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tosto che dello scrittore dànno il ritratto più vero dell'uomo, che è spesso la parte meno bella di lui ? Cuperem vultum videre tuum quum hæc legeres ', dico a chiunque ha vegliato e sudato onde per via di scritti condursi ad onore. E per parte degli scrittori tutti, di vero cuore mi congratulo coll'autore di tale massima: e tanto più mi congratulerei quanto più egli ne sentisse la verità in sè medesimo. Ma per la riverenza e l'affetto che vuolsi avere a chi benefica e onora l'umanità colle opere dell'ingegno, io dal lato mio, e credo altri non pochi dal loro, ricuseranno d'accettarla per veridica: almeno rispettivamente agli scrittori sommi; i quali sperienza e ragione grida non poter essere tali che anche non siano uomini eccellenti: lo che ci viene dal Giordani medesimo, che ai giovani artisti raccomanda « di onorare nel Canova la virtù, dell' altezza sua non pure compagna, ma cagione: nè si maraviglino s'egli discorre loro quasi più dell' uomo che dell' artista; poichè quello contiene la cagione di questo; e il secolo più abbisogna di quella disciplina che di questa dottrina». Che se qualità d'uomo non ordinarie richiedono ad eminente artista, quanto più ad eminente scrittore! Nel particolare poi del Nostro, per essere egli parimente singolare scrittore che singolare uomo, è bene che anche dell'uomo rimanga ritratto: e poco rileva se operato o da abile artista o da fotografo; purchè renda fedele imagine di chi non potendo avere assai pari, è desiderabile trovi almeno di molti imitatori. Convengo che solo nelle pagine meditate si ha lo scrittore quale vuol mostrarsi al giudizio de' posteri». Ma s'intende mostrarsi in quelle parti che all'uomo è lecito dare sè medesimo a conoscere pubblicamente. Ora come puoi tu narrare ai posteri le proprie virtù domestiche e private? Anzi più che in ciò sarai eccellente, più ti terrai

1 Vorrei vederti in viso quando ciò tu leggessi,

basso. E appunto perchè la posterità può esserne curiosa; e, presa contezza dello scrittore, naturalmente invogliarsi d'avere, per così dire, oculata informazione dell'uomo; debito è de'contemporanei apprestarle i mezzi di soddisfarsi. A chi ci contrappone l'opinione del cinquecentista Montaigne e io oppongo quella di un letterato attuale dell' Accademia francese; il quale esplicitamente dichiara, piacergli più Rousseau nelle Lettere private che nelle Confessioni; per questo appunto che nelle Confessioni, comechè veritiere, l'autore si dà quale vuol essere conosciuto; nelle lettere quale egli è realmente: qui l'uomo della natura; là, fino a un certo segno, quello dell'arte. Lasciamo le leggierezze e i bon-mots oltramontani, che per il cameriere non esistono eroi». Certo è che l'eroe vero (non quello da scena), poichè l'ho riverito ed ammirato negli abiti e atteggiamenti solenni, mi piace contemplarlo e rappresentarmelo amabile eziandio negli usi e andamenti casalinghi: anzi non posso in lui onorare una vera perfezione, se non lo considero e in privato e in pubblico.

«

Dalla quale doppia considerazione, vale a dire dall'esaminare il Giordani e negli scritti solenni e nelle lettere confidenziali; havvi chi voglia tassarlo di contraddire a sè stesso della quale imputazione per altro io non so figurarmi chi mai potesse andare immune, qualora il lettore indiscreto, (a quella guisa che l' indiscreto ascol tatore nella conversazione giornaliera), prescindendo da tutt'altro, appuntasse l'ingegno unicamente a ciò di istituire isolati riscontri di parole a parole. Nelle opere destinate alla pubblicità lo scrittore ha sempre dinanzi agli occhi l'universalità dei lettori, presenti e avvenire; e mette ogni studio ad esprimersi in guisa che tutti comprendano e intendano quelle cotali cose in quel cotal modo: nelle lettere private in vece egli riguarda solamente alla persona cui s'indirizza; nè del rigore della espressione si prende cura, come quei che già sa di venire piena

mente e assennatamente capito. Però il lettore postumo di queste, ove rechi alla lettura animo sincero, deve uscire di sè stesso, tramutarsi in quella persona medesima; e con lei saper rilevare nel foglio e l'espresso e l'adombrato e il sottinteso, e meglio che le materiali parole, l'intimo cuore che le dettò. Una contraddizione poi di giudizi in merito a individui vien necessaria dal non stare gli uomini saldi in una mente e in un operato. Onde chi più è costante ne' proprii principii, più, attesa l'altrui mutabilità, è costretto alterare i giudizi. Alla quale varietà e incostanza (generalmente più riprovata da chi la cagiona) non il solo particolare va sottoposto, ma anche il publico; non essendo forse nelle memorie umane passato, non dirò secolo, ma generazione in cui non siasi udito la voce del popolo, che pure è voce di Dio, ritirare le lodi e voltare i plausi in esacrazioni contro tale cui prima aveva levato a cielo, e bruciato incensi come a una deità: castigo poi questo o vendetta intempestiva e inutile; chè l'infamia è manco sentita da chi più la merita, e di lei si beffa cui rimane fortuna. Ma si fatto variar di giudizi, rispetto a sè, bene spiega il Giordani in diversi passi di sue lettere; tra i quali giova riportare il seguente: Delle maledizioni non curo. Avete fatto benissimo a dirmi tutto; e ditemelo sempre: ma non ve ne turbate. Sappiate che io con tutta franchezza, con tutta sicurezza affermo che non si può dire di me un male vero. Ne inventino quanto vogliano, sapete ancor voi tra le altre le belle invenzioni Ma non si

potrà mai dire ch' io abbia fatto nè una viltà nè una falsità. Io ho sempre detto bene del bene, male del male. Se di Cesari o di qualunque altro, ho detto or bene or male, ho parlato diversamente, secondo la diversità delle loro azioni ». E così pur fosse di tutti questo coraggio di dire liberamente d'ognuno secondo i meriti; che sarebbe forse d'alquanti meno il contrafare così di

leggieri a sè medesimo. Ma nell' umano consorzio l'invidia non lascia lodare le azioni degne; il vigliacco rispetto non biasimare l'indegne: quindi niuno incitamento al buono nè freno al malvagio; incontrando e questo e quello dagli uomini il medesimo trattamento: se pur meglio non succede (e succede quasi sempre) che o naturale simpatia o codarda paura non li faccia più benigni al malefico che all' innocente. Ad esempio poi di contraddizione fra scritto e scritto ricordasi il Ringraziamento alla Ungher, e le Osservazioni che dal riscontro di quello col Panigirico al Canova ne trasse un Parmigiano: le quali (è detto) « dovettero saper d'amaro e ridestare le ire facilmente infiammabili del Giordani ». Quanta e quale sussista analogia tra il panegirico allo scultore divino e il complimento alla valorosa cantatrice, lascio dire a tutti i competenti di giudicare in tali partite. Per me non ne ravviserei altra, se non forse ch' essendo ambedue nella medesima lingua e della stessa penna, vi si riscontrano parole e maniere all' uno e all'altro comuni. Del resto bene rammento avere io stesso allora udito un toscano, giudice di scritti rigidissimo, affermare che tanta somiglianza corre fra que' due componimenti quanta fra un quadro e una caricatura di Rafaello. In quelle amarezze poi e ire del Giordani consiste, per non dir altro, somma ignoranza di fatto: essendo noto oramai a chiunque ed ovunque che questi, il quale secondo sua indole e proponimento non si lasciò mai, in casi letterari, scomporre l'animo a cose più rilevanti; rise poi di gusto a quelle contumeliose avvertenze; in tanto solamente conosciute in quanto egli stesso mandolle ad amici per varie città d'Italia, aggiuntevi di propria mano alla nuda firma un Parmigiano, queste parole: Carlo Nardini Medico men tremendo nelle scritture che nelle ricette. Nè di fatti, dei quali almeno dovrebbe acquistare notizia chi vuol esser giudice, apparisce maggiore scienza là dove tra

i letterati, ai quali fu per vario modo legato il nostro, annoverasi il Foscolo, con cui il Giordani non pati giammai veruna specie di relazione: e come gli rispondesse quando colui nell' 809 lo morse colle stampe copertamente in proposito del panegirico napoleonico, quindi male pentito gli mandò lo stampato con propria lettera a giustificarsi; è detto dal Giordani medesimo in questo presente volume a pagina 318.

Ma peggio che ignoranza di fatti, una certa mala volontà d'interpretarli, argomentando a rovescio non da essi alle parole ma viceversa, dimostrasi in chi sopra frasi parziali di poco più che metà dell'Epistolario (indovinando per virtù d' antiveggenza il resto), rimprovera al nostro autore che si lamentasse della povertà, chiamandosi miserabile anche quando l'impiego gli dava ducento franchi al mese di provvisione; nè paresse a nessuna cosa aspirare più ardentemente, che a prender possesso della paterna fortuna, per cui divenire più agiato, e, se credi alle sue parole, più stimabile e più stimato dagli uomini: poi i pettegolezzi, le vanità, le stizze contro i nemici, le interminabili tenerezze verso gli amici, tutti cari, tutti adorabili e incomparabili, degni insomma di quei titoli che ha inventato il sentimentalismo declamatorio dell' età nostra. Alle quali note sopramisura inique veggo il maravigliare dolente di chiunque fu testimonio della vita del Giordani; e sento in me medesimo il fastidio che ne prova chiunque o gustò i piaceri e le consolazioni della sua amicizia, o godette i frutti di sua largità; non che tutti gli animi delicati e vivi che trascorsero queste lettere, dove continuata mente traluce l' uomo più incarante della ricchezza e del lucro, nell'amicizia affettuosissimo saldissimo operosissimo. Il quale, per quanto amasse e per tutta la vita spontaneo praticasse la povertà, vero è che si dolse della penuria. Ma quando? Non già mentre fruttavagli ducento

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