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Perchè con lui cadrà quella fperanza
Che ne fè vaneggiar sì lungamente;
E'l rifo, e'l pianto, e la paura, e l'ira.
Si vedrem chiaro poi, come fovente
Per le cofe dubbiofe altri s'avanza:
E come fpeffo indarno fi fofpira,

SONETTO XXVI.

Inferma Laura a morte, fi fognò avanti il giorno, quando i Sogni fogliono effer Vifioni, che ella il confortaffe, e che gli diceffe che ancora non morrebbe. Scrive l'ora della mattina con quattro vie, due di Stelle, una del levamento della Vecchia, e una delle dipartenze degli Amanti,

Gria

rià fiammeggiava l'amorofa ftella

Per l'Oriente, e l'altra che Giunone
Suol far gelofa, nel Settentrione
Rotava i raggi fuoi lucente, e bella;

Levata era a filar la vecchierella

Difcinta, e fcalza, e defto avea 'l carbone:
E gli amanti pungea quella stagione
Che per ufanza a lagrimar gli appella;

Quando mia fpeme già condotta al verde
Giunfe nel cor, non per l'ufata via;
Che 'l fonno tenea chiufa, e'l dolor molle;

Quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
E parea dir, Perchè tuo valor perde?
Veder quefti occhi ancor non ti fi tolle.

SONETTO XXVII.

Priega Apollo per l'infermità di Laura. Apollo è Dio della Me dicina Apollo è il Sole; Apollo è l'Amante di Laura. Il mal tempo è nemico degl' infermi, e parimente il mal tempo è nemico del Lauro che ama buon tempo, e luoghi caldi. Laura, come Amata dee ricevere ajuto dall' Amante, acciocchè poffa comparire; come Inferma dal Medico; e dal Sole, come Albero confacrato ad Apollo, ed al Sole. Plinio lib. x11, cap, 1,

Apollo, s' ancor vive il bel desio

Che t'infiammava alle Teffaliche onde;' E fe non hai l'amate chiome bionde, Volgendo gli anni, già pofte in obblio; Dal gigro gielo, e dal tempo afpro, e rio, Che dura quanto 'l tuo vifo s'afconde; Difendi or l' onorata, e facra fronde Ove tu prima, e poi fu' invefcat' io:

E

per vertù dell' amorofa fpeme

Che ti foftenne nella vita acerba,
Di queste impreffion l'aere difgombra.

Si vedrem poi per maraviglia infieme
Seder la Donna noftra fopra l'erba,
E far delle fue braccia a sè ftefs' ombra.

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SONETTO XXVIII.

Rende la ragione, perchè ufi ne' luoghi folitarj: la quale è per non ifcoprire l'amor portato da lui a Laura. Ma per ciò non ifminuifce l'amore.

Solo,

e penfofo i più diferti campi
Vo mifurando a paffi tardi, e lenti;
E gli occhi porto per fuggir intenti
Dove veftigio uman la rena ftampi.
Altro fchermo non trovo che mi scampi
Dal manifefto accorger delle genti:
Perchè negli atti d'allegrezza spenti
Di fuor fi legge com'io dentro avvampi:

Sì, ch'io mi credo omai, che monti, e piagge,
E fiumi, e felve fappian di che tempre

Sia la mia vita; ch'è celata altrui.

Ma pur sì afpre vie, nè sì felvagge

Cercar non fo, ch' Amor non venga fempre
Ragionando con meco, ed io con lui.

SONETTO XXIX.

Defidera che Amore, o Infermità l'aggravi tanto, che ne muoja; e rende ragione, perchè egli con le fue mani non s'uccida.

S' Io credeffi per morte effère scarco

Del penfier' amorofo che m' atterra;
Con le mie mani avrei già pofto in terra
Queste membra nojofe, e quello incarco:

?

Ma perch'io temo, che farebbe un varco
Di pianto in pianto, e d'una in altra guerra;
Di quà dal paffo ancor che mi fi ferra,
Mezzo rimango laffo, e mezzo il varco.
Tempo ben fora omai d'avere fpinto
L'ultimo ftral la difpietata corda
Nell' altrui fangue già bagnato, e tinto:
Ed io ne prego Amore, e quella forda
Che mi lafsò de' fuoi color dipinto;
E di chiamarmi a sè non le ricorda.

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CANZONE IV.

Era lontano il Poeta da Laura, e la materia di questa Canzone

è di dolerfi d'effer lontano dalla cofa amata.

Si è

è debile il filo a cui s' attene

La gravofa mia vita,

Che, s'altri non l' aita,

Ella fia tofto di fuo corfo a riva:

Però che dopo l' empia dipartita
Che dal dolce mio bene

Feci, fol' una fpene

E' ftato infin' a qui cagion ch' io viva,
Dicendo, Perchè priva

Sia dell' amata vista;

Mantienti, anima trifta:...

Che fai, sa miglior tempo anco ritorni,
Ed a più lieti giorni?

O fel perduto ben mai fi racquista?
Quefta fperanza mi foftenne un tempo:
Or vien mancando, e troppo in lei m'attempo.

Il tempo paffa, e l' ore fon si pronte
A fornir il viaggio,

Ch' affai fpazio non aggio

Pur' a penfar, com' io corro alla morte,
Appena fpunta in Oriente un raggio..

Di Sol; ch' all' altro monte

Dell' avverfo orizzonte

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Giunto 'l vedrai per vie lunghe, e distorte.
Le vite fon si corte,

Si gravi i corpi, e frali

Degli uomini mortali;

Che quand' io mi ritrovo dal bel viso
Cotanto effer divifo,

Col defio non poffendó mover l' ali;
Poco m' avanza del conforto ufato:
Ne fo quant' io mi viva in quefto ftato.

Ogni loco m'attrifta ov io non veggio
Que' begli occhi foavi
Che portaron le chiavi

De' miei dolci penfier mentr' a Dio piacque:
E perchè 'l duro efilio più m' aggravi;
S'io dormo, o vado, o feggio;

Altro giammai non chieggio;

E ciò ch'i' vidi dopo lor, mi fpiacque.
Quante montagne, ed acque,

Quanto mar, quanti fiumi

M' afcondon que' duo lumi

Che quafi un bel fereno a mezzo die
Fer le tenebre mie,

Acciò che 'l rimembrar più mi confumi;
E quant' era mia vita allor giojofa,
M' infegni la prefente afpra, e nojofa

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