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Voi quïete tranquilla

Avete, e senza affanno alcun la vita:

Voi non noiosa squilla

Ad altrui danni invita,

Ma, senza guerra mai, pace infinita.

Vita gioiosa e queta,

Quanto t' invidio così dolcc stato!

Chè quel che in te s' acqueta,
Non solo è fortunato,

Ma veramente si può dir beato.

BENEDETTO VARCHI (1502-1565)

Lasciò la Storia di Firenze, sua patria, dal 1527 al 1538; l' Ercolano, nel quale ragionò delle lingue, ed in particolare della toscana; e varie lezioni, poesie, e traduzioni. Ha elocuzione elegante, ma snervata per soverchia prolissità, ed uniforme giacitura de' periodi.

113. Dello scriver breve e del prolisso.

LA brevità genera il più delle volte oscurezza, e la lunghezza fastidio. Ma perchè la prima e principal virtù del parlare è la chiarezza, par che n' apporti men danno l'esser fastidioso. E perciò disse Quintiliano che la brevità che in Sallustio si loda, altrove sarebbe vizio; e Cicerone, che la brevità si può in alcuna parte lodare, ma in un tutto e universalmente, no. Ma vi conviene avvertire, che altro è non dire le cose soverchie, e altro il tacere le necessarie. La buona e vera brevità consiste, non in dir meno, ma in non dir più di quello che bisogna. E a ogni modo è, se non maggior bene, minor male pendere, in questo caso, anzi nel troppo che nel poco; acciò avanzi più tosto alcuna cosa, che ne manchi nessuna. Chi dice più di quello che bisogna, arreca per avventura fastidio

ad altri; ma chi tace quello che tacere non deve, apporta danno a sè stesso. E, per conchiudere, come in tutte l' altre virtù, così in questa si deve eleggere il mezzo; cioè narrare tutto quello che è necessario, e quello il quale è soverchio, tacere. Ma, dovendosi peccare in una di queste due cose, è men dannoso peccare nella lunghezza; non intendendo però di quella asiana o vero asiatica fastidiosa, nella quale fu ripreso Galeno, ma di quella di Cicerone, al quale non si poteva aggiugnere nessuna, come a Demostene cosa nessuna levare si poteva.

GASPARA STAMPA (1523-1554)

Padovana; innamorata di Collaltino, conte di Collalto, compose per lui la piupparte delle sue rime; ma oppressa di poi da dolore e da pentimento, morì nel fior dell' età.

114. A Collaltino, de' conti di Collalto.

DEH! lasciate, signor, le maggior cure,
D' ir procacciando in questa età fiorita,
Con fatiche e periglio de la vita,

Alti pregi, alti onori, alte venture.

E in questi colli, in queste alme e sicure
Valli e campagne, dove amor n' invita,
Viviamo insieme vita alma e gradita,
Fin ch' il sol de' nostr' occhi al fin s' oscure.
Perchè tante fatiche e tanti stenti

Fan la vita più dura; e tanti onori
Restan per morte poi subito spenti.

Qui coglieremo a tempo e rose e fiori
Ed erbe e frutti; e con dolci concenti
Canterem con gli uccelli i nostri amori.

BENVENUTO CELLINI (1500-1570)

Orefice e scultore Fiorentino. "Non abbiamo alcun libro nella nostra lingua tanto dilettevole a leggersi, quanto la vita di quel Benvenuto Cellini, scritta da lui medesimo nel puro e pretto parlare della plebe fiorentina."— Baretti. I trattati dell' Oreficeria e della Scultura sono molto pregiati dagl' intendenti delle belle arti.

115. Nel fondere la statua del Perseo.1

Così soprastato due ore con questo gran combattimento di febbre, e di continuo io me la sentivo crescere, e sempre dicendo: Io mi sento morire; la mia serva che governava tutta la casa, che aveva nome Mona Fiore da Castel del Rio, questa donna era la più valente che nascesse mai, soltanto la più amorevole, e di continuo mi sgridava che io mi ero sbigottito, e dall' altra banda mi faceva le maggiori amorevolezze di servitù, che mai far si possa al mondo. Imperò, vedendomi con così smisurato male e tanto sbigottito, con tutto il suo bravo cuore lei 2 non si poteva tenere, che qualche quantità di lagrime non le cadesse dagli occhi; e pure lei, quanto poteva, si riguardava che io non lo vedessi.

Stando in queste smisurate tribulazioni, io mi veggo entrare in camera un certo uomo, il quale nella sua persona ei mostrava di essere storto come una esse maiuscola; e cominciò a dire con un certo suon di voce mesto, afflitto, come coloro che danno il comandamento dell' anima a quei che hanno andare a giustizia 3, e disse: O Benvenuto, la nostra opera si è guasta, e non ci è più un rimedio al mondo. Subito che io sentii le parole di quello sciagurato, messi un grido tanto smisurato, che si sarebbe

1 Sta in Piazza del Granduca a Firenze.

? Ella.

3 Che han da andare al patibolo.

sentito dal cielo del fuoco; e sollevatomi dal letto presi i miei panni mi cominciai a vestire, e le serve e il mio ragazzo e ognuno, che mi si accostava per aiutarmi, a tutti davo o calci, o pugna, e mi lamentavo dicendo: Ahi, traditori invidiosi! questo si è un tradimento fatto ad arte; ma io giuro perdio, che benissimo io lo conoscerò, e innanzi che io muoia lascerò di me un tal saggio al mondo, che più d' uno ne resterà meravigliato.

Essendomi finito di vestire, mi avviai con cattivo animo inverso bottega, dove io vidi tutte quelle genti che con tanta baldanza avevo lasciate, che tutti stavano attoniti e sbigottiti. Cominciai e dissi: Orsù intendetemi; e dappoichè voi non avete o saputo o voluto ubbidire al modo che io v'insegnai, ubbiditemi ora che io sono con voi alla presenza dell' opera mia, e non sia nessuno, che mi si contrapponga, perchè questi cotai casi hanno bisogno d' aiuto, e non consiglio. A queste mie parole e' mi rispose un certo maestro Alessandro Lastricati, e disse: Vedete, Benvenuto, voi vi volete mettere a fare un' impresa, la quale mai non lo promette l'arte, nè si può fare in modo nessuno. A queste parole io mi rivolsi con tanto furore e risoluto al male, ch' ei e tutti gli altri, tutti a una voce dissono1: Su, comandate, che tutti vi aiuteremo tanto quanto voi ci potrete comandare, in quanto si potrà resistere con la vita. E queste amorevoli parole, io mi penso, ch' ei le dicessino, pensando che io dovessi poco sopra

stare a cascar morto.

Subito andai a veder la fornace, e vidi tutto rappreso il metallo; la qual cosa si domanda l' essersi fatto un migliaccio. Io dissi a due manovali, che andassino 3 al dirimpetto, in casa il Capretto beccaio, per una catasta di legno o di querciuoli giovani, che erano secchi di più d' un anno, e venute che furono le prime bracciate, cominciai a empiere la braciaiuola. E perchè la quercia di quella

1 Dissero.

2 Dicessero.

3 Andassero.

sorte fa il più vigoroso fuoco, che tutte l' altre sorte di legne, oh! quando quel migliaccio cominciò a sentire quel terribil fuoco, ei si cominciò a schiarire, e lampeggiava.

:

...

Dipoi che io ebbi dato il rimedio a tutti questi gran furori, con voce grandissima dicevo ora a questo, ed ora a quello porta qua, leva là. Di modo che, veduto che il detto migliaccio si cominciava a liquefare, tutta quella brigata con tanta voglia mi ubbidiva, che ognuno faceva per tre. Allora io feci pigliare un mezzo pane di stagno, il quale pesava incirca a sessanta libbre, e lo gettai in sul migliaccio, dentro alla fornace, il quale con gli altri aiuti e di legna e di stuzzicare or con ferri ed or con stanghe, in poco spazio di tempo ei divenne liquido. Or veduto di avere resuscitato un morto, contro al credere di tutti quegli ignoranti, e' mi tornò tanto vigore, che io non mi avvedevo se io avevo più febbre, o più paura di morte.

In un tratto e' si sente un rumore, con un lampo di fuoco grandissimo, che proprio pareva che una saetta si fosse creata quivi alla presenza nostra; per la quale insolita spaventosa paura ognuno s'era sbigottito, ed io più degli altri. Passato che fu quel grande rumore e splendore, noi ci cominciammo a rivedere in viso l'un l'altro; e veduto, che il coperchio della fornace si era scoppiato, si era sollevato di modo che il bronzo si versava, subito feci aprire le bocche della mia forma, e nel medesimo tempo feci dare alle due spine; e veduto che il metallo non correva con quella prestezza ch' ei soleva fare, conosciuto che la causa forse era per essersi consumata la lega per virtù di quel terribil fuoco, io feci pigliare tutti i miei piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa a dugento, e a uno a uno io li mettevo innanzi a' miei canali, e parte ne feci gettare dentro nella fornace. Di modo che, veduto ognuno che il mio bronzo s' era benissimo fatto liquido, e che la mia forma si empieva, tutti

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