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e « Il di sesto d'april ne l'ora prima»; che non era vero de' versi, ma era vero dell' esemplare antico; secondo il quale egli nel son. Amor con la man destra avea riposto in luogo di abito gentile, errore dell'edizione aldina, abito celeste, «< come nel sopradetto volume si trova scritto »; che è vero: e se ne inferisce che il Dolce aveva veduto presso il Bembo l'original petrarchiano da lui acquistato nel 1544. Il quale per altro non può aver servito all'edizione aldina 1501.

A' 26 giugno del 1501 il Collegio di Rialto della repubblica di Venezia concedeva privilegio della stampa per dieci anni a sier Carlo Bembo di sier Bernardo dottore e cavaliere, il quale, scoperti un Petrarca e un Dante << scripti di mano propria de ipsi Petrarcha et Dante », « per esser correctissimi », ne voleva fare un'edizione. Carlo Bembo è il fratello di Pietro, cui morto nel 1503 egli pianse lungamente nella canzone Alma cortese; e il privilegio fu dato per Le cose volgari di m. F. P. impresse da Aldo nel luglio del 1501 e per le Terze Rime di Dante impresse pur da Aldo nell'agosto del 1502. Ora tra i manoscritti di Pietro Bembo che Fulvio Orsini acquistò dal figlio di lui Torquato nel marzo 1582 e che dall' Orsini passarono alla Vaticana nel 1600 v'è, sotto il numero 3197, un manoscritto cartaceo, che tutto di carattere di m. Pietro contiene il Canzoniere e i Trionfi del P. e la Commedia di Dante: questa porta inscritta la notizia che fu cominciata a copiare il 6 luglio 1501 e fu finita il 26 luglio 1502. Ora, come la copia della Commedia mandata ad Aldo foglio per foglio servi alla stampa delle Terze Rime uscita nell'agosto del 1502,3 cosi la copia del Canzoniere e dei Trionfi servi per la stampa delle Cose volgari uscita nel luglio del 1501:

1 L. DOLCE, Osservationi nella volgar lingua, Venetia, Giolito de Ferrari, 1550, p. 40.

R. FULIN, Documenti per servire alla storia della tipogr. venez. in Archivio veneto, t. xxIII, p. 1 (1882), pag. 146.

3 C. WITTE, pag. x dei Prolegomeni alla D. Comm. di D. A., Berjino, Decker, 1862.

tanto meravigliosamente consentono nella lezione lo stampato e lo scritto. E come lo scritto delle Terze Rime proviene da quello che oggi è Codice vaticano 3199 e che si credeva copiato di man del Boccaccio e da esso mandato in dono al P., cosí lo scritto del Canzoniere dee provenire da un codice non si sa quale ma di buona lezione se non l'ultima voluta e vista dall'autore. È vero che lo scritto è segnato pur di man del Bembo di non poche postille che son lezioni varianti del proprio originale 3195; ma par provato che le fossero fatte in una collazione sommaria tentata dal Bembo dopo acquistato l'originale nel 1544. In somma Pietro Bembo quando facevasi sotto i suoi occhi l'edizione aldina 1501 non aveva a mano l'originale conosciuto a noi del P.: ciò non vuol dire ch'e' non potesse aver a mano un codice di assai buona lezione e d'assai vecchia scrittura, quello per avventura appartenente a messer Daniele da Santa Sofia di Padova, che vedemmo menzionato dal Vellutello, forse da lui stesso per qualche tempo e poi fermamente da Aldo e da Lorenzo da Pavia tenuto in conto d'originale. A ogni modo che la stampa del 1501 fosse levata «a lettera per lettera dal testo diligentissimamente scritto » non si può sostenere: da poi che dei quindici esemplari in carta bona alcuno ve n' ha nel quale la scritta finale al nome di Pietro Bembo onde termina porta accodate le parole « Nobile Venetiano et dallui dove bisognò è stato RIVEDUTO ET RACCONOSCIUTO ».2 Con tutto ciò, e forse per ciò, fra le stampe, anche a giudizio di Giov. Mestica, l'aldina del 1501 è dal testo originale la meno lontana. 3

Cosi fondamenti all'opera nostra e instrumenti al nostro lavoro furono: 1) i frammenti autografi, archetipi, nel cod.

1 G. SALVO-Cozzo, Le «rime sparse» di F. P. etc. nel Giorn. stor. della lett. ital., XXX (1897), pp. 378-80.

2 G. M. CRESCIMBENI, Dell' ist. della volg. poes., Venezia, 1730, I, p. I, pp. 297-98. RENOUARD, Annales de l'imprim. des Alde, Paris, 1834, pp. 28-29. G. MESTICA, Il canzoniere del P. etc. in Giorn. stor. della lett. ital., XXI (1893), pp. 306 e segg.

2 G. MESTICA, Cenni in fronte alle Kime di F. P.: p. XI.

vatic. 3196; loro appendici e lor riproduzioni: 2) il manoscritto originale nel cod. vatic. 3195: 3) l'edizione padovana 1472 4) l'edizione aldina 1501). La bella stampa del Mestica (Firenze, Barbèra, 1896) ci venne a soccorrere delle ricche e utili note a lavoro inoltrato (pag. 241, CLv), quando avevamo già restituito le rime nell'ordine del codice a cui del resto erano abituate fino all' edizione del Marsand (Padova, 1819). Anche ci giunse in tempo a seguirla in un nuovo riordinamento che esso il Mestica diede alle rime cccXXXVIICCCLXVI appoggiandosi ad una numerazione fin qui inesplorata nel codice e che è pur segnata nel margine esterno di dette rime a cominciare dalla cccxxxvI che reca 1. Soltanto è da avvertire che, avendo noi ne' fogli già stampati richiamato per i confronti esse rime non co'l nuovo ordine della edizione Mestica si bene con l'ordine materiale con che seguono nel codice, credemmo di provvedere in qualche modo ponendo vicino al numero che loro tocca nel nuovo ordine un altro numero tra parentesi quadre che segnasse quel primo ordine materiale. Un'altra e notevole avvertenza. L'originale termina la carta XLIX r. col sonetto Arbor vittoriosa, la quale poi bianca nel verso reca queste parole, di carattere più tardo e forse dell' età degli umanisti, che furono raschiate, Francisci Petrarcae explicit sonecti de vita et deo gratias: piú, la edizione padovana del 72 ha sopra la canzone I'vo pensando, che segue al sonetto, queste rispondenti parole, Incipit de morte amoris. Quindi il Mestica per fede all' originale e all'edizione padovana accolse la nuova divisione delle rime in due parti, distinte non per l'avvenimento esteriore e accidentale della morte di madonna Laura ma per un fatto intimo al poeta stesso. Non osammo seguirlo, tenuti dal rispetto alla quasi religiosa consuetudine, non abbattuta, ci pare, da poche parole di piú tardo tempo e raschiate e da una serie di fogli serbati bianchi forse a trascrivervi le rime che occorressero nuove o nuovamente corrette, come il P. usò nel codice mandato del 1373 a Pandolfo Malatesta.1

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Vedi qui dietro, p. IV.

II

Dopo la intera e sicura conoscenza della storia del testo, chi prende a commentare un autore ha da conoscere e da esaminare tutto ciò che prima di lui è stato fatto intorno alla esposizione e illustrazione di quello. Ciò è naturale, se bene gli ultimi commentatori italiani del P. non ci abbian pensato. Ora dei commenti intorno al Canzoniere si possono distinguere quattro età.

Nella prima età, dal 1470 al 1525, troviamo stampati e ristampati i commenti dell' Ilicino, del da Tempo, del Filelfo, dello Squarciafico; e quei commenti gareggiano di goffaggine con le stampe. Di Bernardo Ilicino, che illustrò solamente i Trionfi, non è da parlare ora. Il più antico interprete, o meglio annotatore, parrebbe Antonio da Tempo. Inutile discutere qui se egli sia una persona sola, ed è improbabile, con quell' Antonio da Tempo che compose un trattato De rithmis vulgaribus dicono circa il 1332; ma l'autor del commento, qualunque siasi quel che ce ne avanza, l'avrebbe messo insieme negli ultimi anni del secolo decimoquarto; da poi che nel proemio ei dice di essersi indotto a scrivere anche per « aderire a certi coetanei del poeta e suoi familiari» e da poi che in una sua vita del P. posta avanti ad esso commento dice che il p. nacque in « QUESTA ULTIMA età del nostro signore M. CCC. iiij ». Abbiamo scritto qualunque siasi quel che ce ne avanza, perché Domenico di Gaspare Siliprandi, il quale primo stampò nel 1471 quel commento in Venezia, afferma nella dedicatoria a Federico marchese di Mantova aver << trovato questa opera di messer Antonio sparsa come le foglie nell'autunno dal vento » e di averla «con gran fatica e lucubrazione recolta >> non però senza << alcune addizioni d'uno altro». Di che il prof. Giusto Grion prese a sostenere1

1 Nella prefazione al Trattato delle rime volgari di A. d. T., Bologna, Romagnoli, 1869.

che l'Antonio da Tempo commentatore del Canzoniere non è mai esistito, che il commento sotto il nome di lui è una cosa sola con quello dello Squarciafico, ma che anche Girolamo Squarciafico alessandrino poi non è mai esistito né meno egli e cotesto nome altro non rappresenta che l'anagramma di Domenico Siliprandi figliuolo di Gaspare, dell'editore cioè del Canzoniere nell'anno 1477; e séguita provando e riprovando altre cose. Il Grion, erudito e ingegnoso com'era, aveva il torto di voler provar troppo e di scoprire un po' troppo facilmente e ad ogni passo anagrammi. Secondo noi, gli anacronismi e le confusioni cronologiche che s'incontrano nel commento del da Tempo, siasi un un po' chi si vuole, ma antico, si possono spiegare con le alcune addizioni d'un altro che il Siliprandi confessa avervi interpolato. Del resto è, come l'autore e l'editore lo qualificano, un commento « brevemente compilato per modo di argomenti e sommario ».

Francesco Filelfo nel proemio al suo dice di averlo composto a istanza di Filippo Maria Visconti: dunque, dopo il 1440, quando agl' inviti di quel duca l'umanista andò a Milano. E, come da parecchi luoghi di esso commento parrebbe che il Filelfo avesse anche esposto il Canzoniere in servigio della gioventú milanese, cosí può quasi tenersi per fermo che ed esposizione orale e commento egli facesse in quegli anni che passò a Milano, cioè dal 1440 al 1446, interponendo la lezione sur un poeta volgare a quelle che ordinariamente teneva su gli scrittori latini, come già in Firenze aveva usato per Dante. Ma co 'l Petrarca tirò via: faceva a braccia, per quel che appare dallo stampato, inventando lepidamente e motteggiando. Il commento del Filelfo fu impresso la prima volta in Bologna da un Sigismondo de Libris nel 1476 con edizione in foglio divenuta rarissima: lo stampato non va oltre il sonetto Fiamma dal ciel su le tue trecce piova, che è il cv nell'antica e primitiva distribuzione e numerazione delle Rime; e nelle successive ristampe, cominciando forse da una veneziana dell'83, si aggiunse certa continuazione assai

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