BALLATA IV. Portare infegna d' Amore è, fecondo Dante, avere fembianti, e Perch' al vifo d' Amor portava insegna, Udii dir alta voce di lontano; Ahi quanti paffi per la felva perdi! BALLATA V. Propone il Petrarca due cofe, per le quali aveva penfato d' effere liberato da Amore, e quefto penfiero gli torna fallito.. pruova adduce nella feconda Stanza, per le lagrime, che fparge," e per gli tormenti, che fente. Nella terza rende la ragione, perchè Amore il voglia tormentar in questa guisa, è perchè non fi liberi da Amore. Q uel foco ch' io penfai che foffe fpento Dal freddo tempo, e dall' età men fresca; I Non fur mai tutte fpente, a quel ch' i' veggio; E temo, nòl fecondo error fia peggio. Che quand' ho più fperanza che 'l cor n' efca, 0000000000000: SONETTO XLIII. Aveva Laura al Petrarca promeffo o d'apparirgli a cotal ora, od ancora di lafciarfi parlare. E paffata l'ora, non effendo comparita, fcrive quefto Sonetto, nel quale fi duole, che gli tia mancata della promeffa. Se col cieco defir che'l cor diftrugge, Contando l'ore non m' ingann' io fteffo; E dentro dal mio ovil qual fera rugge? Ed or di quel ch'io ho letto, mi fovvene: பபய SONETTO XLIV. Si duole del trattamento fattogli da Laura, il quale era di non volergli far grazia alcuna; o, fe pur gliele faceva, di non lafciargliele godere lungamente. E fi difpera, moftrando per alcune impoffibili condizioni, che fempre farà così trattato: aggiungendo che, avvegnachè pur alcuna volta ella gli faccia grazia alcuna, egli non è di migliore condizione; perciocchè è egli tanto fdegnato, che non può gradire il bene. Mie venture al venir fon tarde e pigre; La fpeme incerta; e'l defir monta, e crefce: Onde 'l laffar, e l' afpettar m'increfce: E poi al partir fon più levi che tigre, Laffo, le nevi fien tepide; e nigre, El mar fenz' onda, e per l' Alpe ogni pefce; Prima ch'i' trovi in ciò pace, ne tregua; O Amor', o Madonna altr' ufo impari; E s'i' ho alcun dolce, è dopo tanti amari, I SONETTO XLV. I prefente Sonetto ha più bifogno d'Indovino, che di Sponitore. Par che il Petrarca mandaffe a donare un' Origliere, un Forzieretto, ed una Coppa ad un fuo Signore che fofle ftato innamorato, confortandolo a lafciare l'Amore. E fi trasforma in Medico, comandando che l'Infermo primieramente fi ponga in letto, e ripofi ful Guanciale la guancia. Poi, che tolga via la cagione del male, rinchiudendola quafi nel Forzieretto; e così, quafi come con dieta, non lasciando correr più materia l'affottiglia. Ultimamente con la Coppa gli vuol dar la Medicina, con la quale tragga via ogni corrotto umore. Domanda in fe la memoria cotale confervi opera appo guiderdone, che per di lui in guifa, che per Morte, non che per altro, non poffa ef ferne cacciato. La guancia, che fu già piangendo stanca, E col terzo bevete un fuco d' erba; Che purghe ogni penfier che 'l cor' afflige; 4 Me riponete ove 'I piacer fi ferba, Tal, ch' i' non tema del nocchier di Stige; i ** ** BALLATA VI. Quello, che dice brevemente ne' primi tre Verfi, diftende negli altri. Promette d'amar fempre, ancorachè gli fi nafconda la cagione del fuo Amore, che furono i Capelli, e gli Occhi. Perchè quel che mi traffe ad amar prima, Del mio fermo voler già non mi fvoglia. Tra le chiome dell' or nascose il laccio E da' begli occhi moffe il freddo ghiaccio, Con la vertù d'un fubito fplendore, Sol rimembrando ancor l' anima fpoglia, Tolta m'è poi di que' biondi capelli, Laffo, la dolce vista; El volger di duo lumi onefti, e belli Ma perchè ben morendo onor s'acquista; Non vo, che da tal nodo Amor mi fcioglia, 10 |