa infesta e grave: Che se'l ciel me la diè candida e leve, |