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Che divenne un bel fior senz'alcun frutto;
E quella che lui amando, in viva voce
Fecefi'l corpo un duro faffo afciutto.
Ivi quell'altro al mal fuo sì veloce
Ifi, ch'amando altrui, in odio s'ebbe;
Con più altri dannati
fimil croce;
Gente cui per amar viver increbbe:
Ove raffigurai alcun' moderni,

Cha nominar perduta opra farebbe.
Quei duo che fece Amor compagni eterni,
Alcione, e Ceice, in riva al mare
Far i lor nidi a' più foavi verni:
Lungo coftor penfofo Efaco ftare,

Cercando Efperia, or fopr'un faffo affifo,
Ed or fott'acqua, ed or'alto volare:
E vidi la crudel figlia di Nifo

Fuggir volando, e correr Atalanta
Di tre palle d'or vinta, e d'un bel viso;
E feco Ippomenes, che fra cotanta
Turba d'amanti, e miferi curfori
Sol di vittoria fi rallegra, e vanta.
Fra quefti favolofi, e vani amori

Vidi Aci, e Galatea, che 'n grembo gli era; E Polifemo farne gran romori: Glauco, ondeggiar per entro quella schiera Senza colei cui fola par che pregi, Nomando un' altra amante acerba, e fera: Carmente, e Pico, un già de' noftri regi, Or vago augello; e chi di ftato il moffe, Lafciógli'l nome, e'l real manto, e i fregi. Vidi 'l pianto d'Egeria, e'n vece d'offe Scilla indurarfi in petra afpra ed alpeftra, Che del mar Siciliano infamia foffe:

E quella che la penna da man deftra,
Come dogliofa, e difperata fcriva,
E'l ferro ignudo tien dalla fineftra:
Pigmalion con la fua donna viva es
E mille chen Caftalia, ed Aganippe
Vidi cantar per l'una e l'altra riva;
E d'un pomo beffata al fin Cidippe.

DEL TRIONFO D'AMORE

CAP. III.

Era si pieno il cor di maraviglie,

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Ch'io flava come l'uom che non può dire, E tace, e guarda pur ch'altri'l configlie; Quando l'amico mio: Che fai? che mire?

Che penfi? diffe; non fai tu ben, ch'io
Son della turba, e mi convien seguire?
Frate, rifpofi, e tu fai l'effer mio, sì ma
E l'amor di faper, che m'ha sì accefo,
Che l'opra è ritardata dal defio. Vi
Ed egli. I't' avea già tacendo intefo:

Tu vuoi faper chi fon quest'altri ancora:
I'tel dirò, fe'l dir non m'e contefo.
Vedi quel grande, il quale ogni uomo onora:
Egli è Pompeo, ed ha Cornelia feco;
Che del vil Tolomeo fi lagna, e plora.,
L'altro più di lontan, quell'è'l gran Greco;
Ne vede Egifto, e l'empia Clitenneftra:
Or puoi veder Amor, s'egli è ben cieco.

Altra fede, altro amor vedi Ipermeftra;
Vedi Piramo e Tisbe infieme all'ombra,
Leandro in mare, ed Ero alla fineftra.
Quel sì penfofo è Uliffe affabil ombra,

..

Che la cafta mogliera afpetta, e prega: Ma Circe amando gliel ritiene, e'ngombra. L'altr'è'l figliuol d'Amilcar'; e nol piega In cotant'anni Italia tutta, e Roma, Vil femminella in Puglia il prende, e lega. Quella che 'l fuo fignor con breve chioma Va feguitando, in Ponto fu reina;

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Or'in atto fervil se fteffa doma.

L'altra è Porzia, che'l ferro al foco affina:
Quell' altra è Giulia; e duolfi del marito,
Ch' alla feconda fiamma più s'inchina.
Volgi in qua gli occhi al gran padre fchernito;
Che non fi pente, e d'aver non gl'incresce
Sette e fett'anni per Rachel fervito.
Vivace amor, che negli affanni cresce:
Vedi'l padre di quefto; e vedi l'avo,
Come di fua magion fol con Sarra efce.
Poi guarda, come Amor crudele, e pravo
Vince David, e sforzalo a far I' opra
Onde poi pianga in luogo ofcuro, e cavo.
Simile nebbia par ch' ofcuri, e copra

Del più faggio figliuol la chiara fama,
El parta in tutto dal Signor di fopra.
Ve' l'altro che'n un punto ama, e difama:
Vedi Tamár, ch'al fuo frate Abfalone
Difdegnofa, e dolente fi richiama.

Poco dinanzi a lei vedi Sansone,

Via più forte che faggio, che per ciance
In grembo alla nemica il capo pone,

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Vedi qui ben fra quante fpade, e lance
Amor', e'l fonno, ed una vedovetta
Con bel parlar', e fue pulite guance
Vince Oloferne; e lei tornar foletta

Con un' ancilla, e con l'orribil teschio,
Dio ringraziando a mezza notte in fretta.
Vedi Sichen, e'l fuo fangue, ch'è meschio
Della circoncifion', e della morte;

E'l padre colto, e'l popolo ad un vefchio; Questo gli ha fatto il fubito amar forte.

Vedi Affuero; e'l fuo amor' in qual modo Va mendicando, acciò che 'n pace il porte. Dall'un fi fcioglie, e lega all'altro nodo: Cotale ha quefta malattia rimedio,

Come d'affe fi trae chiodo con chiodo.
Vuoi veder in un cor diletto, e tedio,

Dolce, ed amaro? or mira il fero Erode;
Ch' Amor', e crudeltà gli han pofto affedio.
Vedi com'arde prima, e poi fi rode
Tardi pentito di fua feritate;

Marianne chiamando, che non l'ode.
Vedi tre belle donne innamorate,
Procri, Artemisia, con Deidamía;
Ed altrettante ardite, e fcellerate,

Semiramis, e Bibli, e Mirra ria;

Come ciafcuna par che fi vergogni
Della fua non conceffa, e torta via.
Ecco quei che le carte empion di fogni,
Lancilotto, Triftano, e gli altri erranti,
Onde conven che'l vulgo errante agogni.
Vedi Ginevra, Ifotta, e l'altre amanti,
E la coppia d'Arimino, che 'nfeme
Vanno facendo dolorofi pianti.

Così

Così parlava: ed io, com'uom che teme
Fururo male, e trema anzi la tromba,
Sentendo già dov'altri ancor nol preme;
Avea color d'uom tratto d'una tomba;
Quand' una giovinetta ebbi da lato
Pura via più che candida colomba.
Ella mi prefe: ed io, ch'arei giurato
Difendermi da uom coperto d'arme,
Con parole, e con cenni fui legato:
E come ricordar di vero parme,

L'amico mio più preffo mi fi fece;
E con un rifo, per più doglia darme,
Diffemi entro l'orecchie: Omai ti lece
Per te fteffo parlar con chi ti piace,
Che tutti fiam macchiati d'una pece.
Io era un di color cui più difpiace

Dell'altrui ben, che del fuo mal, vedendo
Chi m'avea prefo, in libertate, e'n pace:
E, come tardi dopo 'l danno intendo,

Di fue bellezze mia morte facea,
D'amor, di gelofia, d'invidia ardendo.
Gli occhi dal fuo bel vifo non volgea,
Com'uom ch'è infermo, e di tal cofa ingordo,
Ch'al gusto è dolce, alla falute è rea.
Ad ogni altro piacer cieco era, e fordo
Seguendo lei per sì dubbiosi paffi,

Ch'i' tremo ancor qualor me ne ricordo.
Da quel tempo ebbi gli occhi umidi, e baffi,
El cor penfofo, e folitario albergo
Fonti, fiumi, montagne, bofchi, e faffi,
Da indi in qua cotante carte afpergo
Di penfieri, di lagrime, e d'inchioftro;
Tante ne fquarcio, n'apparecchio, e vergo,

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