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ANTON MARIA PEROTTI.

Alta è già l'urna su l'Insubra sponda,
Inciampo dell' uman fasto e spavento,
Pietà vi piange sopra, e la circonda
L'inconsolabil pubblico lamento:

A coronarla di lugubre fronda
Con le tremole mani Amore è intento;
A versarvi la pura e lustral onda
Ecco movon le Grazie a passo lento.

Gloria (ah, non già la mentitrice e vana!) Questo titolo accenna, che le piacque Scriver nel marmo ad ogni età lontana :

Giace una Donna qui, che grande nacque, Visse più grande, e con virtù sovrana Delle grandezze sue la maggior tacque.

GIAMBATTISTA COTTA.

Nume non v'è, dicea fra sè lo stolto, Nume non v'è che l'universo regga; Squarci l'empio la benda, ond'egli è avvolto, Agli occhi infidi, e, se v'ha Nume, ei vegga.

Nume non v'è? verso del ciel rivolto Chiaro il suo inganno in tante stelle ei legga; Speglisi, e impresso nel suo proprio volto Ad ogni sguardo il suo Fattor rivegga.

Nume non v'è? de' fiumi i puri argenti, L' aer che spiri, il suolo ove risiedi, Le piante, i fior, l'erbe, l'arene, ei venti,

Tutti parlan di Dio; per tutto vedi Del grand'esser di Lui segni eloquenti: Credilo, stolto, a lor, se a te nol credi.

Io vidi un dì che in luminosa vesta Dal soglio eterno il soмMO Dio movea, E foco struggitor d'ampia foresta Il suo chiaro sembiante a me parea:

Torbido nembo, e fiera atra tempesta Orribilmente intorno a lui fremea, Mentre dal ciel in un sol passo in questa Così lontana terra egli scendea.

Com' arbor trionfal, che d'anni carco Stassi di Lidia in sul terren fecondo, E cede sotto il glorioso incarco;

Così del piè divino al grave pondo L'eccelse sfere si piegaro in arco, Es' incurvaro i portator del mondo.

Sovra splendido trono d' adamante,
Cinto d'intorno d'orride tenebre,
IDDIO scendeva, e folte nubi e crebre,
L'ale stendean sotto l'eterne piante :

Stringea dell'ire sue l'aureo fumante Vaso, ond' han morte inique turbe ed ebre: Il vide l'empio, e'n chiuse erme latebre Fuggì d' alpina balza egro e tremante;

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Ma invan: chè Dro con fier tremuoto aperse L'alta montagna, e in cupo antro profondo L'empio, qual fiera in suo covil, scoperse;

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E minaccioso sovra il capo immondo

Versò l' ire immortali, e vel sommerse: Poi chiuse il monte, e'l seppelli nel fondo.

Comp. Lir. IV.

28

AGOSTINO SPINOLA.

In parte, ove non fia ch'uom lieto passi, Guidommi un giorno un mio strano pensiero, Giorno felice, in cui m' apparve il vero Lume che scorge ed assicura i passi:

Là vidi, donde ad alta rupe vassi
Per erto calle e ruvido sentiero,
Vidi la chiusa ferrea porta, e il nero
Lago ch'intorno a lei torbido stassi.

Udii là dentro gravi urli e lamenti,
E un lungo strascinar ceppi e catene,
Qual fanno al remo condannate genti:

Scritto era in sulla soglia; Amor ritiene In questo carcer mille alme dolenti, E le sue chiavi in grembo a morte ei tiene.

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