E di tal vista; aprir vidi uno speco, E portarsene feco La Fonte, e'l loco; ond'ancor doglia sento,
E fol della memoria mi sgomento. Una strania Fenice, ambedue l'ale
Di porpora vestita, e'l capo d'oro, Vedendo per la selva, altera, e fola; Veder forma celeste, ed immortale Prima penfai, fin ch'allo svelto Alloro Giunse, ed al Fonte che la terra invola. Ogni cosa al fin vola: Che mirando le frondi a terra sparse, E’l troncon rotto, e quel vivo umor secco; Volfe in sè stessa il becco Quali sdegnando; e'n un punto disparse;
Onde'l cor di pietate, e d'amor m'arse. Al fin vidio per entro i fiori, e l' erba,
Penfofa ir si leggiadra, e bella Donna; Che mai nol penso ch' i' non arda, e treme; Umile in sè, ma 'ncontr' Amor fuperba: Ed avea in dosso si candida gonna,
ch'
oro, e neve parea inseme: Ma le parti supreme Erano avvolte d'una nebbia oscura: Punta poi nel tallon d' un picciol angue, Come fior colto langue, Lieta fi dipartío, non che sicura.
Ahi, null' altro che pianto, al mondo dura. Canzon, tu puoi ben dire;
Queste sei visioni al signor mio Han fatto un dolce di morir desio,
BALLATA I. Spiegamento di dolore sentito per la morte di Laura, e per la
vita sua,. consolato dalla certezza, che sia saputo da Laura. Amor, quando fioria
Mia spene, e 'l guidardon d'ogni mia fede,
Tolta m' è quella ond' attendea mercede. Abi dispietata morte, ahi crudel vita:
L' una m'ha posto in doglia, E mie fperanze acerbamente ha fpente: L'altra mi ten quaggiù contra mia voglia; E lei che sen' è gita, Seguir non pofTo; ch' ella nol consente: Ma pur' ognor presente Nel mezzo del mio cor Madonna fiede, E qual' è la mia vita, ella fel vede,
CANZONE IV. Propone di voler lodar Laura, e teme di non poterlo fare, se non
è ajutato da Amore.
Tacer non poffo, e temo non adopre
Contrario effetto la mia lingua al core; Che vorria far onore Alla fua Donna, che dal Ciel n'ascolta. Come pofs' io; fe non m'insegni, Amore; Con parole mortali agguagliar l'opre Divine, e quel che copre Alta umiltate in sè fteffa raccolta ? Nella bella prigione, ond' or' è sciolta,
Poco era stata ancor l'alma gentile Al tempo che di lei prima m' accorsi: Onde fubito corsi (Ch’ era dell
' anno, e di mia etate Aprile) A coglier fiori in quei prati d'intorno,
Sperando a gli occhi suoi piacer si adorno. Muri eran d'alabastro, e tetto d'oro,
D' avorio uscio, e finestre di zaffiro; Onde 'l primo faspiro Mi giunse al cor', e giugnerà l'estremo: Indi i melli d' Amor' armati usciro Di faette, e di foco: ond' io di loro Coronati d' alloro, Pur com' or fosse, ripensando tremo, D’un bel diamante quadro, e mai non sceme Vi si vedea nel mezzo un seggio altero; Ove fola fedea la bella Donna, Dinanzi una colonna Cristallina, ed iv' entro ogni pensiero Scritto; e fuor tralucea sì chiaramente,
Chi mi fea lieto, e sospirar fovente. Alle pungenti, ardenti, e lucid' arme;
Alla vittoriofa insegna verde; Contra cu' in campo perde Giove, ed Apollo, e Polifemo, e Marte: Ovo è 'l pianto ognor fresco, e si rinverde, Giunto mi vidi: e non poffendo aitarme, Preso lasciai menarme Ond' or non fo d'uscir la via, nè l' arte. Ma siccom'uom talor che piange, e parte 1 Vede cosa che gli occhi, e 'l cor' alletta, Così colei per ch' io fon' in prigione,
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Standoli ad un balcone, Che fu fola a' suoi di cosa perfetta, Cominciai a mirar con tal desio,
Che me ftello, e 'l mio mal poli in obblio. I era in terra, e 'l cor' in paradifo,
Dolcemente obbliando ogni altra cura: E mia viva figura Far fentía un marmo, e 'mpier di maraviglia; Quand' una Donna affai pronta, e ficura, Di tempo antica, e giovane del viso, Vedendomi si filo All atto della fronte, e delle ciglia, Meco, mi disse, meco ti consiglia: Ch'i' son d' altro poder che tu non credi; E so far lieti, e tristi in un momento Più leggiera che 'l vento; E reggo, e volvo quanto al mondo vedi. Tien pur gli occhi, com' aquila, in quel Sole;
Parte dà orecchi a queste mie parole, Il dì che costei nacque, eran le stelle
Chę producon fra yoi felici effetti, In luoghi alti, ed eletti, L'una ver l' altra con amor converse: Venere, e 'l Padre con benigni aspetti Tenean le parti signorili, e belle; E le luci empie, e felle Quafi in tutto del ciel' eran disperse. Il Sol mai sì bel giorno non aperfe::
s L'aere, e la terra s' allegrava; e l' acque Per lo mar’ avean pace, e per li fiumi. Fra tanti amici lumi. Una nube lontana mi dispiacque;
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La qual temo che 'n pianto fierisolve, a pony?
Se pietate altramente il ciel non volve. Com' ella vennc in questo viver basso;
Ch'a dir il ver, non fu degno d' averla; Cosa nova a vederla, Già fantissima, e dolce, ancor' acerba; Parea chiusa in or fin candida perla: Ed or carpone, or con tremante passo Legno, acqua, terra, o falso Verde facea, chiara, foave; e l' erba Con le palme, e coi piè fresca, e superba; E fiorir co' begli occhi le campagne; Ed acquerar i venti, e le tempeste Con voci ancor non prefte Di lingua che dal latte fi scompagne; Chiaro mostrando al mondo fordo, e cieco,
Quanto lume del ciel foffe già feco. Poi che crescendo in tempo, ed in virtute
Giunse alla terza fua fiorita etate; Leggiadria, nè beltate Tanta non vide il Sol, credo, giammai. Gli occhi pien' di letizia, e d'onestare; E'l parlar di dolcezza, e di salute. Tucte lingue son mute A dir di lei quel che tu fol ne fai. Sì chiaro ha 'l volto di celefti rai, Che vostra vifta in lui non può fermarse; E da quel suo bel carcere terreno Di tal foco hai 'l cor pieno; Ch'altro più dolcemente mai non arse, Ma parmi che sua fubita partita Tofto ti fia cagion d amara vita.
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