Eolo a Nettuno, ed a Giunon turbato SONETTO XXXIV. Ma poi che 'l dolce rifo umile, e piano Più non afconde fue bellezze nove; E defta i fior tra l'erba in ciafcun prato: ******************** SONETTO XXXV *** E Rende ragione, perchè ritornata Laura, fecondo me, da un Morto 1 figliuol di Latona avea già nove Poi, che cercando ftanco non feppe, ove S'albergaffe, da preffo, o di lontano; Moftrofi a noi qual' uom per doglia infano, Che molto amata cofa non ritrove: E così trifto ftandofi in difparte Tornar non vide il vifo che laudato 000000000000000000000**** SONETTO XXXVI. Dimoftra la crudeltà di Laura, per comparazioni. Cefare pianfe Pompeo fuo nemico. Davidde pianfe Affalonne, e Saule fuoi nemici. Ma voi non piangete me che muojo, e non fono voftro nemico; e maffimamente che effi erano fieri uomini. Que uel ch' in Teffaglia ebbe le man sì pronte E'l paftor ch' a Golia ruppe la fronte, Ma voi, che mai pietà non difcolora, Mi vedete ftraziare a mille morti: Nè lagrima però discese ancora Da' be' voftr' occhi; ma difdegno, ed ira. SONETTO XXXVII. Si lamenta, che ella specchiandofi, innamoratati di se stessa, fi goda fenza curarfi d' altrui. Cerca di rimoverla da ciò con due argomenti. L'uno è, che egli è da più, che uno fpecchio. L'altro, che le potrebbe avvenire di quello che avvenne a Narciffo. El mio avverfario, in cui veder folete Gli occhi voftri, ch' Amore, e 'l ciel' onora; Per configlio di lui, Donna, m' avete Ma s' io v'era con faldi chiovi fiffo, Certo fe vi rimembra di Narciffo; Quefto, e quel corfo ad un termino vanno: SONETTO XXXVIII. La Vernata s adornava Laura non folamente d'oro, e di perle, ma di fiori, i quali ella doveva confervare con gran cura. Laonde parendo più bella, più s'innamorava il Petrarca, e più sentiva paffione; onde dubitava di morire. Dice non dimeno, che un' altra cagione l'affanna più; e ciò fono gli fpecchi, per gli quali ella s'è innamorata di se steffa, li quali afferma effere ftati fabbricati in Inferno. L oro, e le perle, e i fior vermigli, e i bianchi, Che 'l verno devria far languidi, e fecchi; Son per me acerbi, e velenofi ftecchi, Ch'io provo per lo petto, e per li fianchi: Però i dì miei fien lagrimofi, e manchi: Che gran duol rade volte avvien che 'nvecchi. Quefti pofer filenzio al fignor mio, Che per me vi pregava; ond' ei fi tacque, Quefti fur fabbricati fopra l' acque D'abiffo, e tinti nell' eterno obblio; 1 SONETTO XXXIX. Par che Laura aveffe fatto a fapere al Petrarca, che per alcun rifpetto non dovesse paffarle davanti, ma ciò nonostante paffovvi. Or in quefto Sonetto fi fcufa di ciò, dicendo che, ricevendo vita da lei, è stato sforzato; e come pafciuto fe ne vivrà alcun tempo; e da capo, se non vorrà morire, farà sforzato a tornarvi. Lo fentia dentr' al cor già venir meno Contra la morte ogni animal terreno; Larga' il defio, ch' i' teng' or molto a freno; Però che dì, e notte indi m' invita; E' mi conduffe vergognofo, e tardo A riveder gli occhi leggiadri; ond' io, Vivrommi un tempo omai: ch' al viver mio |