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che li cominciò, e dicono essi. E sicuramente che eglino fanno venir voglia altrui di azzuffarsi con esso loro; perciocchè, se tu guardi bene, niuna cosa move l' uomo più tosto ad ira, che quando improvviso gli è guasto la sua voglia e il suo piacere, eziandio minimo: siccome quando tu avrai aperto la bocca per isbadigliare, e alcuno te la tura con mano; e quando tu hai alzato il braccio per trarre la pietra, e egli t' è subitamente tenuto da colui che t'è di dietro. Così adunque come questi modi, e molti altri a questi somiglianti, che tendono ad impedir la voglia e l' appetito altrui, ancora per via di scherzo e per ciancia1, sono spiacevoli e debbonsi sfuggire, così nel favellare si dee piuttosto agevolare il desiderio altrui, che impedirlo. Per la qual cosa, se alcuno sarà tutto in assetto di raccontare un fatto, non istà bene di guastarglielo, nè di dire che tu lo sai; o se egli anderà per entro la sua istoria spargendo alcune bugiuzze, non si vuole rimproverargliele, nè con le parole nè con gli atti, crollando il capo o torcendo gli occhi, siccome molti soglion fare, affermando sè non potere in modo alcuno sostenere l'amaritudine della bugia. . . .

Nè quando altri favella si conviene di fare che egli sia lasciato e abbandonato dagli uditori, mostrando loro alcuna novità, e rivolgendo la loro attenzione altrove; che non istà bene ad alcuno licenziar coloro che altri, e non egli, invitò. E vuolsi stare attento quando l' uom 2 favella, acciocchè non ti convenga dire tratto tratto eh? o, come? il qual vezzo sogliono avere molti, e non è ciò minore sconcio a chi favella, che lo intoppare ne' sassi a chi va.... E se alcuno sarà pigro nel favellare, non si vuol passargli innanzi, nè prestargli le parole; comechè tu ne abbi dovizia ed egli difetto.

Ma come il soverchio dire reca fastidio, così reca il soverchio tacere odio; perciocchè il tacersi colà dove gli

1 Celia.

2 Uno.

altri parlano a vicenda, pare un non voler mettere su la sua parte dello scotto1; e perchè il favellare è uno aprir l'animo tuo a chi t' ode, il tacere, per lo contrario, pare un volersi dimorare sconosciuto.

111. Del moderare la voce.

La voce non vuole essere nè roca, nè aspra. E non si dee stridere, nè per riso o per altro accidente cigolare, come le carrucole fanno. Nè, mentre che l'uomo sbadiglia, pur favellare. Ben sai che noi non ci possiamo fornire nè di spedita lingua, nè di buona voce a nostro senno. Chi è scilinguato o roco, non voglia sempre essere quegli che cinguetti, ma correggere il difetto della lingua con silenzio e con le orecchie: e anco si può con istudio scemare il vizio della natura. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore, nè anco si dee favellare sì piano, che chi ascolta non oda. E se tu sarai stato udito la prima volta, non dei dir la seconda ancor più piano, nè anco dei gridare; acciocchè tu non dimostri d' imbizzarrire, perciocchè ti sia convenuto quello che tu avevi detto. Non parlerai sì lento come svogliato, nè sì ingordamente come affamato; ma come temperato uomo dee fare. Profferirai le lettere e le sillabe con una convenevole dolcezza, non a guisa di maestro che insegni leggere e compitare ai, fanciulli. Nè anco le masticherai nè inghiottiralle 2 piccate e impiastricciate insieme l' una all' altra.

ap

'Ciò che ciascuno dee pagare per sua quota di pranzo, celia o diporto.

2 Le inghiottirai.

BERNARDO TASSO (1493-1569)

Di antica famiglia Bergamasca. Scrisse l' Amadigi, poema in cento canti in ottava rima, molte Lettere e Rime. Sposò Porzia de' Rossi, napoletana, dalla quale ebbe Torquato.

112. Felicità della vita pastorale.

O PASTORI felici,

Che d' un picciol poder lieti e contenti,
Avete i cieli amici,

E lungi dalle genti

Non temete di mar ira o di venti!

Noi vivemo1 alle noie

Del tempestoso mondo ed alle pene;
Le maggior nostre gioie,

· Ombra del vostro bene,

Son più di fel che di dolcezza piene.
Mille pensier molesti

Ne porta in fronte il dì dall' orïente;
E di quelli e di questi

Ingombrando la mente,

Fa la vita parer trista e dolente.

Mille desir noiosi

Mena la notte sotto alle fosch' ali,

Che turban i riposi

Nostri, e speranze frali,

Salde radici d' infiniti mali.

Ma voi, tosto che l'anno

Esce col sole dal monton celeste, 2

E che del fero inganno

Progne con voci meste

Si lagna, e d' allegrezza il dì si veste,

1 Viviamo.

2 Costellazione dell' ariete, nella quale entra il sole il 21 marzo.

3 La rondine.

All' apparir del giorno

Sorgete lieti a salutar l' aurora;

E il bel prato d' intorno

Spogliate ad ora ad ora

Del vario fior che il suo bel grembo onora;

E inghirlandati il crine

Di più felici rami, gli arboscelli

Nelle piagge vicine

Fate innestando belli,

Ond' innalzano al ciel vaghi i capelli;

E talor maritate

Ai verd' olmi le viti tenerelle,

Ch' al suo collo appoggiate,
E di foglie novelle

Vestendosi, si fan frondose e belle.

Poichè alla notte l'ore

Ritoglie il giorno, dal securo ovile
La greggia aprite fuore,

E con soave stile

Cantate il vago e dilettoso aprile;

E in qualche valle ombrosa,
Ch' a raggi ardenti di Febo s' asconde,
Là dove Eco dogliosa

Sovente alto risponde

Al roco mormorar di lucid' onde,

Chiudete in sonni molli

Gli occhi gravati. Spesso i bianchi tori

Mirate per li colli,

Spinti da' loro amori,

Cozzar insieme; e lieti ai vincitori

Coronate le corna,

Onde si veggion più superbi e feri

Alzar la fronte adorna,

E gir in vista alteri,

Come vittoriosi cavalieri.
Spesso, da poi che cinta

Di bionde spiche il crin, la state riede,
Con l' irta chioma avvinta

Di torta quercia, il piede

Vago movendo con sincera fede,
In ampio giro accolti,

1

La figlia di Saturno alto chiedete,

E con allegri volti,

Grati, come dovete,

L'altar del sangue a lei caro spargete.
Sovente per le rive,

Con le vezzose pastorelle a paro,
Sedete all' ombre estive,

E, senza nullo amaro, 2

Sempre passate il dì felice e chiaro.

A voi l'autunno serba

Uve vestite di color di rose,

Pomi la pianta acerba,

Mele l'api ingegnose,

Latte puro le pecore lanose.

Voi, mentre oscuro velo

Il nostro chiaro ciel nasconde e serra,

Mentre la neve e il gelo

Alle piagge fa guerra,

Lieti de' frutti della ricca terra,

Or col foco, or col vino,

Sedendo a lunga mensa in compagnia,

Sprezzate ogni destino;

Nè amore o gelosia

Dagli usati diletti unqua vi svia.

Or tendete le reti

Alla gru pellegrina, alla cervetta ;

Or percotete lieti

Con fromba o con saetta

La fuggitiva damma e semplicetta.

1 Cerere, dea dell' agricoltura.

2 Alcuna amarezza.

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