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Ed io nel cor via più freddo che ghiaccio,
Ho di gravi penfier tal' una nebbia,
Qual fi leva talor di queste valli
Serrate incontr' a gli amorofi venti,
E circondate di ftagnanti fiumi,
Quando cade dal ciel più lenta pioggia.
In picciol tempo paffa ogni gran pioggia;
El caldo fa fparir le nevi, e'l ghiaccio,
Di che vanno fuperbi in vifta i fiumi;
Nè mai nafcofe il ciel sì folta nebbia,
Che fopraggiunta dal furor de' venti
Non fuggiffe da i poggi, e dalle valli.

Ma, laffo, a me non val fiorir di valli;
Anzi piango al fereno, ed alla pioggia,
Ed a' gelati, ed a' foavi venti:

Ch' allor fia un dì Madonna senza 'l ghiaccio
Dentro, e di for fenza Pufata nebbia;
Ch'i' vedrò fecco il mare, e laghi, e fiumi.

Mentre ch' al mar difcenderanno i fiumi,
E le fere ameranno ombrose valli;
Fia dinanzi a' begli occhi quella nebbia
Che fa nafcer' de' miei continua pioggia;
E nel bel petto l'indurato ghiaccio
Che trae del mio sì dolorofi venti.

Ben debb' io perdonare a tutt' i venti,

A

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Per amor d' un che 'n mezzo di duo fiumi
Mi chiuse tra 'l bel verde, e 'l dolce ghiaccio,
Tal, ch' i' dipinfi poi per mille valli
L'ombra ov'io fui: che nè calor, nè pioggia,
Nè fuon curava di fpezzata nebbia.

Ma non fuggio giammai nebbia per venti,
Come quel dì; nè mai fiume per pioggia;
Nè ghiaccio quando '1 Sol' apre le valli,

SONETTO LI

Racconta un' accidente avvenutogli, cioè che, effendo in Toscana al lito del Mare, volendo veder da preffo un' Alloro, cadde in un Rio e priega che gli occhi gli s' asciughino, e i piedi gli rimangano bagnati.

Dei mar Tirreno alla sinistra riva,

Dove rotte dal vento piangon l' onde,
Subito vidi quell' altera fronde

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Di cui conven che 'n tante carte fcriva:

Amor, che dentro all' anima bolliva,

Per rimembranza delle treccie bionde
Mi fpinfe: onde in un rio che l' erba afconde,
Caddi, non già come perfona viva,

Solo, ov' io era tra bofchetti, e colli,
Vergogna ebbi di me; ch' al cor gentile
Bafta ben tanto; ed altro fpron non volli.

Piacemi almen d'aver cangiato ftile

Dagli occhi a' piè; fe del lor' effer molli
Gli altri asciugaffe un più cortefe Aprile.

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SONETTO LII.

Scrive ad un Romano che era fuori di Roma, effendo egli in Roma, dicendogli, che l'afpetto della terra di Roma lo 'nduceva a devozione, e a pentimento; e la memoria di Laura il confortava a ritornare da lei, e à continuare l'amore.

L'afpetto facro della terra vostra

Mi fa del mal paffato tragger guai,
Gridando: Sta fu mifero; che fai?
E la via di falir al Ciel mi mostra.
Ma con quefto penfier' un' altro gioftra;
E dice a me: Perchè fuggendo vai?
Se ti rimembra, il tempo paffa omai
Di tornar a veder la Donna nostra.
I', che 'l fuo ragionar' intendo allora,

M' agghiaccio dentro in guifa d' uom ch'ascolta
Novella che di fubito l'accora:

Poi torna il primo, e questo dà la volta:
Qual vincerà, non fo: ma infino ad ora
Combattut' hanno, e non pur' una volta.

SONETTO LIII.

Conferma per esperienza nuova quello, che più volte aveva ancora pur per esperienza faputo, cioè, che egli per niuna via non fi può liberar da Amore.

Ben fapev' io che natural configlio,

Amor, contra di te giammai non valfe:
Tanti lacciuol', tante impromeffe falfe,
Tanto provato avea 1 tuo fero artiglio.

Ma novamente (ond' io mi maraviglio)
Dirol come perfona a cui ne calfe;
E che 'l notai là fopra l'acque falfe
Tra la riva Tofcana, e l'Elba, e 'l Giglio.
I' fuggia le tue mani, e per cammino
Agitandom' i venti, e 'l cielo, e l' onde
M' andava fconofciuto, e pellegrino;
Quand' ecco i tuoi miniftri (i' non fo donde:)
Per darmi a diveder, ch' al fuo deftino
Mal chi contrasta, e mal chi si nasconde.

CANZONE VII.

S'accorgeva il Petrarca che lo fcrivere cofe di dolore rincrefceva a Laura, onde aveva domandato ad Amore, che faceffe in guifa che poteffe fcrivere cofe d' allegrezza: ma non avendolo potuto ancora ottenere, dubita nella prima Stanza, fe debba lafciare di pregare, e conchiude pure di ripregarlo. Nella feconda moftra che farebbe omai tempo di fcrivere cofe liete, e che grande felicità farebbe la fua, fe piaceffe il fuo fcrivere a Laura, e maggiore fe ella lo pregaffe che fcriveffe. Nella terza dice che ciò non può essere, perchè il Cielo non vuole. Laonde vuole feguire il fuo fcrivere di cofe di dolore. Nella quarta riprende quello, che aveva detto, che il Cielo non vuole. E nella quinta dice che la colpa è pur fua, e non di Laura, o del Tempo.

Laffo me, ch'i' non fo in qual parte pieghi
La fpeme, ch'è tradita omai più volte:
Che fe non è chi con pietà m' afcolte;
Perchè fparger al ciel sì fpeffi preghi?
Ma s' egli avvien. ch' ancor non mi fi nieghi
Finir: anzi il mio fine

Quefte voci meschine;

Non gravi al mio Signor, perch'io 'l ripreghi

Di dir libero un dì tra l'erba, e i fiori,
Drez & raifon es qui eu ciant emdemori.

* Quefto è il principio d' una Canzone d'Arnaldo Daniello, fecondo che afferma il Bembo, e viene a dire: Dritto e ragione è che io canti, e mi trafiulli.

Ragion' è ben, ch' alcuna volta i' canti:
Però c' ho fofpirato si gran tempo;
Che mai non incomincio affai per tempo
Per adeguar col rifo i dolor tanti.
E s'io poteffi far ch' a gli occhi fanti
Porgeffe alcun diletto

Qualche dolce mio detto;

O me beato fopra gli altri amanti!
Ma più, quand' io dirò fenza mentire:
Donna mi prega; per ch' io voglio dire.*
* Questo è il principio d'una Canzone di Guido Cavalcanti.
Vaghi penfier, che così paffo paffo

Scorto m' avete a ragionar tant' alto;
Vedete, che Madonna ha 'l cor di fmalto
Si forte, ch'io per me dentro nol paffo:
Ella non degna di mirar sì baffo,
Che di noftre parole

Curi; che 'l Ciel non vole;

Al qual pur contraftando i' fon già laffo: Onde, come nel cor m' induro, e 'nnaspro; Così nel mio parlar voglio effer afpro.* * Questo è il principio d' una Canzone di Dante. Che parlo? o dove fono? e chi m' inganna Altri, ch'io fteffo, e'l defiar foverchio? Già, s'i' trafcorro il ciel di cerchio in cerchio, Neffun pianeta a pianger mi condanna. Se mortal velo il mio veder' appanna, Che colpa è delle ftelle,

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