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SONETTI.

Anima, dove fei? ch'ad ora ad ora,
Di penfier'in penfier, di mal'in peggio
Perfeguendo ci vai: e del tuo feggio
Non fai pur ritrovar la parte ancora.
Tu fei pur meco: e non puoi effer fuora
Fin che Morte non fa quel che far deggio.
Ma dove fei? ch'io non ti fento, o veggio
Star dov'è'l ben che noftra vita onora.

Levati, fconfolata: che riparo

Al noftro mal neffun non è, nè modo:
E non cercar la via di maggior doglia.
S'Amor t'incalza, e ftrigne col fuo nodo,
Penfa, che tempo affai più grato, e caro
Poria in parte contentar tua voglia.

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Stato fofs' io quando la vidi prima,

Com' or fon dentro, allor cieco di fore:
O foffe ftato si duro'l mio core,
Come diamante in cui non puote lima:
Ovver fofs' io or si dicente in rima,

Quant'a efprimer baftaffe il mio dolore:
Ch'io la farei o amica d' Amore,
Ovver' odiofa al mondo fenza ftima.
O foffe Amor ver me benigno, e grato:
E foffe ver, come è giusto, e poffente,
Giudice a diffinir il nostro piato:

O Morte aveffe le fue orecchie intente
Si inverfo me, che l'ultimo fiato
Poneffe fin' al mio viver dolente.

*****

**************

In ira ai cieli, al mondo, ed alla gente,
All' abiffo, alla terra, a gli animali
Poffi venir, cagion di tanti mali,
Empio, malvagio, duro, e fconoscente.
Ed a te fteffo poi gran fiamma ardente
Veggi dal ciel cader fu le tu' ali,
Ch'arda a te l'arco, la corda, e gli strali:
E tue menzogne al tutto fieno fpente.
Poi che si peffo al tuo vifco m'adeschi,
E con falfi piacer mi leghi, e prendi,
E poi di molto amaro il cor m'invefchi.
Con vaghi fegni mi ti moftri, e rendi

Più volte: pofcia par che ti rincrefchi:
E fo ben ch'altri, non che tu m'intendi.

Se fotto legge, Amor, vivesse quella

Che mi toglie in amar e legge, e freno:
Pregherei te, che, non amando io meno,
Senza arder mi fcaldaffe tua facella,
Ma quefta falfa fera come bella,

Si gode che per lei fendendo peno:
E fua vaghezza investe tal veneno,
Che più fendendo, più fon vago d'ella.

***

Deh, dolce fignor mio, ancor riguarda
Se la tua fiamma le puoi far fentire:
E fpegni me, che la fua più non m'arda.
Se per fua colpa mi vedrà morire,
Averanne pietà, benchè fia tarda:
Pur farà mia vendetta'l fuo languire.

XXXXX

Laffo, com'io fui mal'approveduto

L'ora ch'io mi fidai negli occhi miei:
Che trattaron con gli occhi di costei
Il vago inganno ond' io fon sì traduto!
Schiavo fon fatto: e ciafcun dì tributo
Di profondi fofpiri farò a lei

Fin che Morte pon fine ai giorni rei,
O tu, dolce fignor, mi mandi ajuto.
Sai che tal ftrazio a te è difonore:

Sotto lo cui richiamo io fon derifo
Da quefta difpregiante 'l tuo valore.
Signor, fa vaga lei del fuo bel vifo,

Da poi che fuor di sè non fente ardore:
Rinnova in lei l'efempio di Narcifo.

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Que

uella che'l giovenil mio cor'avvinfe
Nel primo tempo ch'io conobbi Amore,'
Del fu'albergo leggiadro ufcendo fore,
Con gran mio duol d'un bel nodo mi scinse.

Ne

Ne poi nova bellezza l'alma ftrinfe:
Nè luce circondò che feffe ardore,
Altro che la memoria del valore
Che con dolci durezze la fofpinfe.
Ben volfe quei che con begli occhi aprilla,
Con altre chiavi riprovar fu'ingegno:

E

Ma nova rete vecchio augel non prende. pur fui in dubbio tra Cariddi, e Scilla: E paflai le Sirene in fordo legno;

Com'uom che par ch' afcolti, e nulla intende.

Que

uella ghirlanda che la bella fronte
Cingeva di color tra perle, e grana,
Sennuccio mio, parveti cofa umana,
O d'angeliche forme al mondo gionte?
Vedeftù l'atto, e quelle chiome conte,
Che fpeffo il cor mi morde, e mi rifana?
Vedeftù quel piacer che m'allontana
D'ogni vile penfier, ch'al cor mi monte?
Udiftù'l fuon delle dolci parole?

Miraftù quell'andar leggiadro, altero,
Dietro a chi ho difviati i pénfier miei?
Soffriftù'l fguardo invidiofo al Sole?

Or fai per ch' io ardo, vivo, e fpero;
Ma non fo dimandar quel ch'io vorrei.

I feguenti due Sonetti vengono attribuiti al Petrarca in un Codice MS. della Libreria Ambrofiana; come dice il Ch. Sign. Mu ratori.

uando, Donna, da prima io rimirai
Gli occhi leggiadri alle mie pene intenti,
E fentii l'armonia de'voftri accenti,
D'amorofa beltà preso infiammai,
S'i'arfi, ed ardo poi, Amor, tu'l fai,
Che dole' efca porgefti a' raggi fpenti;
El provan bene i miei fofpir dolenti,
E'l volto ove l'immagin dipinto hai,
Ma fe da cor gentil mercè s' attende,
Rendi l'ufata vifta, e il chiaro lampo
All'alma, che s'affretta alla partita.
E fe pietà di me pur non ti prende;
Almen con morte trammi d'efto campo,
Dolce a tanti martír vie più che vita.

Woftra beltà, che al mondo appare un Sole,
E'l dolce lampeggiar del chiaro volto,
M'hanno dal mio cammin si forte volto,
Che mi giova feguir quel che mi duole,
Gli occhi voftri, e la bocca, e le parole,
C'hanno del mondo ogni valor raccolto,
Già mi legaro; or più non andrò fciolto;
E conviemmi voler quel ch'altri vuole.

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