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nò verfo Lione per la via del Rodano; ove giunto, intendendo la gita del Vefcovo Colonna a Roma, fermatofi in Lione, ebbe lettere da quello che lo invitavano a feguitarlo; e giunto a Capranica, ivi fi ferm col Signor Orfo padron del luogo, non afficurandofi d'andar più avan ti per effer a quei tempi le ftrade mal ficure, riSpetto alle nimicizie che erano tra' nobili Romani. Ma intefa la fua venuta al detto luogo dalli Signori Colonnefi, il Vefcovo medefimo con cento cavalli, e col Signore Stefano fuo fratello andò a levarlo, e falvo lo conduffe alle fue cafe in Roma, ove dal Signore Stefano, padre. del Cardinale, e di fei altri figliuoli maschj, fu come l'ottavo raccolto, e da tutta Roma onorato per la fama già fparfa della sua virtute.

Stato alcuni mefi in Roma, defiderofo di feguire gl' incominciati ftudj, fi rifolfe tornare in Avignone, ed indi fi raccolfe alla folitudine di Valchiufa, per iftar fuori della frequenza della Corte, e non così vicino al fuoco che fentiva dell' amore di Madonna Laura; e tutto fece con buona grazia del Cardinale Colonna.

La stanza di Valchiufa continud circa 10. anni, e con gran frutto nelle lettere, colle quali fece quel luogo famofo, ed ivi compofe, o cominciò la maggior parte dell' Opere fue ed in profa, ed in verfo, gran cofa fu che in un gior

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PARTE PRIMA.

SONETTO PRIMO.

Riconoscimento del Petrarca del fallo fuo, e difperazione. Difpera di potere mai ricevere da fe medefimo perdono, per aver compofti verfi di materia vana, amorofa; e pubblicatigli, e prefone diletto: il che riconosce per fallo non degno di perdono, quantunque le perfone, che abbiano provato amore, fieno, non folamente per perdonargli ciò, ma ancora per avernegli compaffione.

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ΟΙ ch' afcoltate in rime fparfe il fuono
Di quei fofpiri ond' io nudriva il core

In ful mio primo giovenile errore,

Quand' era in parte altr' uom da quel ch'i' fono; Del vario ftile, in ch' io piango, e ragiono Fra le vane fperanze, e 'l van dolore; Ove fia chi per prova intenda amore, Spero trovar pietà, non che perdono. Ma ben veggi' or, sì come al popol tutto Favola fui gran tempo: onde fovente Di me medefmo meco mi vergogno:

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E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
E' pentirfi, e 'l conofcer chiaramente,
Che quanto piace al mondo è breve fogno.

SONETTO II

Per far una leggiadra fua vendetta,

E punir in un dì ben mille offefe,
Celatamente Amor l'arco riprefe,

Com' uom ch'a nocer luogo, e tempo afpetta. Era la mia virtute al cor riftretta,

Per far ivi, e ne gli occhi fue difefe:
Quando 'l colpo mortal laggiù difcefe
Ove folea fpuntarsi ogni faetta.

Però turbata nel primiero affalto

Non ebbe tanto nè vigor, nè fpazio,
Che poteffe al bisogno prender l' arme;

Ovvero al poggio faticofo, ed alto

Ritrarmi accortamente dallo ftrazio;
Del qual oggi vorrebbe, e non può aitarme.

SONETTO 111

Era 1 giorno ch' al Sol fi scoloraro

Per la pietà del fuo Fattore i rai:
Quand' i' fui prefo, e non me né guardai,
Che i be' voftr' occhi, Donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo

Contra colpi d' Amor: però n' andai
Secur, fenza fofpetto: onde i miei guai
Nel comune dolor s' incominciaro.

Trovommi Amor del tutto difarmato,

Ed aperta la via per gli occhi al core; Che di lagrime fon fatti ufcio, e varco. Però, al mio parer, non li fu onore Ferir me di faetta in quello ftato, E a voi armata non moftrar pur l'arco.

000000000000

Qu

SONETTO IV.

uel ch' infinita provvidenza, ed arte Moftrò nel fuo mirabil magiftero: Che criò quefto, e quell' altro emifpero, E manfueto più Giove, che Marte; Venendo in terra a illuminar le carte,

Ch' avean molt' anni già celato il vero, Tolle Giovanni dalla rete, e Piero,› E nel regno del Ciel fece lor parte. Di sè, nafcendo, a Roma non fè grazia, A Giudea sì tanto fovr' ogni ftato Umiltate efaltar fempre gli piacque: Ed or di picciol borgo un Sol n' ha dato

Tal, che natura, e 'l luogo fi ringrazia
Onde sì bella Donna al mondo nacque.

SONETTO V.

Commendazione dal Nome per le fillabe divife, contuttochè prabbondi: T. LAU, RE. TTA.

Quand' io movo i fofpiri a chiamar voi,

El nome che nel cor mi fcriffe Amore;
LAU dando s'incomincia udir di fore
Il fuon de' primi dolci accenti fuoi.

Voftro ftato REal, che 'ncontro poi,
Raddoppia all' alta imprefa il mio valore:
Ma, TAci, grida il fin: che farle onore
E' d' altr' omeri foma, che da' tuoi,
Così LAU dare, e REverire infegna
La voce fteffa, pur ch' altri vi chiami,
O d'ogni reverenza, e d'onor degna:
Se non che forfe Apollo fi difdegna,

Ch' a parlar de' fuoi fempre verdi rami
Lingua mortal prefuntuofa vegna.

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