Che Natura non vol, nè fi convene, Per far ricco un, por gli altri in povertate: Or versò in una ogni fua largitate: Perdonimi qual' è bella, o fi tene. Non fu fimil bellezza antica, o nova, Nè farà, credo: ma fu sì coverta, Ch' appena fe n' accorfe il mondo errante. Tofto difparve; onde 'l cangiar mi giova La poca vifta a me dal Cielo offerta, Sol per piacer alle fue luci fante, Defiderio di convertirfi da cofa trascorrevole ad eterna, tempo, o ciel volubil, che fuggendo Da rivoltarli in più ficura parte, Nè dal tuo giogo, Amor, l'alma fi parte, Significa qual foffe Laura che egli fe n'innamorò: quando ella mori: e perchè, Quel uel che d'odore, e di color vincea Frutti, fiori, erbe, e frondi; onde 'l Ponente Ogni bellezza, ogni virtute ardente, Pofi in quell' alma pianta; e 'n foco, e'n gielo Pieno era 'l mondo de' fuo' onor perfetti 0000000000:0:000000000 SONETTO LXVII. Rende la ragione, perchè niuno fi doglia della morte di Laura, se non egli, concioffiacofachè il danno tocchi ad ogn' uno, Lafciato hai, Morte, fenza Sole il mondo Cortefia in bando, ed oneftate in fondo: O fi fcufa perchè non abbia feritto lodi uguali alle bellezze di Laura, o, che più mi piace, aggrandifce le virtù di Laura con render la ragione, perchè non n'abbia fcritto. Conobbi; quanto il ciel gli occhi m'aperfe, Quanto ftudio, ed Amor m' alzaron l'ali; L'altre tante si ftrane, e si diverse Onde quant' io di lei parlai, nè fcriffi; Ch' or per lodi anzi a Dio preghi mi rende; Che ftile oltra l'ingegno non fi ftende; SONETTO LXIX. Non effendo confolato il Petrarca dall'apparizioni di Laura la 'nvi• ta ad apparirgli. Dolce mio, caro, e prezioso pegno; Che Natura mi tolfe, e 'l Ciel mi guarda; Già fuo' tu far il mio fonno almen degno Onde quaggiufo un ben pietofo core Talor fi pafce degli altrui tormenti, Tu che dentro mi vedi, e 'l mio mal fenti, Con la tua ombra acqueta i miei lamenti, Aveva il Petrarca fatta menzione a Laura che lo veniffe a confo lare. Or in quefto racconta, come fu racconfolato, e per confer guente, predicando la confolazione, viene a ringraziarnę taci tamente Laura. Deh eh qual pietà, qual' Angel fu sì presto Beata fe, che puo' beare altrui Con la tua vifta, ovver con le parole Fedel mio caro, affai di te mi dole: SONETTO LXXI. Commenda la confolazione, che gli reca Laura, apparendogli, Del cibo onde'l Signor mio fempre abbonda, |