E quando poi ringiovenisce l'anno, Qual' era al tempo del mio primo affanno, Io penfo: Se laffufo,
Onde '1 Motor' eterno delle ftelle Degnò moftrar del fuo lavoro in terra, Son l'altr' opre si belle;
Aprafi la prigion' ov' io fon chiufo, E che 'l cammino a tal vita mi ferra. Poi mi rivolgo alla mia ufata guerra Ringraziando Natura, e 'l dì ch' io nacqui; Che refervato m' hanno a tanto bene; E lei ch' a tanta fpene
Alzò 'l mio cor; che 'nfin' allor' io giacqui A me nojofo, e grave:
Da quel dì innanzi a me medefmo piacqui Empiendo d'un penfier' alto, e foave Quel core ond' hanno i begli occhi la chiave.
Nè mai ftato giojofo
Amor', o la volubile Fortuna
Dieder' a chi più fur nel mondo amici; Ch'i' nol cangiaffi ad una
Rivolta d'occhi: ond' ogni mio ripofo Vien, com' ogni arbor vien da fue radici. Vaghe faville, angeliche, beatrici
Della mia vita; ove 'l piacer s' accende Che dolcemente mi confuma, e strugge; Come fparifce, e fugge
Ogni altro lume dove 'l vostro splende, Così dello mio core,
Quando tanta dolcezza in lui difcende, Ogni altra cofa, ogni penfier va fore; E fol' ivi con voi rimanfi Amore.
Quanta dolcezza' unquanco
Fu in cor d'avventurofi amanti; accolta Tutta in un loco, a quel ch'i' fento, è nulla; Quando voi alcuna volta
Soavemente tra 'l bel nero, e 'l bianco Volgete il lume in cui Amor fi traftulla: E credo, dalle fafce, e dalla culla Al mio imperfetto, alla fortuna avverfa Quefto rimedio provvedeffe il cielo. Torto mi face il velo,
E la man, che si fpeffo s' attraversa Fra 'l mio fommo diletto,
E gli occhi; onde dì, e notte fi rinverfa Il gran defio, per isfogar il petto, Che forma tien dal variato afpetto. Perch' io veggio (e mi spiace)
Che natural mia dote a me non vale, Nè mi fa degno d'un sì caro fguardo; Sforzomi d'effer tale,
Qual' all' alta fperanza fi conface, Ed al foco gentil' ond' io tutt' ardo. S' al ben veloce, ed al contrario tardo, Difpregiator di quanto 'l mondo brama, Per follicito ftudio poffo farme; Potrebbe forfe aitarme
Nel benigno giudicio una tal fama, Cerro il fin de' miei pianti;
Che non altronde il cor dogliofo chiama; Vien da' begli occhi al fin dolce tremanti, Ultima fpeme de' cortefi amanti.
Canzon, l'una forella è poco innanzi; E l'altra fento in quel medefimo albergo Apparecchiarfi: ond' io più carta vergo.
Dice che è sforzato a scrivere degli occhi; chiama Amore in foccorfo sì di fcrivere bene, si di non infiammarfi co' Verfi fteffi di troppa dolcezza: perchè i Verfi ora non lo sfogano, ma lo 'nfiammano. Domanda tre cofe ad Amore; che i Verfi agguaglino il defio; che i Verfi non lo 'nfiammino, ma lo temprino di dolcezza, e prende qui argomento della fua usanza, e della sua speranza; e che i fuoi Versi sieno atți a piegare Laura a compaffione.
Poi che per mio deftino
A dir mi sforza quell' accefa voglia
Che m'ha sforzato a fofpirar mai fempre; Amor, ch'a ciò m' invoglia,
Sia la mia fcorta, e 'nfegnim' il cammino; E col defio le mie rime contempre: Ma non in guifa, che lo cor fi ftempre Di foverchia dolcezza; com' io temo Per quel ch'i' fento ov' occhio altrui non giugne Che 1 dir m'infiamma, e pugne;
Nè per mio ingegno (ond' io pavento, e tremo) Siccome talor fole,
Trovo 'l gran foco della mente fcemo:
Anzi mi struggo al fuon delle parole
Pur, com' io foffi un'uom di ghiaccio al Sole.
Nel cominciar credia
Trovar parlando al mio ardente defire Qualche breve ripofo, e qualche tregua. Quefta fperanza ardire
Mi porfe a ragionar quel ch' i' fentia: Or m'abbandona al tempo, e fi dilegua. Ma pur conven che l'alta imprefa fegua,
Continuando l' amorofe note;
Si poffente è'l voler che mi trafporta: E la ragione è morta,
Che tenea'l freno; e contraftar nol pote : Moftrimi almen, ch'io dica,
Amor', in guifa, che fe mai percote Gli orecchi della dolce mia nemica; Non mia, ma di pietà la faccia amica.
Dico Se 'n quella etate
Ch' al vero onor fur gli animi si accefi, L' induftria d' alquanti uomini s'avvolle Per diverfi paefi,
Poggi, ed onde paffando; e l'onorate Cofe cercando, il più bel fior ne colfe; Poi che Dio, e Natura, ed Amor volfe Locar compitamente ogni virtute In quei be' lumi ond' io giojofo vivo; Quefto e quell' altro rivo
"Non conven ch' i' trapaffe, e terra mute: A lor fempre ricorro,
Come a fontana d'ogni mia falute; E quando a morte defiando corro, Sol di lor vifta al mio ftato foccorro.
Come a forza di venti
Stanco nocchier di notte alza la tefta A' duo lumi c' ha fempre il nostro polo; Così nella tempefta
Ch'i' foftengo d'amor, gli occhi lucenti Sono il mio fegno, e 'l mio conforto folo. Laffo, ma troppo è più quel ch' io ne 'nvolo Or quinci, or quindi, com' Amor m' informa;
Che quel che vien da grazioso dono: E quel poco ch'i' fono,
Mi fa di loro una perpetua norma: Poi ch'io li vidi in prima,
Senza lor' a ben far non moffi un' orma: Così gli ho di me posti in fu la cima; Che 'l mio valor per sè falfo s' estima. I' non poria giammai
Immaginar, non che narrar gli effetti Che nel mio cor gli occhi foavi fanno. Tutti gli altri diletţi ·
Di quefta vita ho per minori affai; E tutt' altre bellezze indietro vanno, Pace tranquilla fenz alcuno affanno, Simile a quella che nel ciel' eterna, Move dal lor' innamorato rifo.
Così vedefs' io fifo,
Com* Amor dolcemente gli governa, Sol' un giorno da preffo,
Senza volger giammai rota fuperna: Ne penfaffi d'altrui, nè di me fteffo; El batter gli occhi miei non foffe spello. Laffo, che defiando
Vo quel ch' effer non puote in alcun modo; E vivo del defir fuor di fperanza.
Ch' Amor circonda alla mia lingua, quando L'umana vista il troppo lume avanza, Foffe difciolto; i' prenderei baldanza Di dir parole in quel punto si nove, Che farian lagrimar chi le 'ntendeffe. Ma le ferite impreffe
« 上一頁繼續 » |