Ed ebbi ardir cantando, di dolermi D' Amor, di lei che si dura m' apparse: In quella erate a' pensier novi, e ’nfermi. Che se col tempo fosse ito avanzando, Come già in altri, infino alla vecchiezza; Con stil canuto avrei fatto parlando con camera SONETTO xXXVÍ. Priega Laura che abbia compassione de' suoi affanni ora che è mor ta, e per conseguente la certo, come la sua intenzione è onesta, di che, perchè n'ebbe dubbio in vita, non gliene voleva avere. Anima bella, da quel nodo sciolta Che più bel mai non seppeordit Natura, i to Da si lieci pensieri a pianger volta. Che mi fece alcun tempo acerba, e dura Volgi a me gli occhi, e i miei sospiri ascolta. Mira 'l gran fasso donde Sorga nasce, E vedravi un che fol tra l' erbe, e l'acque, Ove giace 'l tuo albergo, e dove nacque Il nostro amor, vo'ch' abbandoni, e lasce, Que VVVV SONETTO XXXVIII. Morta Laura non ha al Mondo persona che si possa proporre Uomo per eseinpio di fanta vita; laonde il Petrarca ripete con la memoria l azioni di lei piene di buono csempio. uel Sol che mi mostrava il cammin destro Di gire al Ciel con gloriosi pasli; Tornando al fommo Sole, in pochi faffi Chiuse 'l mio lume, e 'l suo carcer terrestro: Ond' io fon fatto un' animal filveftro, Che co' pie vaghi, solitari, e lafli .. Porto 'l cor grave, e gli occhi umidi, Al mondo, ch' è per me un deserto alpestro. Così vo ricercando ogni contrada Ov’io la vidi; e fol tu, che m' affligi, Amor, vien' meco, e mostrimi ond' io vada Lei non trov' io; ma fuoi fanti vestigi Tutti rivolti alla fuperna strada e balli SIS SESSO SONETTO XXXIX. Al Petrarca dava il cuore di cantar le bellezze del Corpo di Laura ; ma venuto alla pruova s' è trovato ingannato; che troppe erano in lei le bellezze naturali, e el artifiziali. 1. pensava assai destro esfer-su l' ale, Onde Morte m' assolve, Amor mi lega: D'un picciol ramo, cui gran fascio piega; fale; Nè fi fa ben per uom quel che 'l ciel nega. Mai non poria volar, penna d'ingegno, Non che stil grave, o lingua, ove Natura Volô tessendo il mio dolce ritegno: In adornarlo, ch' i' non era degno va chi SONETTO XL. Era caduto nell'animno al Petrarca di celebrar Laura; mestofi alla 'mpresa, gli era venuto fatto di celebrar oscuramente alcuna delle fue virtù: ma volendo celebrar la divina parte, ciod le virtù più eccellenti dell'Animo, è restato confuso. Q uella per cui con Sorga ho cangiar' Arno, Da poi più volte ho riprovato indarno Al fecol che verrà, l' alte bellezze Nè col mio stile il suo bel viso incarno. . Che 'n lei fur, come stelle in cielo, sparte; Pur' ardisco ombreggiar or' una, or due: Ch' un chiaro, e breve Sole al mondo fue; SONETTO XLI. Questa è una scusa, perchè voglia ancora 'celebrare Laura che, quantunque l'abbia per lo passato celebrata in detri, c in iscritti, nondimeno non è stata celebrata fufficientemente. L'alto, e novo miracol ch' a' di noftri Apparve al mondo, e ftar seco non volse; Per adornarne i suoi ftellanti chiostri; , Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse, Poi mille volte indarno all' opra volse Ingegno, tempo, penne, carte, e 'nchiostri. Non fon' al sommo ancor giunte In me'l conosco; e proval ben chiunque E' ’n fin' a qui che d'amor parli, o scriva. Ch' ogni ftil vince; e poi sospire: Adunque soon ime: ********************************** SONETTO XLII. Racconta che, 'tornando il tempo di Primavera, ogni cosa mostra allegrezza, ed amore: ma egli, per la memoria rinnovellata della morte di Laura, sente noja, e dolore : e ogni cosa gli pas re piena di mestizia. E i fiori, e l'erbe, sua dolce famiglia; E primavera candida, e vermiglia. Giove s'allegra di mirar sua figlia: Ogni animal d'amar fi riconsiglia. Sospiri che del cor profondo tragge Quella ch'al ciel fe ne portò le chiavi: E’n belle donne oneste arti soavi SONETTO XLIII. Per lo canto del Roligniuolo torna a mente al Petrarca la fuá dura forie, la quale mostra bene esser dura, poichè gli è soprav, venuta senza averla pur potuta antivedere, e per la quale può comprendere che in questo Mondo non ci ha cosa piacente durevole. Quel uel rosigniuol che si soave piagne TS |