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Ne l'operazïon tutto s' agghiaccia.
Più volte già per dir le labbra apersi:
Poi rimase la voce in mezzo 'l petto.
Ma qual son poria mai salir tant' alto?
Più volte incominciai di scriver versi:
Ma la penna e la mano e l'intelletto
Rimaser vinti nel primier assalto.

Misura e ne fa giudizio (L). — 8. Ne l'oper.
Quando passa all'atto di celebrare la bel-
lezza di Laura. 10. Aen. IV 76 « Incipit
effari mediaque in voce resistit ».
- 11. Ma.
Ha questo valore: è vero che io lasciai di
cantarla, ma, non che la mia, qual voce
potrebbe cantarla nel modo che richiede
I altissimo argomento? son pose invece
di suon forse perché dopo l' u di qual gli
parve piú dolce. 12. incominciai di. Altro-

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ve

<<< incominciai di veder lume». Sempre il Bocc. disse incominciare a (T). Il P. viveva in Francia, e i francesi dicono tuttavia cosí. Vi risponde quel del Compagni (Cronica in prin.) « Hanno stimolata la mente mia di scrivere ». 14. nel prim. ass. Alla prima prova (L). Pare che intenda del primo affacciarsi all'immaginazione quella gran bellezza (Bgl).

Il des sospetto potesse essere il primo scritto dal p. e dovesse andare in fronte alle rime. L'ordine del Ms. originale e il v. 3, tanto bello e vero per quel ritornare al momento primo dell'amore come a fonte dell'entusiasmo, persuadono il contrario. Il son. è noi restanti versi piuttosto regolare ed elegante che caldo.

XXI

Vuol movere compassione in Laura, dimostrandole a che tristi partiti si ritrovi, se ella non accetta l'amor suo. - Fe F furono d'opinione che il p. più particolarmente intendesse a rimovere ogni sospetto dell'essersi egli volto, come forse pareva, ad amare un'altra. — L'Alfieri nota i vv. 1-10, 13 e 14.

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Mille fiate, o dolce mia guerrera,

Per aver co' begli occhi vostri pace,

V'aggio proferto il cor; m'a voi non piace
Mirar si basso colla mente altera:

E, se di lui fors' altra donna spera,

Vive in speranza debile e fallace:

Mio, perché sdegno ciò ch'a voi dispiace,
Esser non può già mai cosí com'era.

Or, s' io lo scaccio et e' non trova in voi
Ne l'essilio infelice alcun soccorso,
Né sa star sol né gire ov' altri il chiama,
Poria smarrire il suo natural corso:
Che grave colpa fia d'ambeduo noi;
E tanto più di voi, quanto più v’ama,

1. guerrera. Alla provenzale [per nemiraj. «Que m' es mala salvatja e guerreira » disse P. Vidal (T). Federigo II « Occhi fere, Guerrere, Che fere A guisa di ladrone ». — 5. di lui. Cioè d'averlo in suo podere (G°). 7-8. Mio, com'era prima, non può essere

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mai piú, perché ec. (L). 11. sol. Fuori di
Laura (Cv). altri. Altre donne. - 12. il natu-
ral corso è quello della vita: chi lo smarri-
sce muore. 13. Che. Il che.
- 14. Più
grave è la vostra colpa quanto è maggiore
il bene che il mio cuore vi porta.

Cfr. Dante, V. N. x e XII: Manda Amore a dire a Beatrice .... Madonna, lo suo cuore è stato Con si fermata fede Ch'a voi servir lo pronta ogni pensiero: Tosto fu vostro, e mai non s'è smagato ». — Al Muratori pare uno degli ottimi del P. Anche il padre Ceva gli fa luogo nella sua scelta con molte lodi. Gusti dell'Arcadia. Ben rivela il Ceva il pregio di dire con chiarezza e nobiltà poetica tanti e si sottili pensieri.

XXII

1-6. Tutti gli animali la notte hanno pace: -19-24. ciò per la fierezza di Laura.

7-12. solo egli pena giorno 13-18. e notte: 25-30. Foss' ella pur una volta pietosa! 1-31-36. e potesse egli esser felice! 87-9. Impossibile. —L'Alfieri nota i vv. 4, 7-12, 14, 16, 23-4, 31-2, 38-9.

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A qualunque animale alberga in terra,

Se non se alquanti c' hanno in odio il sole,
Tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
Ma, poi che 'l ciel accende le sue stelle,
Qual torna a casa e qual s'annida in selva,
Per aver posa al meno in fino a l'alba.
Et io, da che comincia la bella alba

A scuoter l'ombra intorno de la terra
Svegliando gli animali in ogni selva,
Non ho mai triegua di sospir col sole;
Poi, quand' io veggio fiammeggiar le stelle,
Vo lagrimando e disïando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno
E le tenebre nostre altrui fanno alba,
Miro pensoso le crudeli stelle

Che m' hanno fatto di sensibil terra,

rare profundis Antipodum populis nostro quae viderat orbe, Sol rapidos stimulabat equos »] non lascia dubbio sulla credenza del P. negli Antipodi. Altrove il p. lascia indeterminato se egli ci credesse o no: cfr. L 2-3.

2. Se non se. Bgl vuole sia un accorcia- | [l. VIII Pronus ad Oceanum, cupiens narmento della formola se non se n'eccettui. T nota che è usato dal P. sol questa volta. Frequente in prosa. Bocc. Fiamm. « Niuna via esserci a riaverlo, se non se io per lui andassi ». - 3. Tempo da tr. è. Non importa col Bgl e col L sottintendere dato o assegnato o simili participi, basta all' A del v. 1 dare un valore equivalente di Per. 4. Virg. g. 1 251 « sera rubens accendit lumina vesper ». 5. a casa gli uomini, in selva le fiere (Fvv). E oltre che degli uomini può intendersi degli animali domestici i quali ritornano nei ripari loro fabbricati dall' uomo. 8. Aen. IV 7 « Humentemque aurora polo dimoverat umbram ». - 10. col. Segna tempo: finché è in cielo il sole. Oraz. ep. 1 7 te, dulcis amice, reviset Cum zephyris, si concedes, et hirundine prima». Ed è anche del parlar comune. 14. altrui. Fr osserva che il presente luogo ed un altro dell'Africa

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15. crud. st. Virg. ecl. vIII 23 Atque deos atque astra vocat crudelia mater ». 16. È sentenza, che, dopo Iddio a cui si attiene il mondo e la natura, il cielo sia universal cagione di quanto si muove e nasce qua giú, ond' è fatto volgare quel detto, Sol et homo generant hominem. Né, perché l'anima umana, ch'è lo 'ntelletto. sia fatta da Dio, l'uomo non trae dall'uomo e dal cielo origine almeno in quelle parti che sono mortali; né dice altro il p. se non che le stelle l' hanno fatto di corpo che sente gli affetti umani, i quali tal si sentono quali sono le qualità impresse in lui nascendo dal cielo (G). Tibullo 11 4 « Oh ego, ne possim tales sentire dolores, Quam mallem in geli

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E maledico il di ch' io vidi 'l sole:

Che mi fa in vista un uom nudrito in selva.
Non credo che pascesse mai per selva

Si aspra fera, o di notte o di giorno,

Come costei ch'i' piango a l'ombra e al sole,
E non mi stanca primo sonno od alba;
Ché, ben ch'i' sia mortal corpo di terra,
Lo mio fermo desir vien da le stelle.
Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,

O tomi giù ne l'amorosa selva
Lassando il corpo che fia trita terra,

Vedess' io in lei pietà! ch'in un sol giorno
Può ristorar molt' anni, e 'nnanzi l'alba
Puommi arricchir dal tramontar del sole.
Con lei foss' io da che si parte il sole,
E non ci vedess' altri che le stelle,
Sol una notte! e mai non fosse l'alba,
E non si transformasse in verde selva
Per uscirmi di braccia, come il giorno
Ch'Apollo la seguia qua giú per terra!
Ma io sarò sotterra in secca selva

24. Lo mio fermo destin, A.

«

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dis montibus esse lapis...! Nunc et amara sa Quando natura per forma la diede ». dies et noctis amarior umbra est ». 17-18. Virg. g. IV 227 « nec morti esse locum Intendevano che 'l sole qui per la consueta sed viva volare Sideris in numerum atque metaf. significasse Laura, per la cui pas- alto succedere coelo ». 26. tomi. Cada sione fosse diventato cosí squallido da ap- (L). E della provenzale : Que li gensers parirne quasi un uom selvatico; o pure, par qu' aia pres un tom» disse A. Daniello per la passione di lei si fosse fatto nemi- (T). Ed è pure in Dante Parad. xv1 63, e nelco agli altri uomini come un selvaggio, l'Ariosto Fur. XIX 48; né par disdicevole al d'accordo con quanto è detto al v. 4 del P. che viveva in Provenza e che ha paura XVII. Seguiamo il L, dal quale ch'io vidi di andare all'inferno. ne l'am. s. Aen. VI 442 sole è spiegato per ch'io nacqui, e, posti in Hic quos durus amor crudeli tabe peredit fine del verso due punti, il Che del seg. è Secreti celant calles et myrtea circum Sylva allargato a questo senso: Il che, il qual teget». Cfr. Tr. Am. I 150. 29-30. Mi può modo di vivere, intendendosi del modo de- compensare le pene di molti anni, e dal scritto nella st. 2 e 3. Notisi che in tutta la tramontar del sole, prima che arrivi l'alba sest, sole è usato sempre nel termine pro- vegnente mi può far beato (L). Proper. II prio. 21. a l'ombra e al s. Di notte e di 15 « Nocte una quivis vel deus esse potest ». giorno. 22. non mi st. del piangere, sí -32. Catul. VIII« sidera multa, cum tacet ch'io riposi dormendo. pr. sonno, il prin- nox, Furtivos hominum vident amores ». cipio della notte [Aen. I 470 « tentoria... primo quae prodita somno Tydides multa vastabat caede cruentus »]. od alba: nelle quali due ore il sonno è più potente e più dolce. 23. mortal c. di t. Che per ciò doTrebbe cedere a un bisogno della natura quale è il sonno. 21. fermo desir. Ricorda il princ. d' una sest. di Arn. Daniello Lo ferm voler qu' el cor m' intra ». 25. Secondo l'opinion di Platone, di cui Dante, Parad. Iv 52, dice che « l'alma a la sua stella riede, Credendo quella quindi esser deci

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33. mai non f. l'a. Cioè, secondo alcuni, morissi : quasi dica, Patteggerei di star seco una notte e poi di morire. Ma è meglio dire che desidera una notte perpetua, come altrove «El di si stesse e 'l sol sempre ne l'onde (CV). Giraldo de Borneilh « Bel dos companhos, tan son en ric sojorn Qu' ieu no volgra mai fos alba ni jorn ». 34. in v. selva. In lauro: il tutto per la parte (D). Aen. III 21 viridemque sylvam convellere ab humo ». alla favola di Dafne (G). · 37. in s. selva.

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36. Alludendo al nome di lei e

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Chiuso in legno secco, cioè in una cassa 39. Prima che il sole arrivi all'alba del da morto. Dice selva per legno come dicono giorno che deve precedere la notte dal p. i francesi [bois] e dissero anche i latini (L). | desiderata (Cv).

Ancorché la sestina oggidi sia una sorte di composizione poco usata per un certo mancamento c' ha di dolcezza, pochi nondimeno saranno per avventura quegli a' quali questa, come vaga e leggiadramente tessuta, non soddisfaccia (T).

XXIII

In questa canzone (narratoria, Cv) che fu detta delle metamorfosi, il p. simboleggia con varie trasformazioni, imitate dal poema d' Ovidio, la storia del suo amore. - 1-20. Propone l'argomento, ne fa le partizioni e le scuse. 21-9. Narra come stesse prima d'innamorarsi. 30-49. Descrive l'innamoramento, simboleggiandolo con la trasformazione in lauro. 5067. Come disperasse dell' amor suo, e la disperazione e il dolore lo rendesser poeta (cigno). 68-89. Laura non per tanto gli vietò di fare alcuna dimostrazione; e, non obbedendole, lo riprese per modo ch' ei ne restò sbigottito e smemorato (statua). 90-120. Ripigliato animo,

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chiese pietà con gli scritti. Ella lo. fuggi, ed egli ne rimase più dolente e lacrimoso (fonte). · 121-46. Gentile e misericordiosa, Laura gli perdonò; non però che, tornando lui a ripregarla, non lo rigettasse per guisa che gli restò sol voce a far sonare i suoi dolori e la disperazione (eco). 147-60. Pur egli ha potuto considerare nella sua purità e splendore la perfezione di quella bellezza e virtú: e glie n'è successo quel che ad Atteone quando vide ignuda la dea (cervo): perseguito da' suoi pensieri ha cercato la solitudine. 161-69. Ad ogni modo, benché nulla ne abbia ottenuto, egli ha celebrato Laura nelle sue rime; e, non ostante le varie e penose vicende della passione, è contento dell' amor suo. — Di questa canz. fece il Cv, a parte dal commento, un' esposizione, stampata nella Racc. d'opusc. scient, e filol. (t. IX, Venezia, 1733). L'Alfieri nota i vv. 1, 4-9, 11-4, 17-38, 41-7, del 52 morto giacque, 53, del 55 solo lagrimando, 56, del 57 ricercando, 60-6, 67 (salvo qual fu a sentir), 69, 81-2, 86, 89, 91-2, del 93 vo trapassando, 95-6, 98, 100-9, 112-16, 121-66. Trascritta e corretta a diversi tempi in diversi pezzi. Il primo va dal v. 1 a tutto l'89, ed ha innanzi questa nota: transcripsi in ordine post multos et multos annos, quibusdam mutatis 1356. Iovis in vesperis 10 novembr. Mediol. Il secondo va dal v. 90 a tutto il 160, ed ha scritto innanzi : post multos annos 1350. Aprilis 3. mane. quia triduo exacto institi ad supremam manum vulgarem ne diutius inter varias curas distrahar. visum est et hanc transcribere. sed prius hic ex aliis papiris elicitam scribere. L'ultimo va dal v. 161 a tutto il 169, e si riattacca al secondo, se non che v'è in mezzo questa nota [il D'Appel crede si riferisca alla data della trascrizione in altro quaderno]: 1356. novembr. 4. sero. dum cogito de fine harum nugarum; ed in fine: Explicit sed nondum correcta et est de primis inventionibus nostris. scriptum hoc 1351. Aprilis 28. Iovis. nocte concumb. Ed era pure negli scritti veduti dal Daniello.

Nel dolce tempo de la prima etade

Che nascer vide et ancor quasi in erba
La fera voglia che per mio mal crebbe,
Perché, cantando, il duol si disacerba,

1-6. Canterò, perché cantando si mitiga il dolore [Oraz. o. Iv 11, << minuentur atrae Carmine curae »], come nel tempo della mia prima gioventù, nel quale mi nacque e fu ancora quasi in erba la passion dell'amore che è cresciuta poi per mio male; canterò, dico, come io vissi allora in libertà finché sdegnai di dar luogo ad Amore nell' animo mio (L). Questa trasposizione subito ne' primi vv. offende il T e M; ma il D nota, che gonfio principio sarebbe stato, se il p. avesse detto

come il testo si vuol ordinare, Perché cantando, là dove dandole principio Nel dolce tempo venne quella gonfiezza a fuggire. - 4. II P., Rem. 1 69 « Gaudium. Ego vero non flebo sed canam; meque ipsum more amantium carminibus consolabor. Ratio.... ad illam quam dicis consolationem mali huius quam tibi de carminibus proventuram fingis, brevissimum Flacci carmen ac percunctatio illa pro responso sit: Hiscine versiculis speras tibi posse dolores Atque aestus

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Canterò com'io vissi in libertade

Mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe;
Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe

Troppo altamente, e che di ciò m'avenne,

Di ch'io son fatto a molta gente essempio;
Ben che 'l mio duro scempio

Sia scritto altrove sí che mille penne

Ne son già stanche, e quasi in ogni valle
Rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
Ch' acquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita,
Come suol fare, iscusilla i martíri
Et un penser che solo angoscia dalle
Tal, ch'ad ogni altro fa voltar le spalle
E mi face obliar me stesso a forza;

Ché ten di me quel d'entro et io la scorza.
I' dico che dal di che 'l primo assalto

Mi diede Amor molt' anni eran passati,
Si ch'io cangiava il gioveni aspetto;
E d'intorno al mio cor pensier gelati
Fatto avean quasi adamantino smalto
Ch' allentar non lassava il duro affetto:
Lagrima ancor non mi bagnava il petto

Né rompea il sonno, e quel che in me non era

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6. nel mi albergo, OV. 8. (aspramente) altamente, OV D. 10. crudo scempio, OV D. — 12. Ne sono stanche et (già per) ogni, poi Ne son già stanche et quasi in ogni, OV D. excusilla, OV. 23. giovenile aspetto, OV. 28. Et quel ch' i' non provava in me quel tempo (Et come l'ho provato assai per tempo) (Come l' ho ben provato ec.): in questi abbozzi sono d'accordo OV e D; ma poi OV, nel quale manca pure il verso 31 ed è disordinato, dà per ult. lez.

curasque graves e pectore tolli [Serm. 1 2]. | Loquendo canendoque amor alitur accenditurque, non extinguitur nec lenitur, ut quos memoras cantus et carmina tuorum non fomenta sed irritamenta sint vulnerum ». 8. Il D osserva che col sostituire Troppo altamente al Troppo aspramente il p. ci guadagnò di dolcezza « ed insieme venne ad alzar piú il numero e la cosa, piú al latino avvicinandosi; ché tanto vale quanto se detto avesse profondamente ». - 9. Di ch'. Per cagione di che: Decam. introd. « Ciascun... aveva si come se le sue cose messe in abbandono: di che le più delle case erano divenate comuni». essempio, che non si debba avere Amore a sdegno (Cv). 10. Ben che. Dipende dal canterò del v. 5 e dal seguirò del 7 (L). 11. Sia ser. altr. In molti luoghi delle sue opere (Salv). 12. La lez. e già per ogni valle fu mutata, al credere del D, nel modo che porta il testo, per fuggir l'arroganza. 14. Fan sí che

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altri creda quel ch'io scrivo de' miei dolori. Vi risponde in senso contrario quel di Dante, Inf. XIII 21, « vedrai Cose che torrien fede al mio sermone ». 15. qui. In questo cantar de' casi miei. 16. iscusilla per iscusinta come nel Decam. vII 6 « Andiamo e meniallo alla taverna » (T). 17-8. II pensiero o desiderio di Laura, che da sé solo dà alla memoria un' angoscia tale che le fa lasciar da parte ogni altro pensiero (L). 20. Perocché signoreggia il mio interno, ed io non posseggo altro di me che il di fuori [il corpo] (L). Cfr. CLXXX 1-4. d' entro. Leggiamo col S, altri dentro. 21. dal dí che. Dall' entrata nella pubertà, quando l'uom sente i primi stimoli dell'amore. 23. Cangiava il volto di adolescente, mettendo barba. Staz. Sylv. III 3 « ora nova mutante iuventa». — 25-6. Un riparo d'acciaio che non lasciava infievolire il mio rigido proposito di non amare (L). 28. Né romp. il s. Cfr. VIII 4. e quel che in me n. e. Gli

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