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so comune direbbe che degli entusiasti, che si riuniscono solo attraverso il loro comune entusiasmo per un capo che amavano, non si precipiterebbero a deliberare cose da lui odiate ». Nella soffitta della Pentecoste non fu infatti consumato nessun tradimento da parte dei Dodici contro il loro Maestro (sebbene sia proprio l'amore, in simili casi, a giocare i peggiori scherzi, e la storia d'ogni sodalizio sorto dalle ceneri d'un grande lo testimonia), ma ciò avvenne soltanto perchè Cristo stesso s'era impegnato, nei limiti del possibile (anche Dio ha i suoi limiti: le libere volontà degli uomini !), a precedere i loro disegni.

Non c'è dubbio, insomma, che Cristo volle una Chiesa. Ma il dubbio più legittimo (e quale dubbio) incomincia proprio quando ci si chiede se è veramente questa la Chiesa da lui voluta. Niente di più facile, infatti, che gli uomini, anche meglio intenzionati e più zelanti in fedeltà, abbiano inconsciamente attraversato, paralizzato o fuorviato i suoi disegni. E a chi legge senza preconcetti i Vangeli tale dubbio finisce per imporsi come una certezza. La Chiesa nell'ideale di Cristo doveva sopratutto essere un'atmosfera spirituale di riconosciuta fratellanza umana sotto gli occhi del Padre celeste; un bisogno e insieme un'esperienza di comunione amorosa e religiosa del suo complesso; e naturalmente anche una comunità con le sue guide morali, le sue norme, i suoi riti, ma in una sconfinata latitudine di libertà e di originalità sotto il soffio dello Spirito Santo. E come la prima comunità dei figli di Dio aveva vissuto unita a Lui sotto l'aperto cielo di Palestina, fuori di qualunque norma statu

taria, assolutamente estranea (e pur, nel viver civile, puntualmente sottomessa e cooperante alla legittima autorità) a compromessi profani, politici o d'altro tenore, così le successive avrebbero dovuto continuare a trovare in Lui e in Lui solo il perno vivente e la forza propulsiva per vigoreggiare ed espandersi.

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C'è nell'odierna teologia, una sottile e feconda distinzione (agevolissima, naturalmente, a prestarsi ai cavilli e alle scappatoie) a proposito appunto della Chiesa quella tra la sua « anima » e il suo «< corpo». La prima sarebbe il suo elemento spirituale, svincolato, per così dire, da tutte le sue concretizzazioni e incrostazioni terrene; il secondo, invece, il complesso della sua armatura fisica, necessario per rendersi sensibile e distinguersi tra tutte le altre organizzazioni e società similari di quaggiù. Ebbene, una legge fatale alla Chiesa come a tutte le altre forme associative terrene ha fatto sì che il suo progresso materiale imponesse un sempre più oneroso e impacciante affardellamento alle sue spalle e ne disseccasse progressivamente ma inesorabilmente lo spirito in un burocratismo imponente certo, ma affatto evangelico.

Conosciamo già i motivi lirico-patetici che l'apologetica spicciola è pronta a manovrare contro questa nostra osservazione. Che la Chiesa, cioè, come nessun altro regno e impero, ha dalla sua duemila anni di storia; che è sopravissuta non solo alla guerra ma alla pace; non solo alle sue stesse debolezze, ma persino alle sue rese; ch'essa è più

che mai giovane nella sua virile maturità. Tutto ciò, in fondo, non fa difficoltà alla nostra osservazione. E, del resto, poteva accadere diversamente? Una religione non è un regime politico, legato, nei suoi successi come nelle sue crisi e nelle sue disfatte, a fattori temporali economici sentimentali, tutti estremamente mutevoli; una religione è ancorata alle aspirazioni e ai valori eterni e trascendenti, a quello cioè che è naturalmente superstite anche nei più rovinosi crolli delle civiltà terrene e a cui anzi, quand'essi si producono, l'uomo ancor più fanaticamente si abbarbica. E che così sia lo provano le età di tutte le religioni, tra cui il cristianesimo, e non è certo colpa sua, non ha senz'altro il primato della longevità massima.

E ammettiamo anche i ben più gravi pericoli interni delle eresie e degli scismi, corsi dalla Chiesa nella sua lunga storia. Chesterton ha scritto immaginificamente a proposito: «Quando la fede emerse nel mondo, come primissima cosa le capitò di esser presa in una specie di turbine di sette mistiche e metafisiche, principalmente orientali, come una sola ape dorata colta in uno sciame di vespe. Un comune osservatore poteva non trovarci gran differenza, niente più che un ronzìo generale: e infatti non c'era differenza, in quanto riguardasse i pungiglioni e le punture. La differenza era questa che solo l'insetto d'oro in tutta quella polvere roteante ebbe la forza di procedere e fare alveari per l'umanità, di dare al mondo il miele e la cera... » (1). Suggestivissimo paragone, ma a cui man

(1) Ne L'uomo eterno.

ca soltanto di riflettere l'autentica realtà storica. Giacchè molto più vero (ma a che pro allora usarlo?) sarebbe stato il dire che quello sciame di vespe non s'avventò affatto, poco gloriosamente, contro una fragile e solitaria ape d'oro, bensì ardì di molestare la tranquilla crescita d'un aquilotto già provato al volo. E in realtà le crisi più gravi fu rono attraversate dalla Chiesa al momento delle invasioni barbariche, nei secoli di ferro e allo scoppio della Riforma. Ma nel primo e nell'ultimo caso essa fu salvata dalle particolari situazioni politiche; nel secondo dai suoi stessi fedeli sollevatisi contro l'ignominia della Curia simoniaca e sodomitica. Nella storia non ci sono miracoli: c'è, tutt'al più, e possiamo umilmente accordarlo tutti, la nostra ignoranza a calcolare le componenti delle forze che vi agiscono. E, in questo senso, il metro del miracolo vale anche per gli eventi profani; ma allora, evidentemente, non si tratta più di miracolo vero e proprio. E l'appigliarvisi non è il ritrovato apologetico più consigliabile.

Ma agli apologeti professionali avviene spesso, e lo diciamo senza avanzar dubbi sulla loro buona fede, di confondere le entità che intendono difendere. Così, affermazioni come le seguenti: «< il cristianesimo è morto più volte ed è sempre risorto, perchè aveva un Dio che sapeva la strada per uscire dal sepolcro », « il cristianesimo sarebbe perito se fosse stato perituro. Tutto quello che c'era di perituro cadeva », « l'Europa è stata messa più volte sottosopra, e alla fine di ognuno di questi capovolgimenti la religione si è sempre ritrovata sulla cima. La fede ha convertito tutte le epoche, non

come religerser vecchia ma come religione nuova » (1) essi le considerano valide per testimoniare la perennità e l'inconsutile giovinezza della Chiesa cattolica. Mentre, evidentemente, quel che va dimostrato è proprio questa identità tra Cristianesimo e Chiesa cattolica.

Noi, comunque, non vogliamo qui sostenere che la Chiesa cattolica non sia la Chiesa che Cristo ha fondato o che essa abbia sostanzialmente aberrato dall'ideale del suo Fondatore. Noi sosteniamo soltanto che lo ha dolorosamente sfigurato e compromesso attraverso un processo febbrile e inconsulto di burocratizzazione. E in questo senso la nostra critica non si volge molto a ritroso nel tempo, ma si limita soprattutto all'ultimo secolo.

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La Chiesa, è ovvio, fu sempre, più o meno, un complesso elefantiaco di competenze e di dicasteri. E in essa, si assommò spesso, proprio per quel prevalere d'interessi tecnici e materiali, la corruzione più classica. Ma il fatto che, sino al 1870, sia sempre stata la centrale politica di un vero e proprio stato, giovò indubbiamente alla laterale missione religiosa che pur entrava nelle sue competenze. Infatti, se nei momenti d'invasamento politico essa dimenticava il suo compito essenziale e lo subordinava, pur sciorinandolo come la ragione del proprio essere e del proprio agire, ai suoi successi temporali, lo Spirito aveva campo libero di spaziare e d'influire sulle membra in cui sponta

(1) Op. cit.

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