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Da indi in qua fo che fi fa nel chioftro
D'Amor'; e che fi teme, e che fi fpera,
A chi fa legger, nella fronte il moftro.
E veggio andar quella leggiadra fera,

Non curando di me, nè di mie pene,
Di fua virtute; e di mie fpoglie altera.
Dall'altra parte, s'io difcerno bene,

Quefto fignor, che tutto'l mondo sforza, Teme di lei; ond' io fon fuor di spene. Ch'a mia difesa non ho ardir, nè forza:

E quello in ch'io fperava, lei lufinga;
Che me, e gli altri crudelmente fcorza.
Coftei non è chi tanto o quanto ftringa;
Così felvaggia, e ribellante fuole
Dall'infegne d'Amor' andar folinga.
E veramente è fra le ftelle un Sole

Un fingular fuo proprio portamento,
Suo rifo, fuoi difdegni, e fue parole:
Le chiome accolte in oro, o fparse al vento;
Gli occhi ch'accefi d'un celefte lume
M'infiamman sì, ch'io fon d'arder contente.
Chi poria❜l manfueto alto costume

Agguagliar mai parlando: o la virtute, Ov'è'l mio ftil quafi al mar picciol fiume? Nove cofe, e giammai più non vedute, Nè da veder giammai più d'una volta; Ove tutte le lingue farian mute. Così prefo mi trovo, ed ella fciolta;

E prego giorno, e notte (o ftella iniqua!) Ed ella appena di mille uno afcolta. Dura legge d'Amor: ma benchè obliqua, Servar convienfi; però ch'ella aggiunge Di cielo in terra, univerfale, antiqua.

Or fo come da sè il cor fi difgiunge,

E come fa far pace, guerra, e tregua; E coprir fuo dolor quand' altri'l punge. E fo come in un punto fi dilegua,

E poi fi fparge per le guance il fangue; Se paura, o vergogna avvien che'l fegua. So come fta tra' fiori ascoso l'angue;

Come fempre fra due fi vegghia, e dorme; Come fenza languir fi more, e langue. So della mia nemica cercar l'orme, E temer di trovarla; e fo in qual guifa L'amante nell' amato fi trasforme. So fra lunghi fofpiri, e brevi rifa Stato, voglia, color cangiare fpeffo; Viver, ftando dal cor l'alma divifa. So mille volte il dì ingannar me fteffo: So, feguendo 'l mio foco, ovunque fugge, Arder da lunge, ed agghiacciar da preffo. So com' Amor fopra la mente rugge, E com'ogni ragione indi difcaccia; E fo in quante maniere il cor fi ftrugge, So di che poco canape s'allaccia

Un'anima gentil quand'ella è fola, E non è chi per lei difefa faccia. So com' Amor faetta, e come vola;

E fo com' or minaccia, ed or percote;
Come ruba per forza, e come invola;
E come fono inftabili fue rote;

Le fperanze dubbiofe, e'l dolor certo;
Sue promeffe di fè come fon vote.
Come nell' offa il fuo foco coperto,
E nelle vene vive occulta piaga;
Onde morte è palefe, e'ncendio aperto,

In fomma fo com'è inconftante, e vaga,
Timida, ardita vita degli amanti;
Ch'un poco dolce molto amaro appaga.
E foi coftumi, ei lor fofpiri, e i canti,
E' parlar rotto, e'l fubito filenzio,
E'l breviffimo rifo, ei lunghi pianti,
E qual' è'l mel temprato con l'affenzio.

DEL TRIONFO D'AMORE.
CAP. IV.

Pofcia che mia fortuna in forza altrui
M'ebbe fofpinto, e tutti incifi i nervi
Di libertate, ov' alcun tempo fui;
Io, ch'era più falvatico che cervi,
Ratto domefticato fui con tutti
I miei infelici, e miferi confervi.
E le fatiche lor vidi, e'lor lutti,

Per che torti fentieri, e con qual' arte
All'amorofa greggia eran condutti.
Mentre ch'i' volgea gli occhi in ogni parte,
S'i'ne vedeffi alcun di chiara fama

O per antiche, o per moderne carte; Vidi colui che fola Euridice ama,

E lei fegue all'inferno, e per lei morto Con la lingua già fredda la richiama, Alceo conobbi, a dir d'amor sì fcorto, Pindaro; Anacreonte, che rimeffe

Avea fue Mufe fol d'Amore in porto.

Virgilio vidi; e parmi intorno aveffe

Compagni d'alto ingegno, e da trastullo,
Di quei che volentier già'l mondo eleffe:
L'un' era Ovidio, e l'altr'era Catullo,
L'altro Properzio, che d'amor cantaro
Fervidamente; e l'altr'era Tibullo.
Una giovane Greca a paro a paro
Coi nobili poeti gía cantando;
Ed avea un fuo ftil leggiadro, e raro.
Così or quinci, or quindi rimirando,
Vidi in una fiorita, e verde piaggia
Gente che d'amor givan ragionando.
Ecco Dante, e Beatrice: ecco Selvaggia

Ecco Cin da Piftoja; Guitton d'Arezzo;
Che di non effer primo par ch'ira aggia.
Ecco i duo Guidi, che già furo in prezzo;
Onefto Bolognefe; e i Siciliani,

Che fur già primi, e quivi eran da fezzo. Sennuccio, e Francefchin; che fur sì umani, Com'ogni uom vide: e poi v'era un drappello Di portamenti, e di volgari strani.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello

Gran maeftro d'amor; ch'alla fua terra
Ancor fa onor col fuo dir novo,

Eranvi quei ch' Amor sì leve afferra,

e bello.

L'un Pietro, e l'altro; e'l men famofo Arnaldo; E quei che fur conquifi con più guerra; I'dico l'uno, e l'altro Raimbaldo,

Che cantar pur Beatrice in Monferrato; E'l vecchio Pier d' Alvernia con Giraldo, Folchetto, ch'a Marfiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto; ed all'eftremo Cangiù per miglior patria abito, e ftato.

Gianfrè Rudel, ch'usò la vela, e 'l remo

A cercar la fua morte; e quel Guglielmo Che per cantar ha'l fior de' fuoi di fcemo. Amerigo, Bernardo, Ugo, ed Anfelmo; E mille altri ne vidi, a cui la lingua Lancia, e spada fu fempre, e fcudo, ed elmo, E poi convien che'l mio dolor diftingua; Volfimi a' noftri; e vidi'l buon Tomaffo, Ch'orno Bologna, ed or Meffina impingua, O fugace dolcezza! o viver laffo! Chi mi ti tolfe si tosto dinanzi,

Senza'l qual non fapea mover un paffo? Dove fe' or, che meco eri pur dianzi? Ben'è'l viver mortal, che si n'aggrada, Sogno d'infermi, e fola di romanzi, Poco era fuor della commune ftrada,

Quando Socrate, e Lelio vidi in prima:
Con lor più lunga via convien ch'io vada.
O qual coppia d'amici! che nè'n rima

Poria, nè'n profa affai ornar, nè'n verfi;
Siccome di virtù nuda fi ftima.

Con questi duo cercai monti diversi

Andando tutti e tre fempre ad un giogo,
A quefti le mie piaghe tutte aperfi.
Da coffor non mi può tempo, nè luogo
Divider mai; ficcome fpero, e bramo;
Infin' al cener del funereo rogo.
Con coftor colfi'l gloriofo ramo

Onde forfe anzi tempo ornai le tempie
In memoria di quella ch'i' tant' amo.
Ma pur di lei che'l cor di penfier m'empie,
Non potei coglier mai ramo, nè foglia;
Si fur le fue radici acerbe, ed empie:

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