Da due cofe fu ftimolato il Petrarca principalmente, da defiderio amorofo, "e da vaghezza di fama: di che teflette già la Canzone: l'vo penfando ec, ed al prefente teffe tutti quefti Capitoli che fono dodici: quattro d'Amore, un di Caftità, due di Morte, tre di Fama, un del Tempo, ed un dell' Eternità. Or lo'ntendimento fuo fi è convertimentó a Dio, e pentùmento de 'predetti desiderj.
Nel fofpiri
el tempo che rinnova i miei fofpiri Per la dolce memoria di quel giorno Che fu principio a sì lunghi martiri; Scaldava il Sol già l'uno, e l'altro corno Del Tauro, e la fanciulla di Titone Correa gelata al fuo antico foggiorno. Amor, gli fdegni, e'l pianto, e la ftagione Ricondotto m' aveano al chiufo loco Ov ogni fafcio il cor laffo ripone. Ivi fra l'erbe già del pianger fioco, Vinto dal fonno, vidi una gran luce, E dentro affai dolor con breve gioco. Vidi un vittoriofo, e femmo duce,
Pur com' un di color che 'n Campidoglio Trionfal carro a gran gloria conduce.
Io, che gioir di tal vista non foglio,
Per lo fecol nojofo in ch' io mi trovo, Voto d'ogni valor, pien d'ogni orgoglio; L'abito altero, inufitato, e novo
Mirai; alzando gli occhi gravi, e ftanchi: Ch' altro diletto che 'mparar, non provo. Quattro deftrier via più che neve bianchi: Sopr' un carro di foco un garzon crudo Con arco in mano, e con faette a' fianchi; Contra le quai non val' elmo, nè fcudo: Sopra gli omeri avea fol due grand' ali Di color mille, e tutto l'altro ignudo: D'intorno innumerabili mortali,
Parte prefi in battaglia, e parte uccisi, Parte feriti da pungenti ftrali. Vago d'udir novelle, oltra mi misi
Tanto, ch' io fui nell' effer di quegli uno Ch' anzi tempo ha di vita Amor divifi. Allor mi ftrinfi a rimirar, s' alcuno Riconofceffi nella folta fchiera
Del Re fempre di lagrime digiuno. Neffun vi riconobbi: e s' alcun v' era Di mia notizia, avea cangiato vista Per morte, o per prigion crudele, e fera, Un' ombra alquanto men che l' altre trifta Mi fi fè incontro; e mi chiamò per nome Dicendo: Quefto per amar s' acquista. Ond' io maravigliando diffi: Or come Conofci me, ch' io te non riconosca? Ed ei: Quefto m' avvien per l' afpre fome De' legami ch' io porto; e l'aria fofca Contende a gli occhi tuoi: ma vero amico Ti fono; e teco nacqui in terra Tosca,
Le fue parole, 1 ragionar' antico
Scoperfon quel che 'l vifo mi celava: E così n' afcendemmo in luogo aprico: E cominciò: Gran tempo è ch' io penfava Vederti qui fra noi: che da' prim' anni Tal prefagio di te tua vifta dava,
E' fu ben ver: ma gli amorofi affanni
Mi fpaventar, sì, ch'io lasciai l'imprefa: Ma quarciati ne porto il petto, e i panni: Così difs' io: ed ei quand' ebbe intesa La mia rifpofta, forridendo diffe:
O figliuol mio, qual per te fiamma è accesa! Io non l'intefi allor: ma or sì fiffe Sue parole mi trovo nella testa;
Che mai più faldo in marmo non fi fcriffe, E per la nova età, ch' ardita, e prefta Fa la mente, e la lingua; il dimandai: Dimmi per cortefia, che gente è questa. Di qui a poco tempo tu 'l faprai
Per te fteffo, rifpofe; e farai d'elli; Tal per te nodo faffi, e tu nol fai: E prima cangerai volto, e capelli,
Che 'l nodo di ch' io parlo, fi difcioglia Dal collo, e da' tuo' piedi ancor ribelli. Ma per empir la rua giovenil voglia, Dirò di noi, e prima del maggiore; Che così vita, e libertà ne fpoglia. Queft' è colui che 'l mondo chiama Amore; Amaro, come vedi, e vedrai meglio Quando fia tuo, come noftro fignore: Manfueto fanciullo, e fiero veglio: Ben fa ch' il prova; e fiati cofa piana Anzi mill' anni; e 'nfin' ad or ti fveglio.
nacque d’ozio, e di hfcivia umand, or thi Nudrito di penfier dolci, e foavi
Fatto fignor, e Dio da gente vanang 30 Qual' è morto da lui; qual con più gravi Leggi mena fua vita afpra, ed acerba Sotto mille catene, e mille chiavi, il no Quel che 'n si fignorile, e si fuperba or Vista vien prima, è Cefar, che 'n Egitto Cleopatra legò tra' fiori, e l' erba,
Or di lui fi trionfa: ed è ben dritto;
Se vinfe il mondo, ed altri ha vinto lui; Che del fuo vincitor fi glorie il vitto. L'altro è'l fuo figlio: e pur' amò coftui Più giuftamente: egli è Cefare Augusto, Che Livia fua pregando tolle altrui.^ Neron' è'l terzo difpietato, e 'ngiufto:
Vedilo andar pien d' ira, e di difdegno Femmina 'l vinfe; e par tanto robusto. Vedi 'l buon Marco d'ogni laude degno, Pien di filofofia la lingua, el petto: Pur Fauftina il fa qui ftar a fegno. Que' duo pien' di paura, e di fofpetto,
L' un' è Dionifio, e l'altro è Aleffandro: Ma quel del fuo temer ha degno effetto. L'altro è colui che pianfe fotto Antandro La morte di Creufa, e 'l fuo amor tolfe A quel che 'l fuo figliuol tolfe ad Evandro. Udito hai ragionar d'un che non volfe Confentir al furor della matrigna;
E da' fuoi preghi per fuggir fi fciolfe: Ma quella intenzion cafta, e benigna L'uccife; si l'amor in odio torfeat Fedra amante terribile, e maligna: G
Ed ella ne morío, vendetta forfe
D' Ippolito, di Tefeo, e d' Adrianna;
Ch' amando, come vedi, a morte corse. Tal biafma altrui, che sè fteffo condanna: Che chi prende diletto di far frode, Non fi de lamentar s' altri l' inganna, Vedi 'l famofo con tante fue lode
Prefo menar fra due forelle morte; L'una di lui, ed ei dell' altra gode, Colui ch'è feco, è quel poffente, e forte Ercole, ch' Amor prefe; e l'altro è Achille; Ch' ebbe in fuo amor' affai dogliofa forte. Quell' altro è Demofonte, e quella è Fille: Quell' è Giafon', e quell' altra è Medea,. Ch' Amor', e lui feguì per tante ville: E quanto al padre, ed al fratel fu rea, Tanto al fuo amante più turbata, e fella; Che del fuo amor più degna effer credea. Ififile vien poi: e duolfi anch'ella
Del barbarico amor che'l fuo gli ha tolto: Poi vien colei c' ha 1 titol d' effer bella: Seco ha'l paftor che mal' il fuo bel volto Mirò si filo; ond' ufcir gran tempefte, E funne il mondo fottofopra volto.
Odi poi lamentar fra l'altre meste
Enone di París, e Menelaoth g
D' Elena, ed Ermión chiamare Orefte, A E Laodamía il fuo Protefilao,
Ed Argía Polinice, aflai più fida
Che avara moglier d'Anfiarao.} { Odi i pianti, e fofpiri; odi le ftrida Delle mifere accefe, che gli fpirti Rendéro a lui che 'n tal modo le guida.
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