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SONETTO. XLVI.

Minaccia a Laura, fe non muta natura; e la minaccia è di tal for

te, che gli Amanti, li quali da' primi verfi avevano presa spe-
ranza, che il Petrarca dovefle riufcire buon Poeta, la mala-
dirieno.

Arbor gentil che forte amai molt' anni;
Mentre i bei rami non m' ebber' a fdegno,
Fiqrir faceva il mio debile ingegno
Alla fua ombra, e crefcer negli affanni,
Poi che, fecuro me di tali inganni,
Fece di dolce sè fpietato legno;
I' rivolfi i penfier tutti ad un fegno,
Che parlan fempre de' lor trifti danni.
Che porà dir chi per Amor fofpira;
S'altra fperanza le mie rime nove
Gli aveffer data, e per coftei la perde?
Nè Poeta ne colga mai; nè Giove
La privilegi; ed al Sol venga in ira
Tal, che fi fecchi ogni fua foglia verde.

SONETTO XLVII.

Priega bene alle cagioni del fuo Athe

Athore, all' Amore, e agli effetti. Cagioni fono tempo, luogo, gli occhi di Laura, e gli fguardi. L'Amore fono le ferite. Effetti fono le voci, i fofpiri, il desio, le carte, e'l penfiero. Così moftra allegrezza, e appagamento del fuo Amore.

"

Benedetto fia 'l giorno, e'l mefe, e l'anno,
E la flagione, e 'l tempoo, e l' ora, e 'l punto,
E' bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
Da duo begli occhi, che legato m' hanno.

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E benedetto il primo dolce affanno
Ch'i' ebbi ad effer con Amor congiunto;
E l'arco,
e le faette ond' ï' fui punto;

E le piaghe ch' infin' al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch' io

Chiamando il nome di mia Donna ho sparte;
E i fofpiri, e le lagrime, e 'l delio.

E benedette fian tutte le carte

Ov' io fama le acquisto; el penfier mio,
Ch'è fol di lei, ficch' altra non v' ha parte.

SONETTO XLVIII.

Dopo l'undecimo anno del fuo Amore priega Dio, che voglia rivolgerlo a miglior luogo, acciocchè il Diavolo non abbia di lui vittoria; e dice quefto in generale negli otto primi Verfi. Poi ne' fei feguenti difcende al particolare, dicendo la quantità degli anni, la qualità del fuo mate, e qual fia questo mi gliore luogo, dove voglia essere rivolto.

Padre del Ciel, dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando fpefe

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Con quel fero defio ch' al cor s'accefe
Mirando gli atti per mio mal sì adorni;
Piacciati omai, col tuo lume ch' io torni A
Ad altra vita, ed a più belle imprefe;¶
Sì, cho avendo le reti indarno, tele,
Il mio duro avverfario fe ne fcorni.

Or volge, Signor mio, l' undecim' anno
Ch'i' fui fommeffo al difpietato giogo;
Che fopra i più foggetti è più feroce.

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Miferere del mio non degno affanno:
Riduci i penfier vaghi a miglior luogo:
Rammenta lor, com' oggi fofti in Croce.

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Dice da Laura con gli occhi, e con un faluto effere ftato ritor nato da morte a vita, e conchiude che ella ha in mano la Vita, e la Morte e la ringrazia non solamente della Vita, ma della Morte ancora, quando le piaccia di dargliele. L'artifizio è, che gli occhi riguardano il colore, come fuo oggetto; e il Saluto riguarda la falvezza della Vita; e il Suon del faluto riguarda il deftamento.

olgendo gli occhi al mio novo colore,
Che fa di morte rimembrar la gente,
Pietà vi moffe: onde benignamente
Salutando tenefte in vita il core.

La frale vita ch' ancor meco alberga,
Fu de' begli occhi voftri aperto dono,
E della voce angelica foave.

Da lor conofco l' effer' ov' io fono:
Che, come fuol pigro animal per verga,
Così deftaro in me l' anima grave.

Del mio cor, Donna, l'una e l'altra chiave
Avete in mano: e di ciò fon contento,
Prefto di navigar a ciascun vento:/
Ch' ogni cofa da voi m'è dolce onore,

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SONETTÓ XLIX.

Conforta Laura a lasciarfi amare, ancorachè egli non fia decevole Amante, poichè non può effere, che ella non fia da lui amata;

e il fuo proprio destino le vieta d' effere amata da altri, come da lui. Prende la fimilitudine della Pianta che sia piantata in arido Terreno.

Se voi potefte per turbati segni,

Per chinar gli occhi, o per piegar la tefta,
O per effer più d'altra al fuggir prefta
Torcendo 'l vifo a' preghi onefti, e degni,
Ufcir giammai, ovver per altri ingegni,
Del petto ove dal primo Lauro innefta
Amor più rami; i' direi ben, che questa
Foffe giufta cagione a' voftri fdegni:
Che gentil pianta in arido terreno

Par che fi difconvenga; e però lieta.
Naturalmente quindi fi diparte.
Ma poi voftro deftino voi pur vieta
L'effer altrove; provvedete almeno
Di non ftar fempre in odiofa parte.

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SONETTO L.

Difpera di potersi liberar mai dall' Amore di Laura, o di fminuirlo. Ma dice effere da tentare, che Laura ami.s

Laffo, che mal' accorto fui da prima
Nel giorno ch' a ferir mi venne Amore!
Ch' a paffo a paffo è poi fatto fignore
Della mia vita, e posto in fu la cima.

Io non credea, per forza di fua lima,
Che punto di fermezza, o di valore
Mancaffe mai nell' indurato core:
Ma così va chi sopra 'l ver s' eftima.
Da ora innanzi ogni difefa è tarda

Altra, che di provar, s'affai, o poco
Quefti preghi mortali Amore fguarda.'
Non prego già, nè puote aver più loco,
Che mifuratamente il mio cor' arda;
Ma che fua parte abbia coftei del foco.

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D' Inverno era, quando fcriffe quefta Seftina. Affomiglia a quefto il fuo ftato nella feconda Stanza, moftrando che egli ha ghiaccio, e nebbia. Affegna nella terza Stanza una qualità al Verno, che non pur la nebbia fi converte in pioggia, ma per Venti fi dilegua, e la pioggia ceffa; e la Primavera fa fparir le nevi, e 'l ghiaccio; ed i Fiumi corrono, che prima erano immobili. Nella quarta pone in lui una qualità contraria, e attribuisce a Laura uno ftato fimile, almeno di nome, al fuo, del quale nafce il fuo: ficcome nella quinta dice che è pieno di lagrime, che egli intende per Pioggia, e di fofpiri, che intende per Vento. Nella fefta fi chiama per contento di tutti i fofpiri, poichè fofpira per Laura, la quale gli fi moftrò la prima volta tanto piacevole e graziofa. Nella fettima fi duole che quel di paffafle così tofto.

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Laere gravato, e l'importuna nebbia b
Compreffa intorno da rabbiofi venti,
Tofto conven che fi converta in pioggia:
E già fon quafi di criftallo i fiumi:
E 'n vece dell' erbetta, per le valli
Non fi ved' altro che pruine, e ghiaccio.

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