Da indi in qua fo che fi fa nel chioftro Non curando di me, nè di mie pene, Quefto fignor, che tutto'l mondo sforza, Teme di lei; ond' io fon fuor di spene. Ch'a mia difesa non ho ardir, nè forza: E quello in ch'io fperava, lei lufinga; Un fingular fuo proprio portamento, Agguagliar mai parlando: o la virtute, Ov'è'l mio ftil quafi al mar picciol fiume? Nove cofe, e giammai più non vedute, Nè da veder giammai più d'una volta; Ove tutte le lingue farian mute. Così prefo mi trovo, ed ella fciolta; E prego giorno, e notte (o ftella iniqua!) Ed ella appena di mille uno afcolta. Dura legge d'Amor: ma benchè obliqua, Servar convienfi; però ch'ella aggiunge Di cielo in terra, univerfale, antiqua. Or fo come da sè il cor fi difgiunge, E come fa far pace, guerra, e tregua; E coprir fuo dolor quand' altri'l punge. E fo come in un punto fi dilegua, E poi fi fparge per le guance il fangue; Se paura, o vergogna avvien che'l fegua. So come fta tra' fiori ascoso l'angue; Come fempre fra due fi vegghia, e dorme; Come fenza languir fi more, e langue. So della mia nemica cercar l'orme, E temer di trovarla; e fo in qual guifa L'amante nell' amato fi trasforme. So fra lunghi fofpiri, e brevi rifa Stato, voglia, color cangiare fpeffo; Viver, ftando dal cor l'alma divifa. So mille volte il dì ingannar me fteffo: So, feguendo 'l mio foco, ovunque fugge, Arder da lunge, ed agghiacciar da preffo. So com' Amor fopra la mente rugge, E com'ogni ragione indi difcaccia; E fo in quante maniere il cor fi ftrugge, So di che poco canape s'allaccia Un'anima gentil quand'ella è fola, E non è chi per lei difefa faccia. So com' Amor faetta, e come vola; E fo com' or minaccia, ed or percote; Le fperanze dubbiofe, e'l dolor certo; In fomma fo com'è inconftante, e vaga, DEL TRIONFO D'AMORE. Pofcia che mia fortuna in forza altrui Per che torti fentieri, e con qual' arte O per antiche, o per moderne carte; Vidi colui che fola Euridice ama, E lei fegue all'inferno, e per lei morto Con la lingua già fredda la richiama, Alceo conobbi, a dir d'amor sì fcorto, Pindaro; Anacreonte, che rimeffe Avea fue Mufe fol d'Amore in porto. Virgilio vidi; e parmi intorno aveffe Compagni d'alto ingegno, e da trastullo, Ecco Cin da Piftoja; Guitton d'Arezzo; Che fur già primi, e quivi eran da fezzo. Sennuccio, e Francefchin; che fur sì umani, Com'ogni uom vide: e poi v'era un drappello Di portamenti, e di volgari strani. Fra tutti il primo Arnaldo Daniello Gran maeftro d'amor; ch'alla fua terra Eranvi quei ch' Amor sì leve afferra, e bello. L'un Pietro, e l'altro; e'l men famofo Arnaldo; E quei che fur conquifi con più guerra; I'dico l'uno, e l'altro Raimbaldo, Che cantar pur Beatrice in Monferrato; E'l vecchio Pier d' Alvernia con Giraldo, Folchetto, ch'a Marfiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto; ed all'eftremo Cangiù per miglior patria abito, e ftato. Gianfrè Rudel, ch'usò la vela, e 'l remo A cercar la fua morte; e quel Guglielmo Che per cantar ha'l fior de' fuoi di fcemo. Amerigo, Bernardo, Ugo, ed Anfelmo; E mille altri ne vidi, a cui la lingua Lancia, e spada fu fempre, e fcudo, ed elmo, E poi convien che'l mio dolor diftingua; Volfimi a' noftri; e vidi'l buon Tomaffo, Ch'orno Bologna, ed or Meffina impingua, O fugace dolcezza! o viver laffo! Chi mi ti tolfe si tosto dinanzi, Senza'l qual non fapea mover un paffo? Dove fe' or, che meco eri pur dianzi? Ben'è'l viver mortal, che si n'aggrada, Sogno d'infermi, e fola di romanzi, Poco era fuor della commune ftrada, Quando Socrate, e Lelio vidi in prima: Poria, nè'n profa affai ornar, nè'n verfi; Con questi duo cercai monti diversi Andando tutti e tre fempre ad un giogo, Onde forfe anzi tempo ornai le tempie |