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sare, con crgerebbe una discussione completa degr articoli del Diritto Canonico che la codificano. Ma ai nostri scopi è sufficiente il già accennato.

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Quanto al senato della Chiesa, basti dire ch'esso è meramente decorativo e funzionalmente inefficiente a tutti gli effetti. Risiedendo i due terzi dei suoi membri fuori Roma, i pochi cardinali di Curia o vescovi delle diocesi suburbicarie (ma naturalmente residenti a Roma) smistano con parsimoniose delibazioni il lavoro dei rispettivi dicasteri dividendo il resto del loro tempo a condecorare «< con lo splendore della sacra porpora » ora un ricevimento diplomatico ora una conferenza ora una delle innumerevoli funzioni che le Chiese di Roma non si stancano di riproporre ai loro scarsi fedeli. Una modestamente onorifica e agiata vita da pensionati, insomma, che rompe il grigiore servile delle precettate prestazioni di corte con qualche estemporanea ma lusingante missione legatizia in Italia o all'estero. Niente, come si vede, di più innocuo.

I privilegi di Curia esigevano sino a pochi anni fa che l'individuo salito per tutti i gradini del suo ministero coronasse le sue fortune di carriera (spesso dovute a morti provvidenziali) col trofeo del cappello cardinalizio. A questo metodo, oltre che al «< nepotismo » dei pontefici (particolarmente spiccato quello di Pio XI), si dovevano, e in parte si devono, le presenze più assurde di certi mediocrissimi parvenus tra le massime dignità della Chiesa. Fortunatamente Pio XII ebbe il coraggio di spezzare questa dannosissima tradizione aprendo mag

giormente l'ingresso al cardinalato

itano il poclero pastorale, facilitato dall'intento di ang anche internazionalisticamente il reclutamento dei senatori ecclesiastici. Rimane la piaga del nepotismo (non più, s'intende, almeno in questo settore, in senso stretto), ma quella è inerente alla papocrazia e quindi insanabile.

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Il vero peso del reggimento della Chiesa nelle sue innumerevoli circoscrizioni si addossa, invece, sulle spalle dei Vescovi. E bisogna riconoscere che l'episcopato cattolico è, nel complesso in Italia certo meno che altrove, ma per ovvie ragioni (1) la forza qualitativamente più cospicua di cui possa andar fiera la Chiesa romana. Non che non abbia anch'esso le sue ombre e le sue macchie (membri <«< inutili » e talora persino nocivi, tra cui non pochi transfughi, come nei paesi d'oltre cortina) o che sia in ogni individuo egualmente eccellente e rappresentativo; ma, come corpus, è senz'altro una realtà imponente e formidabile, tale, anzi, da non temer confronti con quello di nessun'altra confessione o religione.

La scelta dei suoi membri, a parte i soliti favoritismi e le solite camarille da cui non si salverà mai alcuna associazione umana, è condotta, in ge

(1) I Vescovi residenziali (o diocesani) in Italia sono oltre trecento, cioè quasi quanto quelli di tutta l'Europa messi insieme. Le tradizioni storiche hanno certo un peso, ma non tale però da giustificare un pastorale per ogni campanile (le diocesi che contano dalle 10 alle 50 parrocchie prese, s'intende, quelle del capoluogo non si contano).

com

sa ere, con criteri di rigida e illuminata selezione. de senz'altro giova allo scopo il numero limitato delle sedi residenziali dei vari paesi, il quale obbliga quasi fatalmente all'elezione dei candidati più idonei e preparati. Forse sarebbe ideale una più frequente rotazione dei soggetti nelle varie diocesi, ma sopratutto dovrebbe essere attuato un tempestivo rinnovamento « per raggiunti limiti di età ». In epoche patriarcali o quasi, come le antiche, era più che naturale cercare nella esperienza e nella saggezza degli anni i pastori delle diocesi; ma in un'epoca dinamica come l'attuale, con un ritmo di lavoro che consuma anche le costituzioni più robuste, un vescovo non è più efficiente, generalmente, dopo i 65 anni e sarebbe opportunissimamente sostituito (la soluzione dei vescovi coadiutori è risultata fallimentare nella più parte dei casi) da un successore più giovane e altrettanto dotato. Senza dire che l'adeguamento ai tempi richiede una mentalità tutt'altro che preformata o pregiudizialmente avversa a novità metodiche o ideologiche.

Infine, è da deplorare che l'episcopato cattolico viva in uno stato di isolamento nazionale, quando non regionalistico, assolutamente negativo ai fini dell'apostolato. Se c'è una lezione ch'esso dovrebbe raccogliere dai suoi antichi confratelli del II e III secolo è proprio quella delle frequenti visite ch'essi si facevano di sede in sede, di paese in paese, spesso da un capo all'altro dell'impero « per confortarsi nella fede », come usavan dire, e per discutere sulle esperienze dell'evangelizzazione e sui metodi da essa suggerite. Obbiettare che oggi l'informazione per mezzo della stampa abolisce questa necessità

è puerile, perchè una constatazione de visu è di ben altra efficacia d'un semplice rapporto scritto (quando, ben inteso, è letto!). Incontri singoli o a gruppi, oltre che provocare il più opportuno ragguaglio ed aggiornamento, servirebbero a favorire maggiormente la conoscenza dei problemi morali, sociali e politici propri dei vari paesi e a impedire il ridicolo di prese di posizione dell'episcopato d'una nazione diametralmente opposte a quello d'un'altra a proposito dello stesso e identico problema. E ciò sarebbe tanto più utile e urgente in quanto i concili, dalla sospensione di quello Vaticano nel '70 per protesta dell'occupazione di Roma, sembrano ormai obliterati nella prassi della Chiesa. Forme sostanzialmente democratiche, esse fanno paura a un regime che proprio in questo ultimo secolo s'è sempre più andato assolutizzando. Più che naturale, quindi, che la Curia ne faccia volentieri a meno e preferisca i sinodi o le conferenze episcopali di cui del resto controlla oculatissimamente (tra l'altro con la presenza dei Nunzi) l'andamento, gli umori e i resultati.

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Alla parte discente e non alla docente, e quindi non alla gerarchia vera e propria appartengono i sacerdoti, sia secolari che religiosi, in quanto il loro ministero è partecipazione straordinaria e limitata a quello ordinario dei Vescovi. Tuttavia preferiamo accennarne qui, perchè in effetti essi esercitano nella Chiesa un magistero e una giurisdizione che li investe di funzioni autenticamente, per quanto subordinatamente, direttive.

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Dei primi e cioè dei sacerdoti secolari biamo scritto sufficientemente in un altro volume di questa collezione e non val la pena di ripeterci. In genere, il clero si è molto migliorato da un secolo ad oggi, anche perchè si è molto assottigliato di numero. I fattori che hanno condotto a una riduzione all'estremo dei suoi membri sono molteplici : dalla diminuita fede delle masse al minacciato prestigio sociale e dalle deflazionate provvigioni economiche, di cui prima era gratificato, alle maggiori esigenze e alle più severe riforme imposte dall'autorità ecclesiastica. Tuttavia la sua preparazione nei seminari lascia ancor molto a desiderare perchè retta tuttora da pregiudizi impossibili contro i contatti più elementari con la vita che i futuri sacerdoti debbono necessariamente intrattenere prima di assumere la responsabilità delle rinunce che una missione come la loro impone. Ma anche la preparazione culturale, benchè molto migliorata nell'ultimo trentennio, avrebbe bisogno di importanti riforme, specialmente per quanto riguarda le scienze sacre. Anzitutto essa manca di organicità, ma anche più di vitalità. I trattati teologici continuano ad essere dei capitoli completamente conclusi e incomunicanti, i quali non legano tra loro che artificialmente, mancando di un unico punto focale da cui traggano ispirazione e calore comuni, e si giustappongono materialmente l'uno all'altro senza collegarsi osmoticamente con scambi vitali di umori: in una parola, si è ancora allo stadio della enciclopedia teologica e non alla sintesi. Ma l'aridità di questi trattati è anche più impressionante. Qualcuno ha definito la teologia come la progrediente illuminazione

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